IL FIUME INARIDITO Brano tratto da L’uomo che allevava gatti Mo Yan Una luna enorme, grondante di rosso, si innalzava a est del villaggio nel crepuscolo della pianura immensa. Le case, tinte del rosso lugubre della luna, sparivano dietro un velo sempre più spesso di nebbia e di fumo. Il sole era appena tramontato e una lunga nuvola purpurea aleggiava ancora all’orizzonte. Piccole stelle gracili tra il sole e la luna mandavano bagliori intermittenti. Il villaggio scivolava lentamente nel mistero, non un abbaiare, non un miagolio, né grida di anatre o di oche, solo il silenzio. La luna si levava, il sole tramontava. Un bambino sgusciò fuori da una porta fatta di ramaglie e in quel momento una stella si spense nel cielo. La sagoma del bambino, come l’ombra di uno spettro, galleggiò leggera nell’aria e ondeggiò sull’argine del fiume dietro al villaggio. Sotto l’argine, l’erba secca e le foglie ingiallite dei pioppi e dei salici sembravano ansimare. Il bambino avanzò lentamente, accompagnato dal debole suono dell’erba secca calpestata e delle foglie morte frantumate, e saltò a piccoli passi sull’argine. Si accovacciò, il corpicino sparì nell’ombra che lo avvolgeva. Il mattino dopo sembrava una piccola rana raggomitolata nel letto del fiume, e immersa in un sonno profondo. La gente del villaggio, che lo osservava facendo cerchio attorno a lui, per la maggior parte ignorava quanti anni avesse, e pochi conoscevano il suo nome. I suoi genitori avevano lo sguardo vuoto, simile a quello dei pesci, e si mostravano incapaci di rispondere alle domande degli altri. Era un bimbo magro, dalla pelle scura, aveva la bocca larga, il naso schiacciato, l’occhio vivo e brillante di chi ignora cosa sia la malattia. Non aveva rivali nell’arrampicarsi sugli alberi. Ma quel mattino il suo viso era seppellito tra i germogli delle zucche e furono le sue natiche a salutare l’affacciarsi del sole. I visi aridi come il deserto, gli abitanti del villaggio riuniti attorno al cadavere fissavano le piccole natiche più chiare del resto del corpo. Erano coperte di ferite, e di luce solare. Le guardavano come se si trattasse di un bel viso di bimbo, come se stessero guardando me. Stava accovacciato sull’argine, le mani strette nell’incavo delle gambe piegate, il mento sulle ginocchia puntute. Aveva l’impressione che il cuore gli corresse per il corpo come un topo: ora l’aveva in gola, ora nello stomaco, ora negli arti. Il corpo si era trasformato in una tana, dove il cuore, diventato ora un ratto, si muoveva in tutta libertà. La luna continuava a salire grondante di luce. Un vapore che non era né fumo né nebbia si levava dal villaggio, coprendo a poco a poco le case. La cima del pioppo, l’albero più alto del paese, forava la massa informe del vapore. Faceva pensare a un ombrello, il cui tronco fosse il manico e il vapore la calotta, o a un cappello, o anche a un baldacchino o a un fungo velenoso. Gli altri alberi del villaggio erano ripiegati su se stessi, non osando sfidare il pioppo che puntava con superbia la cima verso il cielo. A una ventina di metri d’altezza c’era una biforcazione e lì, in una massa confusa di ramoscelli, abitavano gazze e corvi che si azzuffavano tutto il giorno e pigolavano alla luna quando sorgeva luminosa. Forse, quand’era accovacciato nell’ombra, un grido simile a un singhiozzo era uscito dalla sua gola secca. Forse, in quel momento, si era ricordato di quanto era appena accaduto. Indossava una tunica troppo larga per lui, era scalzo e si trovava davanti all’unica grande casa di mattoni del villaggio. Una deliziosa bambina dagli occhi neri come le pedine di lacca del weiqi abitava nella casa. La bambina gli domandò:
- Xiao Hu, sei capace di arrampicarti sul pioppo? Lui la guardò stupito, storse la bocca in una smorfia e arricciò il naso. - Non sei capace, eh? È così, non te la senti! Xiao Hu si morse le labbra.
