OCCHI NEGLI OCCHI Brano tratto dal romanzo L’elefante nel salotto Andrea Fiorenza (…) In quella sera di grande depressione, mi spoglio e mi butto sul letto per cercare di chiudere un sabato piagoso. Ma non riesco ad appoggiare la testa sul cuscino che mia madre entra nella stanza. «Allora, tesoro?»
«Allora cosa?»
«Tutto bene?»
«Sì, tutto bene mà» le rispondo pur di togliermela subito di torno. Di solito basta. Non va cercando altro, soltanto che la rassicuri che il suo mondo perfetto continua a essere perfetto. Quando qualcosa esce da questo schema, lei va in crisi. Non riesce ad aspettare e deve togliersi subito il pensiero. A quattro anni mi ha portato da una sua amica psichiatra perché secondo lei non parlavo bene, insomma non tutte le parole uscivano come dovevano uscire, come se avessi dovuto andare a fare dei comizi o che so io; a sette anni mi ci ha riportato perché si era accorta che non scrivevo bene, e questa sua amica mi ha somministrato un mucchio di test; a nove anni ci sono tornato perché una notte avevo bagnato il letto e mi voleva dare dei farmaci che mi avrebbero bloccato la minzione. Negli ultimi tempi mi ha imposto sedute settimanali dalla psicologa bioenergetica, perché secondo lei, mia madre, ho il centro spostato, e se non lo metto in equilibrio non riuscirò a svilupparmi in modo armonico e continuerò a farmi di canne dalla mattina alla sera. Dopo un anno di lavoro bioenergetico la studiosa della psiche, travolta forse dalle foto che mostravano suo marito nudo e prono di fianco alla bella studentessa, non era ancora riuscita ad arrivare da nessuna parte, e di quanto mi portavo dentro non se ne parlava, in compenso gran passaggi di energia da una mente all’altra e indicazioni a pensare positivo. «Sei sicuro che va tutto bene?» Mi fa avvicinandosi al letto.
E giù a guardarmi negli occhi.
Mia madre ha sempre avuto la fissa del guardare negli occhi la gente. Ricordo che quando io e Gloria eravamo dei pupetti, ci metteva uno di fianco all’altra e ci faceva il test della verità, come lo chiamava lei. Bisognava guardarla negli occhi e rispondere alle sue domande. Se i nostri occhietti se ne andavano in alto voleva dire che stavamo improvvisando, così ci diceva; se invece guardavamo in basso voleva dire che stavamo dicendo una bugia che ci eravamo preparati in precedenza. Erano conoscenze scientifiche, secondo lei, che le aveva passato la solita amica psichiatra. Giuro, quella donna è stata la rovina della nostra famiglia. Uno di questi giorni vado nel suo studio e le sfascio tutto, a costo di dovermi ciucciare un trimestre sano di rieducazione sociale. Io comunque, con il tempo e dopo non so quanti test, ho imparato a mentire come nessuno. Per depistare mia madre penso sempre a un’immagine neutra, tipo che con un martello conficco un chiodo nel muro. Per mia sorella non è stato necessario inventarsi niente, lei non ha mai detto una bugia in vita sua, vi dice tutto anche se non glielo chiedete. All’inizio mio padre e mia madre erano molto orgogliosi di questa cosa qua, della sincerità di mia sorella, poi però si sono accorti che si poteva trasformare in un’arma a doppio taglio. Mi ricordo una serata mitica in cui non sapevo dove nascondermi dal ridere. Gloria stava per compiere quindici anni e aveva preso ad uscire con un tipo di sei anni più grande di lei. Mia madre e mio padre si erano messi lì, una sera che alla tele non c’era niente d’interessante, a farci il test della verità. Avevano cominciato con me, che di anni ne avevo quattordici e mi facevo già di brutto. «Dicci, dicci, Tommi… Che cosa fate tu e i tuoi amichetti quando vi ritrovate?» Chiede mio padre con il tono dell’ispettore di polizia. E mia madre attenta a dove mi cadono gli occhi. Quasi sempre, io e i miei amichetti ci ritrovavamo a casa del Pavi a fumare hashish e bere birra fifi no a sfondarci. «Facciamo i compiti» rispondo, e sono lì che mi vedo piantare chiodi nel muro. «Uhm…» fa mia madre non convinta del tutto. Era un po’ che non mi faceva il test ed ero fuori allenamento. «Gliela ripeti?» Chiede a mio padre. E mio padre senza cambiare nemmeno una virgola mi ripete la domanda. «L’ho già detto, facciamo i compiti, e qualche volta giochiamo con la playstation». Ormai potevo andarmene a fare il carpentiere dai chiodi che avevo piantato. Ma la cosa dev’essere riuscita bene perché mia madre si è convinta. «E tu Gloria, dicci dicci, e tu?» Chiede mio padre passando a mia sorella.
