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Sagarana LE ORIGINI MEDIEVALI DELL'ESPLORAZIONE ATLANTICA


Federica Morelli


LE ORIGINI MEDIEVALI DELL'ESPLORAZIONE ATLANTICA



Il Nuovo Mondo rappresentò un'improvvisa e sorprendente scoperta per Cristoforo Colombo e i suoi successori, ma il suo accesso — l'Atlantico — non era affatto sconosciuto ai marinai dell'Europa tardo medievale. La trasformazione del tetro e misterioso "regno dell'oceano"; ai margini della civilizzazione europea, nel "mare occidentale" del tardo medioevo è un capitolo importante ma abbastanza dimenticato della storia occidentale. Anche se tale processo avvenne in maniera più graduale e meno traumatica rispetto allo sviluppo del sistema atlantico dopo Colombo, esso implicò tuttavia esplorazioni, incontri e scambi, l'interazione tra percezioni geografiche e realtà.

In questa ottica, il viaggio di Colombo non rappresenta tanto l'inizio di un'era, quanto piuttosto il culmine di un processo molto più ampio, il risultato della convergenza di una serie di condizioni strutturali dell' Euro­pa tardo medievale, che resero possibile la carriera di uomini come Enrico il Navigatore e lo stesso Colombo. Ancor prima di unire l'emisfero orien­tale a quello occidentale, l'Atlantico aveva unito l'Europa meridionale a quella settentrionale, il Mediterraneo al Mare del Nord. Questo legame fu cruciale per "la scoperta di uno spazio atlantico"; ossia un processo che ha implicato non solo scoperte, ma anche l'elaborazione di nuove defini­zioni'. Dal XIII al XV secolo, l'Atlantico europeo fu attraversato, esplorato, cartografato, e di conseguenza definito; la diffusione di saperi nautici, car­tografici e geografici creò una comunità integrata di marinai e navigatori europei che formarono il primo nucleo di un'emergente comunità atlantica.

L'eterna insistenza sulle imprese di Colombo come figura geniale e centrale della scoperta dell'America, rafforzata dalle commemorazioni per il quinto centenario nel 1992, contribuisce a perpetuare due interpreta­zioni ormai superate dalla storiografia: il Rinascimento come immagine contrapposta all'età buia precedente; una visione nazionalista dell'espan­sione europea, secondo la quale la formazione statale avrebbe giocato un ruolo più importante dei fattori sociali, culturali ed economici. Come lo stesso Colombo, i marinai europei si avventuravano nell'oceano non solo per motivi politici e commerciali, ma anche perché erano circondati e in­fluenzati da una serie di narrazioni, immagini e percezioni dell'esistenza di meravigliose zone di pesca e di isole mitiche, oltre che di un mare occiden­tale sempre più accessibile. La formazione di un "Atlantico europeo" nel tardo medioevo costituisce quindi il primo capitolo della storia atlantica e la precondizione necessaria per la materializzazione di un mondo atlan­tico. Non è sufficiente considerare la cultura e il commercio dell'Europa tardo medievale per comprendere come si giunse all'età d'oro della colo­nizzazione atlantica: non furono infatti solo la conoscenza della natura fi­sica dell'oceano, con i suoi venti e le sue correnti, o il commercio a spingere gli europei verso ovest, ma anche il loro immaginario collettivo.

Tra i viaggi scandinavi del primo medioevo e Colombo possiamo indi­viduare tre fasi di intensa navigazione e esplorazione atlantica. La prima inizia nel 1277, quando le navi genovesi oltrepassano le colonne d'Ercole, entrando nell'oceano. Di fronte alle diminuite prospettive di guadagno provenienti dal commercio con il Mediterraneo orientale e il Mar Nero, a causa della concorrenza veneziana e della presenza sempre più minacciosa degli ottomani, i genovesi decisero di entrare nei mercati emergenti del Nord Europa, portando con loro sia la considerevole esperienza nautica sia i capitali finanziari. Nelle città fiamminghe di Brugge (Bruges) e Gent (Gand) i genovesi compravano tessuti in cambio di spezie, sete e altri beni di lusso provenienti dall'Asia e dal Mediterraneo.

