TACCUINO DI UN VECCHIO SPORCACCIONE Brano tratto da Scrivo poesie solo per portarmi a letto le ragazze Charles Bukowsky “L.A. Free Press”, 28 giugno 1974 Trovare il posto giusto dove scrivere, questa è la cosa fondamentale; l’affitto dovrebbe essere ragionevole, le pareti spesse, i padroni di casa incuranti, e i vicini depravati, miserabili, alcolizzati e della piccola-media borghesia. Con l’avvento dei palazzi alti, quelli piccoli, con gli ingressi privati, sono andati sempre più scomparendo, e i personaggi meravigliosi che un tempo li infestavano sono spariti insieme a essi. Ho vissuto otto anni in un caseggiato che dava su DeLongpre Avenue, e le poesie e i racconti fiorivano. Mi sedevo davanti alla finestra del soggiorno e battevo sui tasti, sbirciando la strada attraverso un cespuglio troppo rigoglioso; ero circondato da bottiglie di birra e ascoltavo musica classica alla radio, seduto in mutande, scalzo, la panciona che penzolava. Ero circondato da raggi e ombre e suoni, e io facevo rumore. Il mio padrone di casa era un ubriacone, la mia padrona di casa era un’ubriacona, venivano giù a prendermi alla sera tardi … “molla quella stupida macchina da scrivere, brutto figlio di puttana, vieni a ubriacarti con noi.” E io ci andavo. La birra era gratis, le sigarette erano gratis, mi davano da mangiare; gli piacevo, parlavamo fino alle 3 o alle 4 del mattino. Il giorno dopo bussavano alla porta e lasciavano un sacchetto con qualcosa: pomodori o pere o mele o arance, ma più che altro erano pomodori. O spesso arrivavano con un pasto caldo -stufato di manzo con gallette e cipolle verdi; pollo fritto con salsa e purea di patate e fagioli in insalata con pane giallo. Bussavano, aspettavano che rispondessi e poi scappavano via. Lui aveva sessant’anni, lei cinquantotto. Portavo fuori la loro spazzatura tutti i mercoledì, otto o dieci bidoni per tutto il caseggiato e per gli appartamenti sul retro. L’alcolizzato vicino a me cadeva dal letto alle quattro tutte le mattine; c’era un caso di ATD1 in un appartamento sul retro; quattordici portoricani abitavano in uno dei caseggiati di mezzo, donne, uomini e bambini; non si sentiva mai un rumore e dormivano sul tappeto uno di fianco all’altro. Gente pazza veniva a trovarmi – nazisti, anarchici, pittori, musicisti, scemi, geni e scrittori scadenti. Mi confidavano tutti le loro idee pensando che io potessi capirle. Certe notti mi guardavo intorno e c’erano tra otto e quattordici persone sedute in giro sul tappeto, e io ne conoscevo soltanto due o tre. A volte andavo su tutte le furie e li sbattevo fuori; altre volte lasciavo perdere. Nessuno mi ha mai rubato niente eccetto un tizio che si professava mio amico ed era sempre intento a rubacchiare dalla mia libreria, a infilarsi prime edizioni e volumi rari sotto la camicia. La polizia continuava a far retate, ma mi hanno messo dentro soltanto una o due volte, sì, due volte. Una volta sono entrati imbracciando un fucile, ma io ho detto che ero uno scrittore e se ne sono andati. Sì, era un bel posto per viverci e per scrivere. Poi è arrivato l’amore e mi sono trasferito a casa di questa signora. Lei era buona con me e tutto andava a gonfie vele, mi piacevano i suoi due figli; c’era spazio e ombra, un cane pazzo, e un grande cortile sul retro, una giungla sul retro, con bambù scoiattoli e alberi di noce, cespugli di rose selvatiche, fichi, vegetazione lussureggiante. Scrivevo bene lì – molte poesie d’amore e racconti d’amore; non ne avevo scritti molti prima. Mi muovevo per la casa e sentivo come se il sole fosse dentro di me; ero finalmente caldo, e le cose sembravano divertenti, gioiose, semplici; non mi sentivo in colpa per come stavo. Eppure, a un certo punto andò male, come va male quel genere di cose. Uno dei due, o entrambi, comincia a covare risentimenti; le cose che prima sembravano meravigliose non lo sembrano più. Ci si incolpa a vicenda – sei tu … tu hai fatto questo, tu hai detto quello, non avresti dovuto comportarti in quel modo, tu … Dovetti sloggiare alla svelta. Passai al setaccio le strade per trovare un posto decente, un posto dove fosse possibile buttar giù una poesiola. I pomeriggi e le mattine si mescolavano: primo e ultimo mese anticipati, 200$ servizio di sicurezza, 75$ pulizie, referenze. Nessuno di quei posti sembrava neppure abitabile, e i padroni di casa emanavano le peggiori vibrazioni: avidi, sospettosi, creature di carne morta. Uno di questi non mi aveva neppure guardato; continuava a fissare la tv e a sciorinare le spese. Cominciai a sentirmi sporco dentro come un imbecille, uno che non aveva diritto all’acqua calda e fredda e a un bagno da affittare per conto proprio. In realtà non si trovava in giro niente. Esaurito per stanchezza alla fine pagai qualcuno e cominciai a trasferirmi. Era un appartamento moderno, un posto sul retro, sulla seconda rampa di scale, appartamento 24. C’erano un giardino centrale e due amministratori, moglie e marito, che abitavano di sotto e non hanno mai lasciato lo stabile; uno dei due era sempre lì, specialmente la signora, che vestiva di bianco e andava in giro con una borsettina marrone e spesso raccoglieva le foglie mentre cadevano dai cespugli, le prendeva ancora prima che toccassero terra. Era immacolata, faccia greve cosparsa di cipria bianca; si metteva molto rossetto e aveva una voce stridula, una voce che sembrava sempre sul punto di dire bugie. Suo marito aveva una voce tuonante, e tuonava sui Dodgers e su Dio e sui prezzi al supermercato. Durante la mia prima notte lì squillò il telefono; era lui che mi diceva che la mia radio era troppo alta; mi sentivano in tutto il caseggiato. “Ti sentiamo in tutto il caseggiato, Hank” mi disse. Insisteva che ci chiamassimo tutti per nome. La mia radio non aveva il volume alto. La spensi. Poi qualcuno cominciò a suonare la fisarmonica. “Oh, quant’è bello!” sentii una voce. Il tizio suonò tutti i successi di Lawrence Welk. Lei era sempre lì, onnipresente, onnipresentissima, e io magari ero in pieno dopo sbronza, scendevo le scale, con l’orecchio teso, pensando, non è in giro, questa volta l’ho scampata. E avevo il mio sacchetto di vuoti pieno di cenere e stronzate con il fondo bagnato che si rompeva da un momento all’altro, e io ero sempre lì lì per vomitare, arrivavo al seminterrato e poi varcavo un’apertura e andavo nei garage sul retro, infilandomi tra una macchina e l’altra cercando i raggiungere i bidoni dell’immondizia, ed ecco che saltava fuori lei con la scopa in mano: “E’ una bella giornata, vero?”, e io dicevo: “Oh, sì, è una bella giornata”. Ed era sempre vicina alle cassette delle lettere quando arrivava la posta, era là fuori con la scopa; non riuscivi a ritirare la tua posta. O se qualcuno nuovo entrava nel caseggiato lei chiedeva: “Cosa vuole?”. Nelle giornate calde si piazzava su una delle sedie a sdraio e la reclinava, e sembrava che tutti i giorni che ho abitato lì facesse caldo. E ne uscivano altri e si univano a lei e a chiunque era consentito ascoltare le loro voci e le loro idee. I moderni condomini sono tutti uguali; passano molto tempo a pulire, lucidare, spolverare, aspirare; tutto risplende – cucine, frigoriferi, tavoli, i piatti vengono lavati subito dopo aver mangiato; l’acqua del water è blu, gli asciugamani si usano una sola volta, le porte vengono lasciate aperte, come le tende, e li puoi vedere seduti tranquilli sotto le lampade con un libro sicuro o a guardare una commedia sulla famiglia con risate preregistrate su un enorme televisore. Comprano soprammobili e felci, cianfrusaglie da appendere, per riempire gli spazi; la domenica pomeriggio da Akron2 è il loro Nirvana. Non hanno figli, niente animali e si ubriacano due volte l’anno, a Natale e all’ultimo dell’anno. C’erano due piccole poltrone a casa mia larghe circa cinquanta