«Io cosa?» Fa lei.
«Cosa fai, dicci dicci».
«Ma cosa fai cosa?» Se ne esce mia madre innervosita. «Come può risponderti se non le fai una domanda specifica?» «Non so cosa chiederle».
«Sei il solito! Non ti interessi mai veramente della vita dei tuoi figli, sempre preso dal lavoro, e noi qui a mandare avanti la baracca!» Gesù, si stava ripartendo con la storia della baracca e di chi la mandava avanti. Poteva saltarne fuori uno scontro al vertice se a mio padre non fosse venuta in mente la domanda giusta da fare. «Dicci dicci, un fidanzatino ce l’hai?»
«Certo» fa lei.
«Brava, Gloria, brava, hai detto la verità!» Fa mia madre quasi urlando.
«E dicci dicci, Gloria, cosa fate, vi date i bacini?» Sempre quel lesso di mio padre. «Certo».
«Brava, Gloria, brava. Ancora una volta la verità» dice mia madre, orgogliosa della sua creatura. «E dicci dicci, Gloria, ovviamente vi fermate ai bacini…»
Mio padre, il lesso.
«Certo che no!»
«Ah no?» Fa mia madre guardando mio padre. Questa volta niente “brava, Gloria, brava”. «Eh, di’ un po’, cosa fate oltre ai bacini?» Chiede mio padre cambiando tono. «Così non va bene! Non va bene!» Strilla mia madre alterandosi.
«Devi essere specifico! Come te lo devo dire!»
Mio padre deglutisce con il gargarozzo che gli va su e giù come il pistone di una Ferrari. «Magari vi toccate un poco…» Si ferma, prende fiato e fa:
«Cioè, toccatine innocenti?»
«Facciamo quello che c’è da fare, uffa!» Risponde la brava Gloria.
Mia madre era un bagno di sudore e mio padre stava rischiando l’infarto. A quel punto mi si accende il gene dell’azione e intervengo io. I miei vecchi non sapevano più mandare avanti l’interrogatorio perché erano entrati nell’emotivo andante. «Mamma, tu mira la nostra brava Gloria che provo io a farle le domande giuste». Gloria mi guarda malissimo. Mio padre tira un sospiro di sollievo: quella storia della vita extracasalinga della sua bimba gli stava seccando la pianta. «Allora, vediamo un po’» faccio. «Dicci dicci, Gloria, gliele fai le pompe al tuo maschio?» Mia sorella diventa viola, si chiude nel mutismo e i suoi occhi vanno dappertutto, impazziti come le palline di un flipper. Mia madre le urla di rispondere, e mio padre si mette in mezzo al divano con le gambe incrociate come un Buddha. «Be’… qualche volta è capitato».
Silenzio da cimitero. Io ovviamente ne approfitto per mandare avanti l’indagine. «Complete?» «Ma cosa vai a chiedere?» Fa mio padre. «Basta con ’sta storia!»
«No, si va avanti! Avanti!» Urla mia madre senza perdere di vista gli occhi di mia sorella. «Può scappare» risponde la brava Gloria.
