Torna alla homepage

Sagarana SABATO MATTINA


Brano tratto dal romanzo Storia di mio figlio


Nadine Gordimer


SABATO MATTINA



(…) Comprarono i mobili a rate. Il sabato mattina andavano in città a far compere, prima in autobus poi con la macchina che erano riusciti ad acquistare. Baby era tutta elegante nei suoi calzettoni bianchi dal bordo infiocchettato mentre Will indossava il suo completo da safari coi calzoni lunghi, in piccolo l'abbigliamento da sabato mattina del padre. Sonny e Ma trasportavano la spesa settimanale in borse di plastica la cui scritta – O.K. Ba­zaars – identificava ovunque per la strada le famiglie come la lo­ro, lavoratori che dovevano fare i loro acquisti nei grandi magazzini più a buon mercato della città, che una volta la settimana si concedevano un cono gelato o le noccioline per i bambini e il lusso di fare la coda per una birra nel locale segregato dal negozio di liquori in cui erano serviti i bianchi.

Come la vegetazione che cresce subito dopo la pioggia, il sa­bato quella gente compariva in città ricoprendo le strade di bam­bini recalcitranti, di uomini e donne con gli occhi fissi sulle vetrine per studiare le condizioni di pagamento rateale per l'acquisto di camere da letto e soggiorni i cui nomi miravano a dare agli umili e fatiscenti tuguri in cui quella gente viveva la parvenza di grandiose dimore: "Granada", "Versailles". Nel corso della setti­mana la calca svaniva, tutti rientravano obbedienti nelle aree create appositamente per loro fuori della città. I lavoratori ritornavano nelle fabbriche, gli insegnanti nelle scuole; uomini, donne, bambini – ognuno si atteneva ai percorsi quotidiani della propria area circoscritta. In città, gli avvocati, gli agenti immobi­liari e i funzionari comunali si muovevano senza essere spintonati da nessuno in strade ampie, spaziose, ripulite dei detriti dovuti all'uso comune del sabato. Una città bianca.

Sonny e sua moglie non desideravano né "Granada" né "Versailles"; quando si apprezza Shakespeare, ci si libera della dabbenaggine che ci rende schiavi dei grandi bottegai che reggono il mondo, pronti a vendere chiunque per una manciata di il­lusioni. (Falsi valori – ma così li avrebbe chiamati solo più tardi). Tuttavia la coppia non si distingueva affatto dalla folla dei suoi simili che ogni sabato giungeva in città per fare compere dai bianchi. Tenendo i figli per mano, passavano davanti ai due ci­nema della cittadina senza rendersi conto di non esserci mai en­trati, di non poterci entrare. Quando la famiglia di Sonny aveva fame, lui comprava patatine fritte nel negozio del greco e quan­do i bambini avevano finito di mangiarle camminando, lui e Aila gettavano con cura la carta appallottolata, ancora umida di aceto, nel cestino dei rifiuti; davanti al negozio del greco c'era anche qualche tavolino con sudici vasetti di fiori artificiali e bottiglie di ketchup, a cui i clienti potevano essere serviti, ma non quella famiglia. Se – come sempre – i bambini volevano fare la pipì, i genitori affrettando il passo si dirigevano verso la stazione dove vi era la sola toilette che quelli come loro potevano usare, anche se i grandi magazzini avevano un bagno di cui gli altri clienti potevano fruire. Come un altero animale feroce segna il territorio in cui cacciare e accoppiarsi, confine che nessuno può varcare, così pareva che il Comune emanasse un odore che invi­tava a stare all'erta, una scia di immutabile autorità che ammoniva i visitatori del sabato a non trasgredire. E loro leggevano quella traccia, la riconoscevano sempre, era sempre stata li. Non erano necessari avvisi per esplicitarla; ve ne erano pochi in città, sulle panchine per esempio. Non ve n'erano in biblioteca; ma nessuno avrebbe fatto finta di non sapere quel che si doveva sapere su quell'edificio da cui proveniva la scia, mascherata questa volta dall'odore dei libri, il fresco mosto di carta ingiallita, cuoio graffiato, e la fragranza del legno assorbita dagli scaffali in cui erano conservati, come il brandy acquista il suo aroma dalle bot­ti in cui matura.

L'amante di Shakespeare non aveva mai avuto il diritto di en­trare nella biblioteca comunale e perciò nemmeno vi pensava nel vedere i bianchi uscirne con i libri sotto il braccio; non riconosceva quel che l'edificio rappresentava per lui, con lo stemma del Comune e il motto sopra le colonne dell'ingresso: CARPE DIEM.

 







Brano tratto dal romanzo Storia di mio figlio, Feltrinelli editrice, Torino, 1991. Traduzione di Franca Cavagnoli.




Nadine Gordimer

Nadine Gordimer (Johannesburg, 20 novembre 1923) è una scrittrice sudafricana, autrice di romanzi e saggi, vincitrice del Booker Prize nel 1974 e del Premio Nobel per la letteratura nel 1991. Nel gennaio 2007 le viene assegnato il Premio Grinzane Cavour per la Lettura.





    Torna alla homepage copertina I Saggi La Narrativa La Poesia Vento Nuovo