GIANNA Brano tratto dal saggio storico Con i piedi nell’acqua Cecco Bellosi A pochi metri da Villa d’este è sepolto un periodo di passioni forti: nelle acque profonde del Pizzo rimane senza pace il cadavere della Gianna. Giuseppina Tuissi è stata uccisa il 23 giugno 1945, a ventidue anni, ma era già morta dentro. Aveva vissuto in ventiquattro mesi quello che molte persone non sono costrette ad affrontare o a scegliere in una lunga vita. nel 1943 lavorava a Milano come operaia alla Borletti e coltivava i sogni d’amore e di libertà che una guerra allo stremo prometteva vicini. Bella, alta, bruna, portava negli occhi azzurri l’inquietudine di chi vuole dare un senso al proprio essere nel mondo. né il diavolo né Prada avrebbero mai suscitato il suo interesse. Le piaceva la comunità di lotta dei primi scioperi e della Resistenza. Il suo compagno, Gianni Alippi, stava nei GaP, i Gruppi di azione Patriottica, il cuore della guerriglia; lei faceva la collegatrice tra i diversi gruppi. Il 28 agosto 1944 vide Gianni costretto al muro in via Tibaldi, insieme a tre suoi compagni, ucciso dalle raffiche rabbiose della legione Ettore Muti. Quella di cui un morbo di Alzheimer collettivo ha fatto perdere la cattiva memoria. L’immagine dura di colpi secchi e ravvicinati a sconvolgere i corpi amici non avrebbe mai potuto conoscere la dissolvenza di una fotografia sfocata. era carne della sua carne. del suo compagno, prese il nome nella Resistenza. Il Partito Comunista capì che la ragazza per le vie di Milano avrebbe rivissuto ogni giorno la stessa scena. Preso per una volta da un soffio di tenerezza, il partito decise di mandarla sui monti del lago di Como: un mondo in cui il nemico era costretto ad aggredirti di fronte, non alle spalle. La montagna poteva offrire a volte una via di fuga; la città era inesorabile nella sorpresa senza alcuna possibile via di scampo. Sul lago e i suoi monti Gianna trovò invece l’amore e la morte. L’amore assoluto le esplose dentro per un comandante partigiano, il capitano neri, dalle cui braccia protettive e sicure si sentì dolcemente avvolta. La morte le fu data a guerra finita: una parte dei suoi compagni non riuscì a perdonarle di essere stata torturata. a gennaio del 1945, arrestata dai fascisti, era stata presa per giorni e giorni a calci e pugni; era stata picchiata con un nerbo di bue fino a sanguinare e a perdere i sensi; aveva dovuto sopportare i getti d’acqua gelata; infine, piena di lividi e di piaghe, era stata buttata nuda in mezzo alla neve in uno stillicidio di sadismo quotidiano. Lo confessarono al processo che si tenne nel dopoguerra i suoi torturatori, lo testimoniarono le sue compagne di detenzione: i militi dell’ufficio politico del Partito Repubblicano Fascista di Como furono esclusi dall’amnistia emanata dal ministro di Grazia e Giustizia Palmiro Togliatti proprio per le torture inflitte a Luigi Canali e a Giuseppina Tuissi. Le fotografie di Gianna dopo la cura erano quelle di Auschwitz. Sottoposta a quelle sevizie per oltre un mese, si lasciò scappare il nome di una base milanese. Praticamente nulla. Ma un nulla sufficiente per alcuni suoi compagni a ucciderla: un colpo di pistola alla pancia e uno alla nuca per non farla più affiorare dalle acque del lago. Gianna si era consegnata inerme ai suoi giustizieri: «non credo che sopporterò a lungo il mio travaglio: anche quando si è tanto forti come fui io in passato, certi colpi inferti contro la nostra dignità, contro i nostri ideali, quando ci si sente tacciati di tradimento, quando si vede morire il proprio compagno come un vile, mentre si sa che ha vissuto per un puro ideale, ci si sente oppressi e si desidera la morte». Nel 1987, Rossana Rossanda ha scritto parole intensamente inconsuete per chi ha mangiato a lungo il pane e la politica del partito: «e mi sfilavano davanti le immagini dei compagni uccisi... Questo ricordo, vivido come i colori freddi d’una giornata d’aprile nel nord, e quello immediatamente successivo del neri e della Gianna, uccisi dai loro e miei compagni per una storia oscura e della quale mi si avvertì assai energicamente che non mi dovevo occupare, fece sì che non mi è riuscito di dire: “ai bei tempi della Resistenza”». Forse non erano stati bei tempi, ma era stata una grande storia: ogni sogno di liberazione porta con sé i suoi incubi. L’ombra e la profondità: Gianna è lì. Vicino a lei, a Villa d’Este, Tancredi continua a ballare: «Se vogliamo che tutto rimanga come prima, bisogna che tutto cambi». Loro, i gattopardi, hanno continuato a vivere, a vincere e a governare. Sotto quell’acqua c’è una giovane donna dimenticata, senza nessun fiore a increspare l’onda dolce del ricordo. Forse è giusto così: il mondo che lei sognava è irrimediabilmente perso. Brano tratto dal saggio Con i piedi nell’acqua – Il lago e le sue storie, Milieu edizioni, Milano.2013. Cecco Bellosi: Nato a Isola Comacina (ora Colonno) sul lago di Como, nel 1948. Laureato in filosofia, viene arrestato nel 1980 per attività sovversive. Ha trascorso una decina d’anni nelle galere della Penisola, senza riuscire a perdere il gusto per l’ironia e il disincanto: sul mondo delle carceri speciali ha scritto il testo teatrale Labirinto (Spirali). Da oltre vent’anni lavora come coordinatore dell’Associazione Comunità Il Gabbiano per persone con problemi di dipendenza e per minori in difficoltà. Ha scritto Il paese dei contrabbandieri (Nodolibri), dedicato all’avventurosa epopea degli sfrosadori; Piccoli Gulag(DeriveApprodi), sulle insidie delle comunità terapeutiche. Ha scritto il racconto della sua militanza in Potere Operaio, raccolto nel libro Insurrezione armata (Rizzoli), a cura di Aldo Grandi.
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