Mia sorella a volte è da ricovero coatto. Ma cosa vai a dire?
Vuoi proprio attentare alla vita dei tuoi vecchi. Giuro che non mi divertivo così tanto da quando mio padre era rimasto chiuso in ascensore: gli era venuto un attacco di panico, e urlava a mia madre, ferma sul pianerottolo, di liberarlo perché gli stava partendo il cervello dall’impazzimento. Mia madre che urlava più di lui di calmarsi che sennò chissà cosa andavano a pensare i condomini, e lui che le rispondeva che non gliene fregava niente dei condomini e di darsi da fare per tirarlo fuori di lì altrimenti sarebbero stati guai per tutti. Non contento, ho proseguito il mio interrogatorio. «E dicci dicci, cara Gloria, ti fai anche trombare?» «Basta, smettila!» Mi risponde la brava Gloria che non dice mai le bugie.
«Rispondi!» Incalza mia madre con le vene del collo gonfie come marmitte. Mio padre era un uomo perso, ormai alla deriva. Sudava come ad agosto e continuava a slacciarsi di tutto, la camicia, la cintura, come se si stesse gonfiando dal nervosismo. «Ogni tanto» ammette la brava Gloria.
«Cosa fate?» Esclama mio padre.
«Sei pazza?» Urla mia madre.
«Brava, Gloria, brava. Hai detto la verità» dico io. «Andiamo avanti».
«Perché, cosa ci può essere ancora?» Chiede mio padre ormai distrutto.
Io ero pronto ad andare avanti, ma non ci sono riuscito a causa dell’intervento di mia madre. «Villano che non sei altro! Non è vero che non ti stai più facendo gli spinelli! Via di qua, via via via!» Si alza e va ad abbracciare mia sorella. Un cartone animato, mi sembrava di assistere a un cartone animato della casa di Topolino. «Ma insomma!» Faccio alterandomi. «Questa fa quello che vuole e voi ve la prendete con me? Io non ci sto!» Credevo, così facendo, di riportarli alla realtà. Ma i miei non sono mai state persone lucide. Mio padre si alza e mi spinge fuori da quel bel quadretto di famigliola tenerona, mentre la mia sorellina viene consolata per il dolore che le ho procurato. Certi giochi sono micidiali, ma alla fine mi sono convinto che tutti i genitori di questa terra desiderano soltanto una cosa: vivere in santa pace e salvare le apparenze. Amano mettere regole su regole, e non vogliono sapere ciò che succede davvero ai loro figli, niente foto nitide in primo piano, ma foto sfuocate e illuminate male per non distinguere nulla. Ad ogni modo, per tornare a quel sabato sera che me ne ero andato in branda con il male oscuro della frustrazione, mia madre, che non era riuscita a leggermi negli occhi perché tenevo la faccia contro il cuscino, mi aveva ripetuto la domanda: «Sei sicuro che va tutto bene?» «Te l’ho già detto».
«E allora perché non sorridi mai, Tommi?»
«Così».
«Sorridi, va tutto bene» mi fa.
Poi era sparita come Flash Gordon.
Brano tratto dal romanzo L’elefante nel salotto, Fernandel edizioni, Ravenna, 2013. Andrea Fiorenza, psicoterapeuta e scrittore, vive e lavora a Bologna dove da oltre vent’anni svolge attività clinica. È consulente e formatore per enti e organizzazioni educative e tiene seminari sia in Italia che all’estero. I suoi libri sono stati tutti tradotti. Tra quelli di maggior successo Bambini e ragazzi difficili(Ponte alle Grazie, 2000), Come rovinare la vita ai propri genitori (Pendragon, 2004), Ansia, 99 stratagemmi per liberarsene rapidamente (Rizzoli, 2006). È inoltre uno dei responsabili organizzativi della Federazione Italiana Psicologi. Il suo sito internet è www.andreafiorenza.it
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