La seconda fase dell'esplorazione medievale atlantica è caratterizzata dalla scoperta e colonizzazione dei più importanti arcipelaghi dell'Atlan­tico orientale: le Canarie tra il 1312 e il 1335; Madeira tra il 1339 e il 1425; le Azzorre dopo il 1427. In tutti questi casi, l'iniziativa e il finanziamento dell'impresa furono genovesi, ma lo sforzo generale fu essenzialmente eu­ropeo, in quanto coinvolse marinai italiani, iberici, francesi e fiamminghi. Le Canarie, ad esempio, furono scoperte accidentalmente da Lanzarotto Malocello, un mercante genovese che aveva legami con Cherbourg, nel nord della Francia, e con Ceuta in Marocco. In uno dei suoi frequenti viaggi lungo l'Atlantico, a nord e sud di Gibilterra, si imbatté nell'arcipelago. La scoperta e conquista degli arcipelaghi dell'Atlantico orientale dette impulso a due processi fondamentali: da un lato, lo sviluppo di una comunità di marinai atlantici europei; dall'altro l'integrazione di un'area di navigazione e di commercio delimitata a nord dalle Azzorre, a sud dalle Canarie e a est dalle coste africane e iberiche, e unita dalla coltivazione della canna da zucchero che da est era migrata progressivamente a ovest. Tale zona, il "Mediterraneo atlantico" di Fernand Braudel e Pierre Chau­nu, cominciava a essere definita dai contemporanei il "mare occidentale".

La terza fase dell'esplorazione precolombiana, legata commercialmen­te e culturalmente alle due precedenti, coincide con le spedizioni britanniche del xv secolo nell'Atlantico del Nord. Non si trattava di un fenomeno isolato e completamente separato dalle reti commerciali dell'Atlantico meridionale: anzi i due spazi, come vedremo, cominciarono a integrarsi nel corso del Quattrocento. In effetti, il commercio britannico con l'Islanda, che coinvolse marinai delle due coste inglesi – quella occidentale e quella orientale – e del porto irlandese di Galway, non era un semplice scambio di cibo e tessuti con pesci. Si integrò al resto dell'Atlantico eu­ropeo grazie all'ampia domanda di stoccafisso proveniente dal Sud e alle provviste di sale provenienti da Francia e Portogallo. I viaggi della nave inglese Christopher tra il 1479 e il 1485 esemplificano chiaramente que­sto commercio triangolare: la nave mantenne rapporti regolari tra Bristol, Lisbona e l'Islanda scambiando tessuti inglesi e stoccafisso islandese con frutta, vino, sale e zucchero provenienti dal Portogallo. I viaggi della Chri­stopher riflettono quindi una sempre maggiore convergenza tra l'Atlanti­co settentrionale e quello meridionale durante il tardo medioevo.

Tale convergenza condusse gli europei del Sud e del Nord a condividere una stessa visione della frontiera occidentale. Questa non era né statica, né immutabile: l'Occidente indicava più una direzione ambigua che un luogo preciso. Durante il medioevo, gli europei furono infatti richiamati dalle meraviglie dell'Oriente più che dai misteri dell'Occidente. In fondo, in Oriente si trovava il centro del loro universo – la Terra Santa – così come il loro nemico giurato – i musulmani – e le fonti dei loro desideri materiali – India e Cathay. L'Occidente, invece, si identificava con il ben più indefinito "regno dell'oceano", che apparve sulle carte geografiche solo nel XIV secolo quando l'Atlante Catalano del 1375 lo illustrò per la prima volta in modo ambiguo e contraddittorio: se da un lato l'oceano era una barriera protettiva, dall'altro costituiva una distesa desolata e infinita.

