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Sagarana L’INSEGNANTE DI PIANOFORTE


Brano tratto dal romanzo Fuga nelle tenebre


Arthur Schnitzler


L’INSEGNANTE DI PIANOFORTE



(…) Senza volerlo il suo sguardo si posò su una figu­ra femminile che, avvolta in un misero imper­meabile marrone chiaro, un rotolo nero sulle gi­nocchia, era seduta su una panchina. Il viso era pallido, non più giovanile, quasi afflitto; in quel momento, alzando gli occhi, sorrise in modo ap­pena percettibile, poi riprese di nuovo a guardare davanti a sé. Robert continuò per la sua strada e si fermò davanti alla vetrina di un negozio d'ar­te, attratto da un paesaggio, quando quella figu­ra di donna ricomparve riflessa nella vetrina; ma camminava in fretta e con gli occhi bassi, e quan­do Robert si girò a guardarla, lei passò oltre sen­za badargli, le mani sprofondate nelle tasche dell'impermeabile; da una delle tasche sporgeva il rotolo nero. Aveva un'andatura eretta e un poco furtiva; l'impermeabile aderente, troppo stretto e troppo lungo, lasciava intuire forme piacevoli, non eccessivamente snelle. Robert la seguì e si chiese chi mai potesse essere quella donna. La moglie di un impiegato, pensò, o chissà, magari una contabile. Poiché a poco a poco lei aveva rallentato il passo, Robert fu certo che non le desse fastidio essere seguita, e all'angolo di una strada, già in periferia inoltrata, le rivolse la parola con disinvoltura.

«Le dispiace, signorina, se le chiedo il permesso di accompagnarmi a lei nella sua passeggiata?». E lei, con una voce gradevole, né stupita né offesa: «Non faccio una passeggiata, vado a casa». Lo guardò appena. «Ma il permesso,» chie­se lui «posso considerarlo accordato?».

Lei si strinse nelle spalle, come a dire : Con me non è davvero il caso di fare tante storie; solo allora lo guardò di lato. Egli disse di averla già notata nella Ringstrasse quando era seduta sulla panchina, le mani nelle tasche dell'impermea­bile, il rotolo sulle ginocchia e lo sguardo ri­volto dinanzi a sé – un grazioso quadretto. «Non sarà mica un pittore?» chiese lei. «Purtroppo no» rispose Robert. E poiché non aveva alcun motivo di nasconderle il proprio nome, le si presentò nelle debite forme. Lei disse il suo nome del tutto incidentalmente, e nel colloquio che seguì raccontò, senza esserne richiesta, ogni genere di particolari della sua vita. Dava lezioni di pianoforte; suo marito, un impiegato comu­nale, era morto tre anni prima; e ora lei, vedova e senza figli, abitava in una traversa lì vicino presso una famiglia di artigiani, bravissima gen­te. L'estate passata si era concessa, per la prima volta dopo la morte del marito, tre settimane di vacanza; le aveva trascorse in una piccola e fre­sca località, non molto dispendiosa, nei pressi di Vienna. « Mi ero anche fidanzata di nuovo aggiunse. «Ma la cosa non ha avuto seguito. Meglio così» concluse scrollando le spalle, come se non fosse abituata e neppure fosse mai sta­ta degna di un destino migliore di quello che le era toccato.

Passò un tiro a uno scoperto, il cocchiere sa­lutò facendo schioccare la frusta. Robert invitò la donna a fare una breve passeggiata; salirono, continuarono ad attraversare la periferia e pas­sando poi sotto il viadotto ferroviario uscirono sulla Laxenburger Strasse da cui si godeva una bella vista sulla catena delle colline che si perdevano nella luce del tramonto. A poco a poco si strinsero di più l'uno all'altra. Quando sul vicino binario un treno sfrecciò loro accanto, Robert colse l'occasione per raccontare il suo viaggio re­cente, più tardi portò il discorso sulla musica, ma lei partecipò alla conversazione senza ecces­sivo interesse, poiché, come insegnante di pianoforte, si serviva solo delle occasionali nozioni che aveva avuto modo di apprendere in passato, quan­do si trovava in condizioni di vita migliori.

Il sole era calato e l'aria si era sensibilmente rin­frescata. Robert fece dirigere la carrozza verso la città. Non parlarono più, e quando egli le prese la mano, lei ricambiò la stretta con inatteso calore. Nei suoi tratti stanchi comparve un barlume di gioia, quasi di felicità.

