ANSIA Maurizio Bardoni Carthagena: due trentacinquenni abbronzati, identicamente vestiti, con pantaloni di lino chiaro e camice hawaiane, capelli impomatati, occhiali da sole, seduti ad un tavolo in un kitsch-glass-bar, stanno facendo una conversazione animata. -Ma tu guarda come devono vivere due laureati all’inizio del terzo millennio. Il mondo sta andando proprio a pezzi... -Te fregatene del mondo, secondo me non esiste già più, o forse non è mai esistito. Poi, magari, mi spieghi invece perché non rispondi al videofono? -Vabbè, ma non t’incazzare... -Come faccio a non incazzarmi? Sono giorni che ti chiamo, avevo un lavoro facile per te, ormai lo ha fatto Trevo... il tappabuchi, ti sei perso un pacco di crediti, ma che minchia ti è successo? -Guarda che è una storia piuttosto lunga, e non credo che tu abbia la pazienza necessaria... -Dici sempre così, le tue storie sono sempre maledettamente lunghe... -Perché, non erano abbastanza lunghe, le altre mie storie? -Sì, erano anche lunghe, ma più che lunghe, io direi stronze. -Stronzo sei te. E la tua atavica mancanza d’immaginazione. Di storie singolari da raccontare ne ho così tante che poi me le dimentico. È perché ho vissuto intensamente, non tanto quanto te, è chiaro, ma ho dato più importanza a tutto quello che mi è successo, a te invece non te ne frega niente. -Lasciamo perdere. Tagliamo questa parte. -Va bene, lasciamo perdere. -Sì, è meglio.
-“È meglio” lo dovrei dire io. -Beh, ormai l’abbiamo detto tutti e due, magari cerchiamo di progredire nella conversazione, ora. -Sono d’accordo, cazzo. Tu comincia ad iniziare. -Prima di tutto una specie di confessione, tra amici di lunga data: con le donne bellissime ho sempre fallito. -Ma ora che c’entra? E poi perché mai? -C’entra, c’entra, perché quando mi avvicino diventano brutte. -Beh, qualche volta mi è successo anche a me, ma per colpa della birra. In Brasile dicono: non è che queste ragazze sono proprio brutte, ma siamo noi che abbiamo bevuto troppo poco. -Questa te la sei inventata ora. -No, no, te lo giuro: è proprio autentica... e poi che ne sai tu del Brasile?. -Vabbè. Però a me invece mi succede quasi sempre e senza ubriacarmi. -Sei fuori di testa, Martinelli, lasciatelo dire. -Nooo, ti giuro, sono loro che cambiano, in un attimo o in un’ora, in un giorno o due, mi capita sempre, non è colpa mia, col passare dei minuti le vedo meno belle fuori, oppure dentro, anche se poi si vede soprattutto dal fuori. -In che senso? Non ho capito. -È che è fin troppo facile farsi dei miti, finché ne rimani a distanza, una bella donna può diventare una scultura marmorea e se sei un italiano, che è nel mondo il maschio più idealizzatore di miti femminili angelici e falsi, voglio dire: se sei italiano puoi anche innamorarti di una che non conosci e meno la conosci e più te ne innamori, ma quando la vedi da vicino, quando la senti parlare, come fai? Per me è più difficile. -Continuo a navigare al buio. -Lo so. Perché sei italiano, per te la donna è un angelo, ma la donna è fatta di ciccia come te e se la conosci, poi, ti delude, a meno che tu sia portato a falsare la tua stessa realtà... cazzo, Puleo, ti giuro, più ne sapevo e peggio era, insomma non sono mai stato capace d’ingannare me stesso. -Anche qui in Colombia?
