LA MIA ARTE È VIVERE Brano tratto dal romanzo “Il malato Molière”, ancora inedito in Italia Rubem Fonseca
UNA PRECISAZIONE
Sono un marchese di illustre casato, della più alta nobiltà, ma non sono uno scrittore, sono solamente un lettore assiduo di buoni autori. Mi piacerebbe scrivere per il teatro, essere come il mio amico Molière o come Racine. Una volta scrissi una tragedia e la portai a far leggere a Racine, perché mi sentivo insicuro come tutti i principianti. Speravo, è chiaro, che a Racine piacesse il mio lavoro evidentemente ispirato ai modelli greci come quelli che lui componeva. Racine, che in quella occasione non era ancora l’autore consacrato che sarebbe diventato, mi domandò se poteva parlarmi francamente. Risposi di sì, che altro potevo rispondergli? Allora Racine mi disse, senza giri di parole, di lasciar perdere il teatro. Se hai voglia di scrivere, aggiunse, scrivi lettere o diari, non ci vuole conoscenza di lettere e non c’è bisogno di avere talento per questo. Ma scrivere per il teatro, oltre ad essere un dono speciale che tu non hai, comporta la conoscenza di molte regole che tu ignori.
Dopo domandai a Molière di leggere il mio manoscritto, senza accennare al parere di Racine. Il mio amico impiegò qualche giorno per dirmi che l’aveva letto, e che l’aveva letto in modo superficiale, scegliendo le parole con cura. Per prima cosa mi domandò perché avevo optato per una tragedia e non per una commedia, le cosiddette opere serie erano più difficili da far gradire, più laboriose da scrivere e più costose da rappresentare. Mi ricordò la lettura di prima mano che aveva fatto a casa mia della tragicommedia Don Garcia di Navarra, o il principe geloso, che aveva suscitato non poche aspettative e si era risolta in un fiasco. Alla fine Molière spiegò che il mio lavoro aveva delle qualità ma non era ancora pronto per essere messo in scena. Fu il modo che trovò per dirmi che avevo scritto un’opera mediocre. Non me la presi con Molière. Gli volevo bene. Ma rinunciai a scrivere per il teatro e a essere un artista. Adottai, a titolo di consolazione, una frase di Michel de Montaigne: “La mia arte, e la mia professione, è vivere.”
Pur non essendo uno scrittore, ho sempre registrato gli avvenimenti drammatici e pittoreschi della mia vita e di quella degli altri. Ciò che faccio non è un diario, perché non scrivo tutti i giorni, solamente quando un fatto in qualche modo mi commuove, o mi impressiona, o per qualche motivo attrae la mia curiosità. E anche non segno, all’apertura dei miei appunti, la data, solo il titolo che do ai temi annotati. A volte posso essere alquanto prolisso, impreciso, e può darsi che parli troppo della mia vita, ma ciò mi sembra normale in scritti di questa natura.
Ho selezionato alcuni brani delle mie annotazioni perché venissero pubblicati anonimamente, come parte delle mie memorie. Le descrizioni degli intrighi e degli scandali di corte, dell’effervescenza dei salotti, dell’influenza perniciosa del clero e di altre corporazioni, della rivalità fra artisti, nobili e cortigiani può sembrare che non appaiano, ma sono legati al tema principale di questa selezione: il mistero della morte di Molière, vittima di tante calunnie, incomprensioni, ingiustizie e violenze per le opere che scrisse. Traduzione dal Portoghese di Mirella Abriani. Rubem Fonseca, più volte pubblicato in questa rivista, è considerato il più grande narratore brasiliano vivente.
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