MI HANNO SCHEDATO Racconto tratto dalla raccolta La cucina arancione Lorenzo Spurio A un certo punto mi accorsi che stavo sognando in arabo e vagavo per le vie di Rabat. Camminavo frettolosamente in un ampio bazar e mi ero fermato dinanzi a una bottega per esaminare alcune spezie. Ce ne erano alcune che non avevo mai visto. Le varie tonalità del marrone, del rosso, del verde delle varie spezie trite o polverizzate, essiccate o fresche, e i vari aromi si mescolavano tra loro. Poco dopo si era avvicinato il venditore per chiedermi se volessi della paprika indiana o del cumino. Gli avevo risposto che non volevo nessuno dei due e avevo ripreso a camminare. Camminavo in arabo e mi muovevo nelle vie di quella città. La cosa curiosa era che riuscivo a leggere i quotidiani in quella lingua e a capire la gente che mi parlava, così com’era successo con il venditore delle spezie. Io ero arabo. Un attimo dopo mi recai in moschea dove incontrai alcune persone della mia età che mi parlarono in maniera simpatica. Erano i miei amici arabi, ovviamente. Quando mi svegliai, la prima cosa che mi venne in mente fu che quel sogno non fosse il mio e che appartenesse a qualcun altro. Mi resi conto che non ero a Rabat. Dalla mia finestra potevo vedere uno scorcio del campanile di Giotto. Non ero in Marocco, né ero arabo. Cominciai a pensare in maniera ossessiva che quel sogno non fosse il mio. Non mi è mai piaciuto avere delle cose che non mi appartengono. Lo considero un insulto alle mie proprietà e un furto nei confronti di qualcuno. Ricordo ancora benissimo quando da adolescente io e Mario avevamo comprato insieme un paio di scarpe sportive ciascuno. Amavamo lo stesso modello, ma entrambi eravamo rimasti molto indecisi fino alla fine sulla scelta del colore. Alla fine io le avevo comprate bianche con le striature rosse bordeaux mentre lui aveva optato per quelle blu con le linee gialle. Tuttavia a me piacevano anche quelle di Mario e a lui le mie per cui un giorno avevamo deciso di fare uno scambio. Per una sola giornata. La cosa era divertente e rispondeva al nostro bizzarro desiderio adolescenziale. Ricordo ancora oggi che la mamma aveva subito notato che indossavo delle scarpe non mie e mi aveva chiesto di chi fossero. Dal tono di voce ero già consapevole di aver fatto qualcosa che non andava e, mestamente, le risposi che erano di Mario e che ce le avevamo scambiate per un solo giorno. Lei cominciò a irritarsi in una maniera che non riuscii a comprendere. Soprattutto perché Mario ed io eravamo amici fraterni e anche le nostre famiglie si conoscevano da sempre. La mamma, arrabbiata, mi disse: «Queste cose non si fanno. Prima di tutto perché non ha senso e poi perché tu hai il tuo paio di scarpe». Era stato inutile farle capire che quella decisione di scambiarci le scarpe era nata così, un po’ per scherzo e un po’ per sfida, e che di certo non avrei voluto farla arrabbiare. Mi disse che a lei piacevano praticamente tutti i tipi di scarpe che le donne portavano, ma non per questo aveva stabilito con loro che un giorno avrebbe indossato le scarpe blu a punta della vicina, un altro gli stivali di pelle della nostra maestra, un altro ancora le babbucce pelose dell’anziana dell’edicola e così via. La spiegazione della mamma mi fece abbastanza ridere, tuttavia capii quale fosse il motivo del suo rimbrotto, ossia che ognuno deve tenere le proprie cose. Le cose degli altri sono degli altri. Proprio per questo ero consapevole che il sogno dell’arabo non mi apparteneva. Trovavo difficoltà nel riconsegnare quel sogno a qualcuno. Restituire le scarpe a Mario era stato semplice, ma consegnare un sogno è qualcosa di più difficile. Per questo cominciai a girare per la città cercando di individuare l’arabo che aveva sognato quelle cose. Non ci riuscii, pur impegnandomi veramente tanto. Alla fine, pensando fosse quella la chiave di volta, andai in prossimità della moschea della città dove si radunavano sempre molti nordafricani per pregare. Lì fuori c’erano molti uomini; altri, invece, stavano entrando in moschea. Notai che uno di essi teneva in mano una busta della spesa. Allora mi venne da pensare che forse era l’arabo che cercavo. Forse si era appena recato in qualche bazar a comprare delle spezie. Sarei stato certo di questo se non avessi visto altri arabi con altrettanti sacchetti di plastica in mano. Abbattuto dalle mie ricerche, mi ricordai delle parole di mia madre, “bisogna sempre consegnare indietro ogni cosa che non ci appartiene”. Impossibilitato a riconsegnare quel sogno al suo legittimo proprietario, decisi di andare al Commissariato. Dissi a un agente di aver trovato qualcosa di non mio e di volerlo riconsegnare. L’agente mi disse che andava bene e mi chiese di consegnargli l’oggetto. Gli risposi che non ce l’avevo. Aggiunsi che si trattava di un sogno di un signore di Rabat. L’agente prese le mie generalità e mi schedò. Racconto tratto dalla raccolta La cucina arancione, TraccePerLaMeta edizioni, Sesto Calende (VA), 2013. Lorenzo Spurio (Jesi, 1985) si è laureato in Lingue e Letterature Moderne all’Università degli Studi di Perugia nel novembre del 2011. Ha pubblicato saggi di critica letteraria e racconti su varie riviste a tiratura nazionale tra le qualiSilarus, Sagarana, Reti di Dedalus ed El Ghibli. Dal 2010 è redattore della rivista di letteratura e cultura Segreti di Pulcinella diretta da Massimo Acciai e collaboratore saltuario della rivista d’arte Parliamone diretta da Bartolomeo di Monaco. E’ autore dello spazio internet Blog Letteratura e Cultura (ISSN 2280-6482) dove pubblica testi critici, recensioni di libri, articoli di cultura, segnalazioni e testi di altri autori ed è fondatore, assieme a Massimo Acciai e Monica Fantaci, della rivista online di letteratura Euterpe.
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