Tuttavia, tale vastità era popolata da una serie di isole reali e immaginarie, apparse in primo luogo nelle utopie e nei mondi fantastici della let­teratura medievale. Il genere letterario, gli isolarii, dedicati esclusivamente alle isole fantastiche del Mediterraneo orientale, sono esempi emblematici di una letteratura di viaggio esotica che combinava informazioni mitiche, storiche e geografiche sulle isole con testi, immagini e mappe basate sui portolani, ossia i dettagliati manuali per la navigazione portuale e costiera. Nell'Europa occidentale, le isole giocarono un ruolo centrale nella sco­perta e definizione dello spazio atlantico, sia che fossero simboli evasivi dell'Occidente, come Antillia, o territori tangibili come le Canarie. In questo senso, la scoperta di una serie di arcipelaghi atlantici nel corso del XIV e XV secolo sembrò confermare l'esistenza di terre di passaggio verso l'Asia;. La conquista delle Canarie segna la prima demarcazione tangibile dell'Atlantico europeo. Essendo delle isole abitate, il lungo processo di conquista, colonizzazione e sfruttamento di queste terre costituisce un'anteprima di ciò che sarebbe accaduto dopo Colombo; dal punto di vista dell'incontro con gli indigeni e dell'impatto dei conquistatori, rappre­sentano infatti il primo "Nuovo Mondo» degli europei. La loro conquista durò più di un secolo e non solo implicò molti viaggi, ma coinvolse anche un numero importante di uomini dal Mediterraneo e dalle altre regioni atlantiche dell'Europa. I traffici regolari con le Canarie porteranno poco dopo alla scoperta di altri due arcipelaghi atlantici, Madeira e le Azzorre, che, a loro volta, contribuirono a espandere e definire il mare occidentale.

Nelle carte e mappe dell'epoca non c'era tuttavia una distinzione tra le isole reali e quelle fantastiche, e spesso si trovavano le une accanto alle altre. La cartografia, infatti, anche se in espansione, era il prodotto di due ten­denze distinte: da un lato, del desiderio di produrre mappe che riflettessero le nuove scoperte; dall'altro, del mito e della tradizione. Come le scoper­te degli arcipelaghi atlantici, la raffigurazione di isole leggendarie serviva da spinta verso ulteriori esplorazioni. Tra queste le più ricorrenti erano Antillia (o Antilia), San Brandano e l'isola di Brasil. Antillia, conosciuta anche come l'isola delle Sette Città, derivava dalla cultura della Reconqui­sta e dalla narrativa sull'esilio: la leggenda narra che, a causa dell'invasione dei mori, l'ultimo re visigoto della Spagna e sette vescovi cristiani avevano lasciato la penisola per rifugiarsi su un'isola dell'Atlantico, dove ancora vivevano i loro discendenti. Mano a mano che le esplorazioni e le scoperte procedevano e che l'isola non si materializzava, Antillia divenne sinonimo di un luogo che poteva essere percepito ma mai raggiunto.

San Brandano e l'isola di Brasil furono le controparti settentrionali di Antillia. La prima divenne famosa grazie alla circolazione, a partire dal X secolo, della Navigatio Sancti Brendani Abbatis (il viaggio di San Bran­dano abate), un testo che narrava le vicende miracolose e i viaggi di un monaco irlandese, Brendan de Clonfert, e dei suoi seguaci che si spinse­ro nell'Atlantico settentrionale fino a imbattersi in un'isola, conosciuta come l'isola dei beati. Per quel che riguarda Brasil, c'erano in realtà due isole nella cultura e nell'immaginario dei marinai britannici: l'Hy-Brasil della tradizione celtica e il Brasil galleggiante del Mediterraneo, di origini iberiche. Mentre la prima coincideva spesso con l'isola di San Brandano, la seconda era situata da qualche parte nell'Atlantico mediterraneo. Il fatto che queste isole appaiono ancora nelle mappe del XV secolo indica l'im­portanza della tradizione e dell'immaginario nella cartografia medievale. Inoltre, la loro percezione collettiva, tanto nell'Atlantico del nord che del sud, mostra una significativa coincidenza tra la tradizione marittima bri­tannica e iberica: dati come il nome delle isole, le mappe, l'immensa fortuna e le molteplici traduzioni della Navigatio di san Brandano indicano che gli iberici erano altrettanto interessati alle isole settentrionali di Brasil e San Brandano così come gli inglesi lo erano verso le isole della tradizione mediterranea.