- Saresti capace di andarmi a prendere un ramo? Voglio quello, lo vedi? Quello dritto e liscio, così potrò farmi un fucile e dopo giocheremo alla guerra. Tu farai la spia e io il soldato dell’Esercito di liberazione. Xiao Hu scosse energico la testa.
- Lo sapevo che non ne eri capace, non sei per niente una piccola tigre ma piuttosto una piccola scrofa! – insistette lei arrabbiata. – D’ora in poi non giocherò più con te. Guardò con i suoi occhi neri e splendenti la bambina, le labbra imbronciate come se stesse per scoppiare a piangere. Strofinò i piedi per terra e disse: - D’accordo, salgo. - Sul serio? – chiese lei felice. Xiao Hu annuì con vigore e si tolse la tunica scoprendo la pelle bruna. - Fammi la guardia, - la esortò. – I miei mi hanno proibito di arrampicarmi sugli alberi. La piccola prese i vestiti e fece cenno di sì con la testa: poteva contare su di lei. Strinse il tronco fra i piedi. Uno strato di spessa pelle li ricopriva permettendogli di aderire perfettamente alla corteccia argentata. Si arrampicò con l’agilità e la naturalezza di un gatto. La bambina, con i vestiti in mano e il viso rivolto al cielo, osservò il pioppo piegarsi lentamente verso di lei. Sbalordita seguì con lo sguardo il bambino scalzo e a torso nudo il cui peso faceva inclinare il grosso tronco del pioppo ad arco, tanto che sembrava in procinto di scagliarlo in cielo. Fu scossa dai brividi. Poi l’albero tornò a drizzarsi nella luce crepuscolare di fine autunno, i rami bianchi scintillanti catapultati verso l’alto sferzarono l’aria azzurrina. I rami più piccoli fitti e sottili danzarono nel cielo limpido come il ghiaccio. Le poche foglie rimaste, benché appassite, conservavano la loro tinta bluastra e frusciavano lievi assecondando il movimento dei rami. La bambina, soggiogata dai magici movimenti del pioppo, fissava la schiena del compagno, simile a un pesciolino nero e luccicante come le ali di un corvo, che continuava ad arrampicarsi sempre più in alto. - Scendi, presto, Xiao Hu, l’albero sta per cadere, - gridò. Il bambino aveva raggiunto la rada cima del pioppo, dove volteggiavano gazze e corvi, simili a uno sciame d’api o di farfalle. - L’albero sta per spezzarsi! – gridò la bambina sovreccitata, ma Hu si arrampicò più veloce. L’aria mossa dalle ali delle gazze e dei corvi gli spazzò il collo, e un brivido gli percorse la schiena. Le grida della bambina lo riportarono alla realtà, si rese conto che i rami si erano fatti sottili e morbidi e si piegavano pericolosamente, il cielo girava inclinato, simile a una lastra di ghiaccio. Il muscolo di una gamba prese a sussultargli, era visibile a occhio nudo. Sentì di nuovo le grida della bambina. - Xiao Hu, scendi, presto! L’albero si piega, cadrà sulla nostra casa, romperà le tegole del tetto e la mamma ti picchierà! Trasalì per la paura, incollò il corpo all’albero e fissò lo sguardo in basso. Improvvisamente fu preso dalle vertigini, rendendosi conto con terrore di quanto fosse salito in alto. Il pioppo sovrastava tutti gli alberi del villaggio, come un cigno in mezzo alle papere. Una sensazione di piacere immenso l’aveva colto mentre si arrampicava. Il suo sedere dominava tutte le case del villaggio, e persino il sole, che declinava rapidamente assumendo la forma di un uovo di anatra. Guardò i tetti delle capanne in lontananza, la pioggia aveva imputridito e compresso la paglia, lasciando uno strato di muschio cresciuto durante