Robert si fermò con lei in un piccolo albergo che conosceva per esserci stato in altre occasioni del genere, prese una stanza e ordinò la cena. Mentre la stavano aspettando, lei sedeva con le mani in grembo su un divano di felpa blu e lui fumava una sigaretta camminando su e giù per la stanza modesta ma ben tenuta. Sopra i letti erano appese due brutte oleografie, paesaggi ita­liani con figure; a destra il Vesuvio, che diffon­deva sul golfo di Napoli fumo e chiarore di fuo­co, a sinistra un'osteria nella campagna romana con carrettieri vestiti di rosso e di azzurro, ragaz­ze dal largo sorriso e, sullo sfondo, un acquedotto con colonne mozze. Mai conoscerà dell'Ita­lia più di quello che le è dato di vedere in queste immagini, pensò Robert. E il suo sguardo carico di rimorso e commiserazione sfiorò il capo della donna, che continuava a star seduta in silenzio, nella sua blusa di lino a pois blu chiusa fino al collo e un poco sgualcita. I capelli erano biondo scuri e folti, gli occhi chiari e grandi, ma i tratti del volto, alla luce giallastra del lampadario a due bracci che pendeva dal soffitto, apparivano ancora più sfioriti che non nel chiarore crepu­scolare della strada. A un tratto alzò gli occhi su di lui e con tono semplice, quasi asciutto, gli dis­se: «Non pensi male di me, ma sono veramente così sola». Commosso, Robert le si fece più vi­cino, le prese le guance tra le mani e la baciò sulla bocca.

Poco dopo la mezzanotte, quando ormai stavano per andarsene, lei gettò uno sguardo alla tavola apparecchiata sulla quale erano rimasti degli avanzi della cena e disse: «È davvero un gran peccato». «Domani li riscalderanno per qual­cun altro» disse lui in tono scherzoso. E lei:

«Lo potremmo fare anche noi, dal momento che abbiamo pagato». E al suo sguardo sorpre­so: «Hai qualcosa in contrario?». Al che lui, un poco imbarazzato: «Veramente non ce ne sarebbe bisogno, bambina mia». E aggiunse:

«Scusami se ne parlo, ma, se me lo permetti... sono a tua disposizione... ». Lei lo interruppe con un gesto deciso della mano, ma senza fare l'offe­sa. «Grazie» disse, e con un sorriso stanco:

«Questo di me non devi pensarlo». Svolse il rotolo dei fogli da musica, che conteneva oltre alcuni quaderni di musica un po' stracciati, anche qualche foglio di carta protocollo, incartò in uno di essi la carne fredda e infilò il pacchetto nella tasca dell'impermeabile. Poi scesero le sca­le; Robert faceva luce con una candelina. In strada la prese sottobraccio. «Oh, non c'è biso­gno che mi accompagni a casa!» disse lei. «Non sono certo obbligato a farlo. Ma se mi fa piacere». Al primo angolo era ferma una vettura.

«Andremo in carrozza» disse lui. Lei scrollò il capo. «Sprecone » rispose, con lo stesso tono stanco di qualche ora prima, quando Robert aveva ordinato una bottiglia di vino pregiato. Ma il cocchiere era già pronto e la giovane salì; in quel momento, d'un tratto, Robert sentì che gli era passata del tutto la voglia di accompagnarla. Re­stò esitante vicino al predellino e tenendole la mano domandò : «Quando ci rivedremo, mia ca­ra?». «Ti ho detto dove abito» rispose la don­na «e se qualche volta avrai voglia di stare di nuovo con me, non hai che da scrivermi. Io sono sempre libera». «Tanto meglio» disse lui. Poi aggiunse lentamente: «Ti ringrazio veramente molto» e le baciò la mano. Lei non aveva guanti, le sue dita erano fredde. Quando egli alzò lo sguardo lesse nei suoi occhi: Di sicuro non ci ve­dremo mai più. Ti son piaciuta appena, lo so benissimo; il mio corpetto lavorato a maglia non era di tuo gusto, e così tante altre cose che non posseggo e alle quali tu sei avvezzo. So bene che non mi scriverai. Lesse tutto ciò così chiaramente nello sguardo di lei, che quasi si sentì spinto a contraddirla. Ma intanto la carrozza era già par­tita. Lei si voltò ancora una volta a guardare l'amante dell'ora appena trascorsa e fece qualche cenno di saluto col capo. Robert rimase a guardare per un po' la carrozza che si allontanava. Questa non l'ho uccisa di certo, disse poi fra sé, e involontariamente si guardò intorno per vedere se ci fosse qualcuno nelle vicinanze, po­teva sempre servire un testimone che l'avesse vista salire in carrozza e partire di lì. Poi rise e scacciò quei pensieri folli e molesti. Forse un giorno le scriverò, pensò; e attraverso le strade immerse nel buio della notte, si avviò lentamente verso il suo albergo.







Brano tratto dal romanzo Fuga nelle tenebre, Adelphi editrice, Milano, 1983. Traduzione di Giuseppe Farese.




Arthur Schnitzler

Arthur Schnitzler (1862 – 1931) è stato il più grande evocatore, in racconto, romanzi e commedie, della società viennese di fine Ottocento e inizio Novecento. Notissimo durante la sua vita, viene apprezzato oggi, oltre che per l’acutezza delle analisi sociali, per la straordinaria modernità della sua psicologia.





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