-Da sempre, qui e ovunque. -Comunque finora non m’hai ancora detto niente. -Ma se è mezz’ora che parlo... -Hai fatto un’introduzione, poi una giustificazione di quello che avresti detto dopo, che io non ho capito, tra l’altro. Se passiamo a quello che c’è in mezzo, cioè alla storia, magari, vedrò qualche attinenza con la realtà, che ne so, magari capirò qualcosa. -Sì. Hai fottutamente ragione. Bene, qualche mese fa ero al Cafè Skranja, una birreria di Bogotà con un’atmosfera scura e fumosa, mezzo parigina, che ne so, con quei lampioni rosa penduli sopra i tavoli, musica ad alto volume. Non la conosci?
O non la conosci e non te ne frega niente di conoscerla? Vabbè, Marcos e Strillo arrivarono dopo e c’era una ragazza insieme a loro, una che non avevo mai visto: molto alta, sensuale, una piccola cicatrice piuttosto sexy vicino ad un angolo della bocca, insomma, ci siamo capiti... -Ti sei capito da solo, più che altro, a me le cicatrici non mi arrapano per niente, ma non importa: veniamo al sodo. -Voglio dire che era bellissima, ma anche misteriosa, vestita tutta di nero, beveva molto e rideva poco, si è seduta con noi al nostro tavolo e dopo un po’ siamo rimasti da soli, indovina che cosa mi ha detto come prima frase del nostro incontro? -Scopami!
-Ma tu sei rincoglionito, queste cose succedono solo nei film porno, dai quali proviene buona parte della tua cultura, purtroppo... -Non è colpa mia se è l’unica roba autentica che c’è in giro... -Teoria interessante, complimenti, non te ne credevo capace; ma tornando a noi, cioè a lei, aveva una certa classe, come faccio a spiegartelo, che ne sai tu di classe? Insomma, ha acceso una sigaretta in piena calma, me ne ha offerta un’altra e me l’ha accesa, poi ha detto: sono una testimone di Geova e soffro d’ansia. -Ah. E tu?
-Io ci sono rimasto secco, come un cretino. Per un bel po’ non sono riuscito a dire niente, non me lo aspettavo. -E dopo?
-Dopo mi ha sorriso, poi ha detto se uscivamo un po’ a fare un giretto. Tu che avresti fatto? -Non so nemmeno immaginarmelo, credo che sarei scappato. -Vedi la differenza tra me e te? Non hai immaginazione, io invece sono rimasto incuriosito e perfino eccitato, se lo vuoi sapere. -Una ti dice che soffre di una malattia mentale, che va in giro per le case a predicare religioni assurde e tu ti ecciti? -A parte che era bella, assai bella, tettona e alta, un culo ritto che non ti dico, a parte la maniera in cui parlava con una calma incredibile, beh, non dimostrava alcuna ansia, e poi l’ansia non è una malattia mentale che possa trasformare una fata in un mostro... e poi il suo senso dell’ironia, figurati che ha detto che in verità, lei sarebbe stata una testimone di Genova, perché era venuta di là... pochi anni fa. -Sì, lo so che la Colombia è sempre più piena d’italiani, che gl’italiani stanno scappando da ogni lato, gli basta di non stare in Italia, però quella più che una fata a me mi pare una strega, seguendo la tua stessa descrizione, ma tutti i gusti son gusti: cosa è successo poi? -Mi ha spiegato come era la sua vita, che cosa faceva con i Testimoni, che il loro dio non era una dea, come io credevo e magari anche tu... -A parte che non me ne frega niente, io non c’ho proprio mai pensato, se fosse uomo o donna la mia vita continuerebbe la medesima’mmerda... -Io invece sì, è stata una sorpresa sapere che Geova o Jeovah fosse un maschietto, nonostante il nome, e tra le altre cose era anche Dio, o meglio: l'unico Dio, cioè una delle parole che lo indicavano, nell'Antico Testamento, vale a dire una traslitterazione (che significa traduzione di un testo sostituendo le lettere di un alfabeto con quelle corrispondenti a quelle di un altro) delle quattro lettere : IHVH, JHVH, JHWH, YHVH, YHWH, che designavano Dio, il cui nome era considerato tanto sacro che non poteva essere pronunciato a voce alta, era sostituito perciò con la parola Adonai (Signore). Puleo sbuffa, Martinelli non se ne accorge, o fa finta di niente e continua: -Jeovah o Jahvè era il Dio degli Eserciti, da qui la disciplina da rappresentanti commerciali delle Testimoni, fatta di determinazione, di sorrisi, di grande volontà di convertire l'ignaro disgraziato che gli apre la porta. La religione è cosa assai recente ed è stata fondata da un certo C.Taze Russell nel 1874 a New York. I Testimoni di Geova, dicono che la Bibbia, la parola di Dio, è l'unica fonte di verità, e che loro sono gli ultimi testimoni rappresentanti di una lunga serie di testimoni, di Abele e Gesù. Annunciano una lotta tra Satana e Geova; manco a dirlo, quest'ultimo trionferà e la terra diventerà abitazione dei sopravvissuti e dei morti resuscitati. Bello, nèh?