l’estate e macchiato da escrementi di uccelli. La strada principale spariva sotto una spessa coltre di polvere, un’automobile verde attraversò il villaggio sollevando una nube di pulviscolo grigio che impiegò un bel po’ di tempo a posarsi. Quando l’aria tornò limpida, vide un cagnolino giallo che era stato investito dalla vettura e vacillava sulla strada trascinando gli intestini nella polvere, come una lunga corda. Il cane avanzava senza un lamento, sembrava rassegnato alla sua sorte. Il tepore emanato dal suo pelo si allontanò gradualmente, e mentre camminava si trasformò in un coniglio, poi in un topo giallo fino a scomparire del tutto. Attorno a sé sentì il suono che produce il vento soffiando nel collo delle bottiglie vuote, senza però riuscire a localizzarlo. In basso si dispiegava il mondo degli uomini dove il caldo e il freddo si distribuivano sulle cose. Lì in alto, sul suo albero, non faceva né caldo né freddo, ma lui tremava di paura, come una cicala intirizzita avvolta tra le foglie. Osservò la cacca di un uccello cadere a picco sulla casa di mattoni. La bambina continuava a gridare, ma lui non la sentiva più. Guardava sgomento il cortile della casa, che non avrebbe mai potuto vedere se non fosse salito sull’albero, e anche se la bambina dagli occhi neri come il carbone lo veniva spesso a cercare per giocare, i suoi genitori gli avevano ripetuto infinite volte che non doveva andare a giocare a casa di Xiao Zhen. La bambina lì sotto era Xiao Zhen? Non ne era sicuro. Per via del suo sguardo sempre perso nel vuoto, lo consideravano un po’ tonto. Osservò il cortile: all’interno c’era un corridoio molto ampio, un “muro degli spiriti” nascondeva l’entrata e lungo questo crescevano alcune rose che, perse le foglie, mostravano solo steli rosso porpora. I suoi occhi furono abbagliati dalla luce riflessa dai raggi delle ruote di due biciclette parcheggiate nel cortile. Un uomo corpulento uscì dalla casa e orinò rumorosamente contro il muro. Scorgendone il viso sanguigno, il bambino si spaventò al punto di stringersi ancora di più al tronco dell’albero, non osando nemmeno respirare. Quell’uomo una volta l’aveva preso per l’orecchio e gli aveva chiesto davanti a tutti: - Quante zampe ha un cane, Xiao Hu? – Mordendosi gli angoli delle labbra aveva risposto: - Tre! – Tutti erano scoppiati a ridere. Suo padre e suo fratello erano tra la folla; il fratello era diventato rosso per la rabbia, mentre il padre imbarazzato aveva riso insieme agli altri. Suo fratello avrebbe voluto picchiarlo, ma il padre si era intromesso: - Al Segretario piace divertirsi con lui, vuol dire che gli siamo simpatici e che ha un po’ di considerazione per la nostra famiglia - . Suo fratello l’aveva lasciato andare e prendendo una focaccia di patate dolci annerita gli aveva chiesto incollerito: - Cos’è questa? Stringendo i denti il bambino aveva risposto:
- Merda di cane! - Xiao Hu, sbrigati! – urlò la bambina ai piedi dell’albero. Lentamente riprese a salire verso la cima. Le gambe gli tremavano violentemente. Un fumo denso e biancastro uscì improvvisamente dal camino della casa di mattoni e si infiltrò tra i rami in direzione dei nidi. Sporche piume vi si rotolarono dentro, gli uccelli neri con le ali tinte di rosso dai raggi di sole si affollarono attorno a lui mandando richiami assordanti. Con una mano afferrò il ramo robusto e lo tirò con tutte le sue forze verso il basso: l’albero vacillò, ma