Oltre alle leggende insulari, alla letteratura esotica di viaggio e alle cre­denze dei marinai, un altro importante legame culturale tra le tradizioni marittime del nord e del sud fu la rivoluzione geografica e cartografica del tardo medioevo. Nella storia della cartografia, tale periodo è stato classificato come di transizione in base alla compresenza di tre elementi: i portolani; la ricomparsa della Geographia di Tolomeo nelle prime deca­di del 1400; l'esplorazione delle isole atlantiche e delle coste africane. La riscoperta di Tolomeo spingeva tanto al commento e alla revisione della sua opera, quanto all'esplorazione di mari e terre: dato che il suo mondo non aveva limiti geografici ben definiti, i portolani e le scoperte atlantiche potevano perfettamente conciliarsi con la sua Geographia. Il best seller cosmografico del XV secolo, la Imago Mundi del cardinale Pierre d'Ail­ly (ca. 1350-1420), rappresentò un altro importante legame tra le culture marittime del nord e del sud, sia per la sua popolarità che per i problemi che affrontava: la circonferenza della terra, l'estensione dei continenti e la larghezza dell'oceano tra le estremità occidentali e orientali. Nel pieno della tradizione tolemaica, d'Ailly sottostimava la circonferenza della terra di circa un terzo e sovrastimava l'estensione dell'Eurasia: di conseguenza inaugurò il concetto di "stretto Atlantico". Il vasto regno dell'oceano era così limitato e ridotto a uno spazio navigabile, il cui attraversamento era reso più facile dall'esistenza di isole di passaggio. In pochi secoli, la perce­zione europea della massa d'acqua che costituiva il confine occidentale si era trasformata da uno spazio infinito a un mare ristretto.

Lo sviluppo di una cultura e un'economia marittima integrata lungo il litorale atlantico dopo il 1300 fu quindi il risultato di forze sia interne sia esterne. Se la rotta verso le Indie orientali fu resa più tortuosa dall'avanzata degli ottomani, questo interesse verso l'Oriente creò allo stesso tempo un fiorente commercio di riesportazione tra la penisola italiana e il resto d'Europa. Tale commercio, insieme a una significativa crescita della popolazione europea dopo il 1100, lo sviluppo della Lega anseatica e l'emergere di Bruges come uno dei principali centri dell'economia bipolare, contribuì ad aumentare i contatti commerciali tra l'Europa settentrionale e meridionale. Se all'inizio questi contatti avvenivano via terra, a partire dalla fine del XIII secolo, con i viaggi via mare dei genovesi verso le Fiandre, fu l'Atlantico a unire sempre più l'Europa meridionale a quella settentriona­le. Tali viaggi implicavano non solo lo scambio di beni, ma anche la diffu­sione di tecniche di ingegneria navale e di navigazione, l'espansione dei saperi geografici e cartografici, contribuendo alla creazione di un'economia marittima europea che aveva come pilastri l'Atlantico e il Mediterraneo.

Il movimento verso occidente non consisteva tuttavia solo di spinte commerciali, ma va considerato come parte di un più ampio processo di acculturazione. Le origini di questo processo rimontano ai secoli centrali del medioevo, quando ci furono consistenti movimenti migratori non solo verso est e fuori dell'Europa, grazie alle crociate e all'espansione te­desca nella regione baltica, ma anche verso ovest e all'interno dell'Europa, con la colonizzazione anglo-normanna dell'Irlanda e quella castigliana dell'Andalusia. Questi due esempi sono strettamente legati all'esplorazio­ne atlantica, poiché gli inglesi assimilarono la tradizione marittima celtica mentre i castigliani quella andalusa. Inoltre, dato che queste migrazioni implicarono processi di conquista e colonizzazione, furono rilevanti per la trasformazione degli europei in colonizzatori. I cristiani europei che sal­parono verso le coste delle Americhe, dell'Asia e dell'Africa nel XV e XVI secolo provenivano da una società che a sua volta era già stata colonizzatri­ce al suo interno. Tale processo aveva implicato non solo lo spostamento di élite guerriere, di letterati, commercianti e religiosi, ma anche di intere famiglie di contadini e braccianti, in base a vere e proprie politiche vo­lontarie di popolamento. L'Europa stessa, che iniziò uno dei più grandi processi di conquista, colonizzazione e trasformazione culturale dell'in­tero mondo, era così in parte anche il risultato di precedenti dinamiche di sottomissione di alcune popolazioni e culture da parte di altre. I movimenti degli europei verso il Baltico e l'Atlantico settentrionale e verso il Mediterraneo e le isole atlantiche possono quindi essere considerati dei precedenti della colonizzazione del Nuovo Mondo e alcune aree, come la penisola iberica e l'Irlanda, come società di frontiera dell'epoca medievale.