Hanno un gran numero di predicatori itineranti, sparsi per il mondo, il cui centro d'incontro si localizza nel quartiere di Brooklyn a New York. -E chissenefrega non ce lo metti? Io ce lo metterei. -La tua ignoranza è spaventosa... oltre che autocompiaciuta... -Beh, sì. È proprio vero. A me piace, mi protegge da questi tuoi viaggi nella maionese, come li chiamano in Brasile... -E che vorrebbe dire?
-Vuol dire che tu esci dal tuo corpicello e ti perdi in cose scivolose, come la tua fantasia gialla e malata, e poi ti lasci trasportare... -Guarda che i testimoni di Geova non li ho inventati io... -No, ma avresti potuto benissimo farlo, non te ne mancano certo le capacità, però ti ricordo che mi stavi raccontando del perché non rispondi al videofono, che me ne frega a me dei testimoni di Geova e di quello che fanno? -Non lo so, ma un po’ di cultura generale non ti farebbe male, ogni tanto... -Cosa mi fa bene o male lo decido io, se non ti dispiace, intanto tu cerca di essere un po’ più sintetico, vogliamo andare al sodo? -Guarda che questa storia non l’ho mai raccontata a nessuno... -Ti faccio rispettosamente notare che finora non l’hai raccontata nemmeno a me... perché non ci provi seriamente? -Allora lasciami parlare, intanto confido anche che poi tu non vada a spifferarla in giro, ci siamo spiegati? -Certo, per chi mi hai preso? Era mora o bionda? -Capelli corvini, labbra sensuali, un neo sulla guancia destra... -E come facevi a sapere che non era piena di silicone? -Ho rischiato. Sembrava diversa dalle altre, aveva classe e personalità, non rideva per ogni cazzata, un po’ come se fosse un mezzo uomo, o una donna-killer... -Ecco ! Che fosse un travestito mi è venuto in mente subito! -La tua mente è schifosamente inquinata, certo col lavoro che fai... -Sì, ora ci manca solo che mi fai la psicanalisi, ma mi dici una cosa: tu non fai lo stesso cazzo di lavoro? Allora taglia corto, che mi sono già abbondantemente rotto i coglioni: che avete fatto dopo? -Siamo andati in un altra birreria e ci siamo scolati una bottiglia di Berlaskian, ha voluto pagare lei. Scherzava in quella maniera che hanno le donne dei film post-modern, diceva battute secche ed irresistibili, completamente seria, siamo andati nella sua macchina e mi ha fatto bere un liquore che aveva in una bottiglina, verde scuro, buono ma amarissimo, a questo punto i miei ricordi mi si annebbiano, perché sembra più un sogno che realtà, ma ti giuro che è realmente accaduto... -Insomma: te la sei scopata o no? -Aspetta, qui viene il bello, me ne stavo completamente rilassato sulla comodissima poltrona della sua Morkjios nera... -Ho già capito: il liquore! Era o non era drogato? -Bravo, ero perso in un mondo di placidità e colori pastello, in una musica dolce, vecchiotta e romantica, credo che fosse Victor Laszlo o Diana Krall, o forse no, come si chiama quell’altra? -Chi se ne frega! Che è successo dopo? -Beh, dopo, in quell’atmosfera da sognaccio peccaminoso e notturno, lei mi ha spiegato con calma, tutto quello che mi avrebbe fatto, con la lingua, su determinate parti del mio corpo... -Chissà quali.