il ramo non cedette. - Tieni duro! – gridò la bambina. – L’albero è solido, ondeggia solo per farti paura. Tirò il ramo con forza e questo si piegò ad arco. Sentì un formicolio al braccio e le dita intorpidite. Il ramo non si spezzò, e lui a un tratto perse la presa. Le gambe gli tremarono ancora più forte e la testa ricadde verso il basso. La bambina aveva sempre il viso rivolto in alto a guardarlo. Volute di fumo ribollivano, montando verso la cima dell’albero come onde. Il suo corpo era gelato, due capelli gli si rizzarono rumorosamente sulla nuca, ancora una volta si rese conto di quanto era salito in alto. Il ramo liscio restava orgogliosamente al suo posto, quasi a volerlo sfidare. Serrò le gambe al tronco, allungò le braccia e lo tirò con energia verso il basso; il ramo cigolò e urtò contro gli altri. Vi si appoggiò con tutte le sue forze e tutto il suo peso, dimentico dei piedi, che però erano ancora aggrappati al tronco. Più il ramo si piegava più sentiva un odio nascere dentro di sé, mandò un grido soffocato e vi si appese con tutto il corpo. Il ramo cedette. Si spezzò con un rumore secco, un nervo saltò nella sua testa, e il suo essere affondò in una specie di voluttà. Spiccò il volo con leggerezza, accompagnato dal lungo ramo. Attorno a lui ruotavano l’aria limpida, le volute di fumo bianco e la luce arancione del crepuscolo. A un tratto vide uscire di corsa dalla casa di mattoni, divenuta improvvisamente piatta, una donna che indossava una giacca imbottita a fiori. La sentì lanciare un grido simile a un nitrito. La bambina lo guardava con gli occhi sgranati, le sembrava attaccato all’albero come un frutto maturo. Doveva essere una sensazione molto piacevole, lo invidiava, anche a lei sarebbe piaciuto attaccarsi all’albero. Poi all’improvviso tutto mutò. Il bambino e il ramo cadevano lentamente, il corpo di lui si svolgeva come un rotolo di seta marrone, mentre il ramo che lei stessa aveva indicato lo sferzava con un suono sordo. Avanzò di un passo, tenendo sempre i vestiti del bambino, quando a un tratto sentì il ramo frustarle la guancia e il rotolo di seta abbattersi su di lei. Era duro come una roccia e a colpirlo avrebbe certo mandato un suono simile a un chiodo che viene piantato. Il bambino si rialzò stordito, vari parti del corpo gli dolevano, ma a parte questo sembrava illeso. Vide subito la bambina stesa sotto il ramo, gli occhi neri socchiusi, un filo di sangue blu le colava dall’angolo della bocca. Le si inginocchiò accanto, infilò la mano attraverso le foglie del ramo e le sfiorò dolcemente il viso. Era duro, come un pallone troppo gonfio. (…) Note: Weiqui dama cinese. Si gioca su una scacchiera di 361 caselle, con pedine bianche e nere. Vince chi circonda l’altro. Chiamato Go in Giappone. Xiao Hu significa alla lettera “piccola tigre”. Xiao “giovane” viene preposto al nome per indicare una persona più giovane rispetto a chi parla, mentre Lao, “vecchio”, viene usato quando ci si rivolge a una persona più anziana. Brano tratto da L’uomo che allevava gatti Titolo originale Lao qiang, Ku be, Bai gou qiuqianjia, Baozha, Qi ying, Da feng, Zuiguo, Minjian yinyue, Yang mao zhuanyehu – Il racconto Il fiume inaridito è stato scelto e tradotto dal cinese da Daniele Turc-Crisà – Prima edizione Giulio Einaudi editore, Torino, 1997. Mo Yan, scrittore cinese, è il Premio Nobel per la Letteratura 2012.
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