centimetri. Su una di queste avrei dovuto dormire. Era impossibile fare l’amore con una donna lì sopra. Avevo scoperto diciotto scarafaggi dietro il frigorifero, e tutte le volte che scrivevo a macchina la donna del piano di sotto picchiava il soffitto con il manico della scopa. E c’era sempre qualcuno che bussava alla porta pronto a dire che lo stavo disturbando. Poi un giorno a tutti i condomini è stato dato un foglio che diceva che sarebbe scattato automaticamente un aumento di 5$ al mese per ogni appartamento. Era quanto mi costava l’insetticida per gli scarafaggi. Lo scrivere era diminuito, si era quasi fermato. Il mio editore mi aveva telefonato e mi aveva assicurato che tutti gli scrittori hanno il blocco dello scrittore. Mi aveva detto che avevo ancora cinque anni; che avrei potuto non scrivere per altri cinque anni e poi farcela di nuovo. L’avevo ringraziato … Poi ho avuto un colpo di fortuna. Ho trovato un caseggiato tra Hollywood e Western; l’ho trovato perché mi è giunto all’orecchio che c’era qualcuno che stava per traslocare ancora prima che lo facesse. È il mio tipo di quartiere – saloni per massaggi, bordelli dappertutto; bancarelle di taco; pizzerie, bar con panini; drogherie con merce scontata piene di parrucche e di vecchi pettini, saponette ammuffite, mollette per capelli, e lozioni, puttane giorno e notte; papponi neri con cappelli a tesa larga e nasi affilati come rasoi, sbirri in divisa da capo a piedi che perquisiscono la gente a mezzogiorno, controllano le braccia per i segni degli aghi; librerie sudice, assassini, baldracche, drogati. Ho percorso a piedi Western Avenue verso Hollywood Boulevard e il sole splendeva di nuovo dentro di me. Quasi mi sentivo ancora innamorato. La mia gente, la mia epoca, l’atmosfera generale … Sono qui soltanto da una settimana e proprio l’altra sera mi sono guardato in giro, c’erano bottiglie di birra dappertutto, la radio era accesa, e a casa mia c’era della gente che abita nel caseggiato: un tizio che gestisce un bordello, due tizi che lavorano in una libreria porno e una ballerina di uno dei bar. Abbiamo parlato di vibratori, di baldracche, di alcune delle signore dei viali e delle strade; abbiamo parlato delle persone strambe e di quelle brave e di quelle odiose e detestabili, abbiamo parlato tutta la notte, con il fumo che saliva, le risate. Tutto bene. Siamo rimasti senza birra e il ragazzo delle consegne è arrivato fuori di testa e completamente ubriaco e si è fermato per un’ora. Abbiamo fatto arrivare da fuori pollo e patate e insalata di cavolo e pane. La notte scorreva piacevole. Alla fine ho dovuto chiudere la serata: stavo bevendo birra dalle 11 del mattino. Sono andati via in ottimo stato. Sono andato in bagno, ho pisciato, e poi sono andato a letto. Hemingway non avrebbe potuto chiedere di meglio. La luce filtrava dall’esterno; ero di nuovo innamorato del mondo. Ah. Note:
1- Aid to the Totally Dependent, sussidio del governo americano concesso alle persone con gravi problemi fisici o mentali. [N.d.T.] 2 - Akron, grande magazzino. [N.d.T.]
Brano tratto da Scrivo poesie solo per portarmi a letto le ragazze. Titolo originale: Absence of the Hero. Traduzione di Simona Viciani. Feltrinelli Editore, Milano, 2012. Charles Bukowski (1920 - 1994) è stato un poeta e scrittore statunitense. La produzione di Bukowski è stata particolarmente intensa, arrivando a pubblicare oltre sessanta libri comprendendo sei romanzi, centinaia di racconti e addirittura migliaia di poesie. La sua narrazione riguarda prevalentemente la sua stessa vita, caratterizzata dall'abbinamento di scrittura, sesso, alcol, scommesse e massacranti lavori manuali. Bukowski viene spesso associato al movimento della "Beat generation" dato il suo l'anticonformismo verso la letteratura. Dalle poesie e racconti di Bukowski sono anche stati tratti diversi film.
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