La conquista e colonizzazione delle Canarie costituisce la transizione tra il processo di espansione interna e quello atlantico. L'arcipelago servì infatti come base per ulteriori attività lungo la costa africana o verso le più lontane e disabitate isole come Madeira o le Azzorre. Non è un caso che Colombo avesse intrapreso il suo primo viaggio verso il Nuovo Mondo dalle Canarie e che l'arcipelago, grazie alle sue correnti marine, avesse spinto i portoghesi verso le coste sudafricane e l'oceano Indiano. Tuttavia, le Canarie rappresentano qualcosa di più che un semplice trampolino di lancio: furono la prima colonia esterna europea e implicarono il primo incontro degli europei con una popolazione sconosciuta, i nativi guanci. Dopo questo incontro, i mostri immaginari del mondo sconosciuto, o me­glio degli antipodi, assunsero altre sembianze.

Essendo isole abitate, ricche di prodotti grezzi, le Canarie costituiro­no il tronco da cui derivarono entrambi i rami dell'espansione europea: il ramo africano, caratterizzato dalla ricerca di prodotti sulla terraferma, come schiavi e oro; il ramo atlantico, che puntava alla ricerca di terre da sfruttare, non necessariamente abitate, nelle quali avviare la coltivazione di prodotti agricoli particolarmente richiesti in Europa. Se in un primo tempo, infatti, le isole furono razziate a fini commerciali, in un secondo momento furono colonizzate con il fine di incrementare l'espansione agricola. Dopo esser state accidentalmente scoperte da Malocello nel 1311, verso la metà del XIV secolo furono oggetto di varie spedizioni – porto­ghesi e catalane – che avevano lo scopo di razziare le isole per commerciare pellami, coloranti, prodotti di legno e anche schiavi – la cui domanda era ancora significativa nell'Europa medievale. I primi timidi tentativi di colonizzazione di queste terre erano volti a costruire spazi commerciali e forti per i raid di schiavi, dato che, almeno in questa fase, non si costruirono insediamenti produttivi di lungo periodo. Fu la Castiglia, all'inizio del XV secolo, a sponsorizzare la prima colonizzazione permanente dell'arcipe­lago, nonostante fossero stati i nobili normanni Gadifer de la Salle e Jean de Betencourt ad aver organizzato e realizzato di fatto l'impresa. Essi non solo impiegarono gli abitanti delle Canarie nella raccolta di coloranti (en­trambi provenivano da aree di produzione tessile), ma portarono in loco coloni normanni e provvidero a dividere le terre. Anche se l'esportazione dei raccolti richiese quasi un secolo, a partire dal 1520 le isole producevano zucchero, vino e prodotti derivanti dal bestiame. La conquista e colonizzazione delle Canarie fu quindi un' impresa a carattere internazionale, come lo fu il resto dell'espansione europea nell'Atlantico. Anche se molte delle scoperte furono fatte nell'ambito di imprese finanziate dalle corone iberiche, chi intraprese questi viaggi raggruppava risorse umane e mate­riali ovunque fosse possibile. Se gli iberici furono pionieri in qualcosa, fu nella velocità con la quale i monarchi rivendicarono la propria sovranità e con la quale si sobbarcarono gli sforzi necessari per mettere in atto queste pretese.

I portoghesi, guidati da Enrico il Navigatore, si distinsero per questa capacità. Il sovrano portoghese patrocinò, infatti, la spedizione per dop­piare Capo Bojador, che inizialmente fu concepita per raggiungere altri due obiettivi essenziali: una crociata contro il Marocco, che fallì, e la co­lonizzazione delle isole atlantiche. In seguito alla conquista spagnola delle Canarie, i portoghesi colonizzarono gli arcipelaghi di Madeira e delle Azzorre grazie a un sistema di concessioni feudali, monopoli signorili e privilegi fiscali temporanei, che si ispirava al modello della Reconquista. Madeira fu colonizzata rapidamente all'inizio degli anni venti del Quattrocento e pochi decenni dopo i suoi terreni fertili producevano già farina, vino e zucchero. L'italiano Bartolomeo Perestrello, futuro suocero di Colombo, fu uno dei protagonisti di tale processo. Le Azzorre, invece, furono colonizzate più lentamente grazie a un significativo contributo dei coloni fiamminghi. Forti di queste esperienze, i portoghesi appresero a navigare l'Atlantico dominando le correnti e i venti e costruendo imbarcazioni adatte alle condizioni dell'oceano. In ogni modo, queste prime esplora­zioni dell'Atlantico da parte degli iberici si erano ampiamente basate sulle abilità nautiche da questi sviluppate nel Mediterraneo fra il XII e il XIV secolo. In particolare, gli ebrei maiorchini, che dominavano la cartografia catalana, erano in stretti rapporti con le città portuali dell'Africa setten­trionale, dove avevano sentito parlare della "terra dei neri di Guinea":