-Non vuoi che te le dica? -Risparmiati il fiato. A questo punto le sei saltato addosso. -No, non mi sono mosso di un millimetro... me ne stavo in una cazzo di estasi fottuta e... -Che?
-Qui devi considerarmi il liquorino verde, Puleo, non lo so nemmeno io, guarda, magari non ero nemmeno più capace di muovermi e poi mi piaceva da morire, non avevo mai provato un piacere del genere... non escludo nemmeno di avere avuto un orgasmo o più di uno, senza che lei mi toccasse... se non nel mio più profondo essere, con le sue parole sensuali, la sua voce calma e ipnotica... -Il mio più profondo essere? Sai che a volte, mentre ti sento parlare, mi pare di vederti per la prima volta? Io, dentro di me, di esseri ne ho uno solo e quello al richiamo della foresta salta sulla preda come una tigre! -Lo so, ma con quel liquorino in corpo, anche tu non lo so dove andavi a sbattere il grugno, io ho perso semplicemente i sensi, poi mi sono trovato in un campo, pieno di relitti di automobili, tutto insanguinato, stava albeggiando ed era un posto che non conoscevo nemmeno... finché non ho visto la punta della vecchia chiesa diroccata dei Gesuiti in mezzo alla boscaglia, ho capito che ero tra il fiume e la chiesa... -Brutta zona quella...
-Lo so, ho inciampato in più di uno scheletro, alcuni anche bruciati... -Ma non hai detto che eri insanguinato? -Ero pieno di sangue, sangue non mio, perché non avevo ferite, ma ero completamente bagnato di sangue. -Allora che cazzo hai fatto? -Ero mezzo disperato... ma rincoglionito del tutto, in compenso, la testa mi girava, o forse erano le cose tutte attorno che non volevano star ferme, mi pareva tutto un sogno... o piuttosto un incubo, meno male che avevo ancora il cellulare e ho telefonato a Marcos, che poi era lui che mi aveva presentato Ansia... -Ansia? Si chiamava così? -No, lei mi ha anche detto come si chiamava, ma io non me lo ricordo. La chiamo così perché quando lei mi telefona si presenta sempre con questa parola... e un respiro profondo... -Quindi l’hai rivista, dopo. -No, rivista no, abbiamo parlato al telefono. -E Marcos che ti ha detto, come faceva a conoscerla? -No, zero assoluto, l’avevano appena conosciuta, in un altro bar, però gli era parsa troppo strana a tutti, mi ha detto che lo sguardo di lei l’aveva spaventato... difficile immaginarsi Marcos spaventato, eppure... -Allora tu non l’hai più vista? -No, te l’ho già detto: NOOOOO. -Allora, devo tirarti fuori le parole colle tenaglie? -No. Mi ha telefonato, si è scusata per quello che era successo, senza dirmelo direttamente, me lo ha fatto sembrare una cosa quasi normale, naturale, e dopo qualche minuto mi aveva di nuovo portato sull’altopiano del piacere sessuale, stavolta senza avermi dato nessun liquorino, mi ha ipnotizzato con la sua voce, le sue parole... -E stavolta dove ti sei svegliato? -A casa col telefono in mano, ma erano passate due ore... -Tutto qui?
-No, avevo avuto una serie di orgasmi... ed ero di nuovo pieno di sangue, non so di chi... -Non ti ricordi niente?
