QUESTO SONO IO Brano tratto da Il libro delle mie vite Aleksandar Hemon La condizione d'immigrato conduce a una specie di auto-alterizzazione. Lo sradicamento si risolve in un rapporto rarefatto con il passato, con il sé che un tempo esisteva e agiva in un luogo diverso dove le qualità che ci costituivano non necessitavano di contrattazione. L’immigrazione è una crisi ontologica perché sei costretto a negoziare le condizioni della tua individualità all'interno di una situazione esistenziale in costante mutamento. La persona sradicata si batte per una stabilità narrativa - ecco la mia storia! - ricorrendo a una sistematica nostalgia. I miei genitori si paragonavano di continuo e a proprio vantaggio ai canadesi precisamente perché si sentivano inferiori e ontologicamente incerti. Per loro, quello era un modo di raccontare una storia vera di se stessi, a se stessi o a chiunque volesse ascoltarla. Al contempo, c'è l'inevitabile realtà del sé trasformato dall'immigrazione: chiunque fossimo prima, adesso siamo divisi tra noi-qui (diciamo in Canada) e noi-là (diciamo in Bosnia). Perché noi-qui continua a vedere l'attuale noi in accordo con il noi precedente, che oggi vive perlopiù in Bosnia. Non possiamo fare a meno di vederci dal punto di vista di noi-là. Per i loro amici a Sarajevo, i miei genitori, nonostante gli accaniti sforzi di differenziazione, sono almeno in parte canadesi, cosa che non possono esimersi dal guardare con sospetto. Sono diventati canadesi, e loro riescono a vederlo perché non hanno mai smesso di essere bosniaci. L'inevitabile pressione dell'integrazione va di pari passo con l'immagine di una vita che i miei genitori potrebbero vivere se fossero quello che ai loro occhi è essere canadesi. Ogni giorno, vedono i canadesi vivere quella che nella lingua dello sradicamento si chiama «vita normale», e che a loro è essenzialmente preclusa a dispetto di tutte le promesse integrazioniste. Sono però molto più vicini a quella vita di chiunque fra noi sia rimasto a casa, perciò riescono a immaginarsi vivere una normale vita canadese: i miei genitori sono in grado di viversi nei panni degli altri, non da ultimo perché hanno dedicato una quantità di tempo e di energie mentali a paragonarsi a loro. E cionondimeno, non potranno mai essere loro. La migliore obiezione teorica al succitato argomento è una barzelletta bosniaca, che tradotta perde un po' in efficacia ma conserva un'eccezionale (e tipica) nitidezza d pensiero: Mujo ha lasciato la Bosnia per emigrare negli Stat Uniti, a Chicago. Scrive regolarmente a Suljo, cercando di convincerlo ad andarlo a trovare in America, ma Suljo continua a declinare, riluttante a lasciare gli amici e la sua kafana (una kafana è un locale, un bar, un ristorante, o qualsiasi altro posto dove puoi passare un sacco di tempo a far niente bevendo caffè o alcol). Dopo anni di pressioni, finalmente Mujo lo convince a partire. Suljo vola oltreoceano e Mujo lo aspetta all'aeroporto in una gigantesca Cadillac. - Di chi è questa macchina? - chiede Suljo.
- Mia, che domande, - dice Mujo.
- È una gran bella macchina, - dice Suljo. - Hai fatto fortuna. Salgono in macchina e vanno in centro e Mujo dice: - Lo vedi quel palazzo, quello di cento piani? - Lo vedo, - fa Suljo.
- Be', è il mio palazzo.
- Però, - fa Suljo.
- E la vedi quella banca al pianterreno?
- La vedo.
- È la mia banca. Quando ho bisogno di soldi vado lì e prendo tutti i soldi che voglio. E vedi quella Rolls-Royce parcheggiata davanti? - La vedo.
- Quella è la mia Rolls-Royce. Ho diverse banche ognuna con una Rolls-Royce parcheggiata davanti. - Complimenti, - dice Suljo. - Niente male.
Lasciano la città e proseguono verso la periferia, dove le case hanno lussuosi prati all'inglese e le strade sono fiancheggiate da alberi secolari. Mujo indica una casa, grande e bianca come un ospedale. - La vedi quella? È casa mia, dice Mujo. - E vedi la piscina olimpica di fianco alla casa? Quella è la mia piscina. Ci nuoto tutte le mattine. Una donna stupenda e tutta curve prende il sole accanto alla piscina, in cui nuotano allegramente un bambino e una bambina. - La vedi quella donna? È mia moglie. E quegli splendidi bambini sono i miei bambini. - Davvero niente male, - fa Suljo. - Ma chi è quel ragazzo muscoloso e abbronzato che massaggia tua moglie e la bacia sul collo? - Be', - dice Mujo, - quello sono io.
Brano tratto da Il libro delle mie vite, Einaudi, Torino, 2013. Aleksandar Hemon è nato a Sarajevo nel 1962. Dal 1992, anno dello scoppio della guerra in Bosnia, vive a Chicago. Ha vinto molti premi, tra cui la "genius grant" della MacArthur Foundation. Per Einaudi ha pubblicato Spie di Dio, Nowhere Man e Il progetto Lazarus, finalista al National Book Award 2008.
|