Un altro elemento costitutivo del mondo atlantico che ebbe le sue ori­gini nel medioevo fu la tratta degli schiavi. Contrariamente a ciò che si pensa, il fenomeno del commercio degli schiavi non si interrompe con la fine dell'antichità. Anche se tramontò la società schiavista in senso stretto, poiché la manodopera schiava finì per non costituire più il fondamento del sistema economico in nessuna parte d'Europa, ciò non impedì il man­tenimento e la riproduzione di alcune forme di schiavitù. Fu soprattutto la rinascita economica dell'XI secolo, legata alla ripresa demografica e ur­bana e alla riapertura dei traffici a lunga distanza, che concorse a rilanciare

il commercio di schiavi praticato da numerose città del Mediterraneo. Fu­rono in primo luogo Genova e Venezia, grazie alla loro espansione verso i Balcani, il Mar Nero, la Palestina e la Siria a gestire tale commercio, eserci­tato soprattutto ai danni delle popolazioni slave: tra i principali centri di scambio vi erano infatti Creta e Cipro, colonie veneziane, e Caffa, sotto il controllo genovese. Fiorenti mercati di schiavi esistevano anche a Lisbona, Siviglia, Barcellona, Marsiglia e Napoli, oltre che a Genova e Venezia. In varie zone europee si faceva ricorso a manodopera schiava nell'agricoltu­ra e nelle miniere: dalla Catalogna a Napoli e alla Sicilia, dove numerosi africani giungevano via Tripoli e Tunisi, attraverso la tratta interna all'Africa. La maggior parte, tuttavia, era impiegata nell'attività domestica e artigianale.

Alla fine del medioevo, prima dell'avvio della tratta atlantica, nell'Eu­ropa mediterranea esistevano schiavi neri, nordafricani, turchi, tartari, greci e balcanici. Tuttavia, ciò che spinse all'avvio dell'uso della manodo­pera schiava e alla tratta nell'Atlantico fu la migrazione del sistema della piantagione – e in particolare di quella della canna da zucchero – da est verso ovest. La produzione di canna da zucchero, infatti, necessitava della presenza di una manodopera numerosa, in quanto prevedeva non solo il lavoro agricolo ma anche quello manifatturiero. Questa fu dapprima col­tivata dagli europei negli stati cristiani sorti in Palestina in seguito alle cro­ciate (XI-XII secolo), secondo tecniche in uso presso i musulmani. Pro­gressivamente, dopo la conquista araba di questi territori alla fine del XIII secolo, la produzione venne spostata a Cipro, Creta e in Sicilia, per poi trasferirsi nella Spagna orientale (Valencia e Malaga) e in Portogallo (Al­garve). Verso la metà del Quattrocento, la canna da zucchero fu esportata nelle isole atlantiche, nella costa occidentale dell'Africa, intorno al golfo di Guinea, e a São Tomé.

Il sistema di piantagione, e in particolare quello della canna da zuc­chero, costituisce il migliore esempio del processo di "europeizzazione" coloniale, ossia del trapianto di piante e animali del Vecchio Mondo in un ambiente in cui poterono prosperare e produrre grandi profitti. Le connessioni tra gli arcipelaghi atlantici e il Nuovo Mondo sono chiare: le Canarie, Madeira e le Azzorre furono i laboratori dell'imperialismo eu­ropeo e le lezioni apprese in queste terre influenzarono la storia mondiale per i secoli a venire. Tuttavia, il valore e l'importanza delle isole atlantiche non dovrebbero essere visti solo alla luce del loro ruolo di prototipi per il futuro, ma anche alla luce del loro ruolo nella formazione e definizione dello spazio atlantico. La loro ubicazione era tanto strategica all' inizio del XV secolo così come nel 1492, in quanto permise ai portoghesi di avven­turarsi verso sud in cerca di oro, schiavi, spezie e di una via commerciale per le Indie orientali. Un sistema coloniale di produzione di massa non si sarebbe stabilito su queste isole se non fosse esistito già allora un mercato integrato in Europa.