-Sì, cioè no, non so come spiegartelo, nel senso che poi l’esperienza si è ripetuta, più o meno uguale, lei mi telefonava, parlavamo un po’ e poi dopo tutto il resto... -Ma avevi delle visioni, vedevi qualcosa o no? -Sì, ma è roba difficile da raccontare, era come se le sue parole si trasformassero in immagini, lei parlava ed io vedevo cose, belle cose, sensuali, vedevo lei e anche altre donne, tutte bellissime, ma di diverso tipo, negre, bionde, mulatte... ma da un certo punto in poi non mi ricordavo mai più niente, per il resto è come se avessi avuto ogni volta un rapporto completo, anzi molto più del normale, ma questa è la parte buona... sangue a parte... -E che c’entra tutto questo col fatto che non rispondi al videofono? -C’entra, c’entra, se mi lasci parlare te lo spiego. -Ti sto ascoltando, ma è la pazienza che mi viene meno. -Te l’avevo detto. E poi non riesci ad ascoltare con una faccia più intelligente? Boccheggi come una trota fuor d’acqua. -Beh, questa è la mia faccia, cioè quella che faccio quando ascolto, mi dispiace ma dovrai adattarti. -Vabbè, pazienza, il fatto è che quella notte, la prima notte, voglio dire, in quel posto dove mi sono trovato io, tutto insanguinato, c’è stato trovato un morto ammazzato, con vari e ben mirati fendenti, di una sciabola tipo quella dei Samurai, una Katana. Cioè l’hanno trovato la mattina seguente, non molto tempo dopo che io ero stato portato via da Marcos. -E non l’hai ammazzato tu? -No, cioè non mi ricordo niente, certo che non sono andato a confrontare il gruppo del sangue che avevo addosso... -Sei sicuro che era proprio sangue? -Non è la prima volta che vedo del sangue, il nostro lavoro ce lo impone, era la quantità che era eccessiva però... -Ma ti sei svegliato vestito? -Ben vestito, quanto zuppo. -E gli sbirri?
-E che ne so? Non sono certo andato a chiederglielo. -Ma che c’entra col fatto del cazzo di videofono, al quale grazioso apparecchietto tu non rispondi da giorni? -Beh, il fatto è che poi ogni volta che lei mi chiamava, a me mi piaceva, e parecchio e tutto, a parte il sangue addosso, naturalmente, ma oltre a questo, il giorno dopo si trovava sempre un disgraziato tagliuzzato, da qualche parte. -Ora comincio a capire, quindi vorresti dire che dopo, per questo paio di insignificanti particolari, magari ti è venuta un po’ di... come dire... -Un po’ d’ansia?
I due sorridono, ma più che un sorriso è una specie di ghigno, il più alto chiede il conto, dopo aver pagato se ne vanno. Maurizio Bardoni è un professore d'italiano che vive e lavora, il meno possibile, a Porto Alegre, nel sud del Brasile. Nato a Lucca, nel giugno del 1959, se ne è scappato appena se ne è accorto. Padre neuro-psichiatra, morto d’infarto nel 1996, madre insegnante elementare in pensione, un fratello designer, l’altro commercialista, entrambi più giovani di lui. Ha viaggiato abbastanza per convincersi che vuole viaggiare ancora. Conosce diverse lingue, ma alcune solo di vista. Secondo una delle sue bizzarre teorie, la lingua sarebbe uno dei modi più usati dagli umani per comunicare. Vive dal novembre del 1994 nel Rio Grande do Sul, e anche qui ha percorso in lungo e in largo lo stato per dare lezioni della sua prima lingua. La sua storia è stata densa di spostamenti e viaggi, pendolarismi di vario tipo, con ogni mezzo di trasporto, ma raramente in elicottero. Ha vissuto due anni a Berlino, gli ultimi del Muro, il quale poi è crollato, magari per caso, ma proprio quando lui se n'è tornato in Italia. Insomma la sua storia è quella di un emigrante alternativo, cioè uno di quelli usciti dall'Italia non solo per mancanza di soldi, forse più per rendersi conto di quello che c’era fuori.
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