In breve, quindi, la navigazione europea dell'Atlantico non fu il prodotto di uno schema di larghe vedute, dell'esplosione di energie commer­ciali represse o l'effetto di nuove tecnologie. Al contrario, essa rappresentò il cauto avanzamento di una frontiera che usava o modificava leggermente le conoscenze e le tecnologie esistenti e che poggiava in prevalenza su pic­cole quantità di capitale privato. Bisognerà aspettare gli ultimi spettacolari viaggi fatti per circumnavigare l'Africa o attraversare l'Atlantico, perché il patronato reale, capitali sostanziosi e interessi geopolitici inizino a orien­tare e gestire le varie attività. Fu solo quando i navigatori portoghesi che esplorarono il Benin riferirono della possibilità di contatto con il prete Gianni in Etiopia, che la corona portoghese decise di finanziare il tenta­tivo di Diogo Cão di circumnavigare l'Africa. Allo stesso modo, solo la conquista dell'ultimo arcipelago delle Canarie e i viaggi di Colombo rice­vettero finanziamenti dalla corona spagnola.

Le bolle papali, che offrirono alle monarchie iberiche lo strumento legale per negoziare il monopolio dei commerci e la conquista di aree infedeli, giocarono un ruolo chiave nel convincere i sovrani a investire nelle impre­se di scoperta e conquista. Quella concessa dal papa Niccolò V al sovrano portoghese nel 1455 non lasciava alcun dubbio in merito: affermava che tutte le terre e le genti della Guinea (Africa occidentale) sarebbero passati sotto la giurisdizione del re portoghese e che le rivendicazioni della corona spagnola su quelle terre erano implicitamente illegittime. L'evangelizza­zione divenne quindi un obbligo imprescindibile. Non si trattava solo di un pretesto per saccheggiare o conquistare le terre degli infedeli: la conver­sione al cristianesimo offriva infatti anche la possibilità di entrare in contatto con i regni africani e intrattenere con le loro corti importanti scambi diplomatici. Inoltre, l'atmosfera millenarista del XV secolo, influenzata in buona parte dalla minaccia ottomana sul Sacro romano impero d'Oriente, fecero della guerra contro gli infedeli uno dei più elevati obiettivi dei cir­coli aristocratici europei. In un tale contesto, le contraddizioni insite nel rapporto tra missioni religiose e violenza non emergevano. Colombo stes­so offre un esempio significativo di come gli europei potessero combinare l'ideologia religiosa, addirittura il fanatismo, con i calcoli economici e la conoscenza tecnica. Non solo il suo viaggio fu determinato da una specie di missione provvidenziale che aveva come fine ultimo il finanziamento della riconquista cristiana di Gerusalemme, ma il suo racconto dell'incon­tro con i taínos – gli indigeni delle Bahamas –, avvenuto nell'ottobre del 1492, passa dalla descrizione di una popolazione semplice, sprovvista di religione e che quindi poteva essere facilmente convertita al cristianesimo, all'idea che queste stesse persone, che non conoscevano le armi europee, potevano essere facilmente soggiogate e trasformate in schiavi.

Alla fine degli anni ottanta del Quattrocento, tutte le condizioni che avrebbero permesso un'efficace traversata dell'Atlantico e una conquista di nuove terre erano state raggiunte: una maggiore conoscenza dei mari; le innovazioni tecniche navali e cartografiche; la costruzione di un network internazionale di commercianti disposti a investire nelle avventure marittime; l'uso di un modello giuridico – quello delle bolle papali – che permetteva alle monarchie europee di rivendicare il monopolio della con­quista e del commercio in determinate zone; sperimentati metodi di sfrut­tamento economico che prevedevano sia un modello di colonizzazione selettiva che un modello di commercio pacifico.







Capitolo tratto dal saggio Il mondo atlantico – Una storia senza confini (secoli XV – XIX), Carocci editori, Roma, 2013.




Federica Morelli

Federica Morelli è ricercatrice di Storia moderna all’Università di Torino. Si occupa di Storia dell’America latina coloniale e di storia atlantica. È autrice di numerosi saggi e del volume Territorio o Nazione, Riforma e dissoluzione dello spazio imperiale in Ecuador, 1765-1830.





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