L’UOMO E LE SUE CIRCOSTANZE Julio Monteiro Martins Avevo preparato per questa edizione un editoriale dal titolo “Cosa la letteratura può fare contro il berlusconismo”. Rileggendolo prima della sua messa on-line, però, ho deciso di non pubblicarlo più, perché non sono pienamente convinto delle cose che io stesso avevo scritto, ossia per onestà intellettuale e rigore. Penso di sapere esattamente in quale modo la letteratura, come strumento di difesa della diversità e della complessità, come sintesi dell’umano, potrebbe opporsi efficacemente a una ideologia che dipende da una visione molto appiattita, egoistica e narcisistica, e soprattutto dall’esclusione e dal privilegio, per affermarsi (sono due modelli molto diversi di costruzione della soggettività collettiva e individuale, e nell’articolo provavo a fornire una definizione di quello che intendo per “berlusconismo” e di cosa sia la vera letteratura). Ma la verità è che ho molti dubbi sul fatto che quest’ultima possa farcela, considerati i limiti attuali di questa società, in cui il berlusconismo come visione-di-mondo e come narrazione culturale si rinforza anche quando Berlusconi è condannato dalla giustizia o il suo partito viene elettoralmente sconfitto (e così sembra che dovremo affrontare fra poco addirittura una nuova tipologia più truculenta di berlusconismo, quella militarizzata dell’“Esercito di Silvio”): se escludiamo i partiti di destra, che peraltro sono sempre in maggioranza seppur cambino sigla e candidati, gli altri, quelli che si auto-proclamano alternativi alla destra in Italia, sono o palesemente razzisti e oscurantisti, o ideologicamente sudditi del pensiero di destra e del neoliberalismo, oppure si articolano intorno agli stessi personaggi, professionisti della politica, che da molto sono stati screditati e logorati dai loro stessi errori, e formano così delle piccole cricche autoreferenziali. Per esempio, come si possono combattere gli effetti del berlusconismo nell’Università italiana? Come ripristinare il suo spazio di formatrice di cittadini liberi e consapevoli? Lo spazio indispensabile alla discussione e all’analisi di tutti gli argomenti, compreso l’andamento dello Stato e della società, cosa che compete all’università come agorà moderna, come nucleo di formazione definitiva dei futuri gestori della vita pubblica, al posto del mediocre e deprimente progetto delle “specializzazioni” che ci sminuisce e ci infantilizza tutti, studenti e professori diventati ormai meri istruttori tecnici, manuali parlanti. Lo stesso si può dire della scuola, contro la quale il progetto berlusconiano è stato particolarmente brutale, avvilendo il suo ruolo nella società. Lo scopo di questi progressivi tagli, di queste derisioni e divieti è la creazione di un popolo docile e credulone, facilmente raggirabile dal potere qualunque esso sia, in soggezione davanti agli assiomi del pensiero unico, della propaganda, della pubblicità e dell’ideologia del mercato. Come ritrovare la strada di ritorno da questo ambiente torbido e asfittico, che ha seppellito la scuola e l’università italiana? Tornando alla letteratura, dove si potrebbe trovare la forza – anche se parziale e minoritaria – in grado di aprire un discorso nel quale la miglior narrativa e poesia potrebbero inserirsi, non nel ruolo di modesto intrattenimento come la vogliono oggi le riviste patinate, ma come motore di un’interpretazione diversa e più feconda della realtà? Non vedo questa forza all’orizzonte. Al momento sono molto deluso, ciò che è estraneo alla mia natura di vecchio guerriero. Sono deluso e anche scorato, stanco. So bene che questo sentimento contrasta in parte con tutto quello che vi ho scritto in questi anni nei miei editoriali, messaggi di speranza e di lotta, di passione, progetti, strategie di azione, denunce, princìpi che sarebbero destinati a prevalere alla fine, tutte cose che in questo momento mi suonano purtroppo come uno sterile wishful thinking, o un retaggio di morale cristiana, o di determinismo leninista, o di stoicismo confuciano, tutti poco adatti al confronto con la durezza di una realtà schiacciante e inossidabile. A questo punto temo che i residui di Bene – passatemi il termine – rimasti oggi siano stati, se non cancellati, almeno fortemente contaminati dai discorsi di questo sistema, discorsi onnipresenti, dai quali ormai, forse inconsapevolmente, gli spiriti si sono impregnati, e contro i quali qualsiasi opposizione risulta velleitaria. Uno può domandarsi: perché allora la letteratura non prova a imporsi da sola, contro tutto e contro tutti? La risposta è semplice: perché le opere letterarie sono dei pezzi astratti e immateriali di linguaggio, che prendono vita e si materializzano solo quando sono veicolati, cioè quando molti li leggono, o magari anche pochi, ma formatori di opinione. Questo traguardo non è possibile senza un appoggio esterno, della politica, dei media, degli studenti con il loro passaparola, insomma senza una comunità che scommetta sulla trasformazione, trovi gli spazi giusti e li apra a queste opere e ai suoi autori. D’altronde, non si tratta soltanto di visibilità, ma anche di condivisione e di comprensione. Il radicamento di una certa logica e la scomparsa dallo scenario di tutti gli elementi che non appartengono a questa logica fa sì che non ci siano più, nei cuori e nelle menti, quei riferimenti indispensabili per capire e per immedesimarsi con trasporto e con empatia nelle narrazioni, anche in quelle che parlano della nostra vita e della nostra realtà. Si tratta di un crescente e continuo rumore esterno, che crea un blocco interno, una sordità ai linguaggi e ai messaggi non in linea con quel vociare assillante. Guardo intorno e non vedo un porto, un molo, al quale un’opera letteraria vera, profonda e magari impegnata potrebbe approdare. Non vedo nella politica o nella società quel seppur piccolo territorio protetto nel quale una mentalità diversa da questo pensiero unico potrebbe costruire una sua prima testa di ponte, per poi chissà espandersi nella forma di una cultura alternativa a questa sottocultura dominante. Ho dei figli, ho degli allievi che sono anch’essi in un certo modo figli miei, e sono molto preoccupato. Temo che le immagini promettenti che erano spuntate in mezzo a questo deserto fossero soltanto miraggi prodotti da una mente così desiderosa di averle davanti agli occhi al punto di inconsciamente proiettarle nell’aria. Vedo anche, leggendo tanti blog, interviste, pagine facebook e messaggi e-mail che mi arrivano ogni quarto d’ora, che questo stesso profondo scoramento è condiviso da quasi tutti, e per mia sorpresa, non solo italiani ma anche brasiliani, che per quel che riguarda l’egemonia di valori inaccettabili e l’onnipresenza della volgarità vivono il nostro stesso dramma in Brasile, delusioni che hanno avuto la loro esplosione nelle recenti manifestazioni di massa per le strade del paese. Vorrei potervi scrivere cose ben diverse, e soprattutto credere in queste cose. Ma stavolta non ce l’ho fatta. Mi auguro che questo testo scettico, questo abbattimento, spero solo passeggero, serva almeno come testimonianza della mia sincerità e del mio attaccamento alla verità qualunque essa sia. Non mi va di scrivere sulle cose che dovrebbero essere fatte se non ho un’idea su come farle (ma dovremo averla insieme e presto, quest’idea, perché non abbiamo altra scelta oltre a quella di agire, o di reagire, con i mezzi che disponiamo, tra questi la scrittura). Penso che, oltre a un atto di onestà, sia un gesto di maturità non farsi illusioni consolatorie, finché le prospettive reali non si presenteranno e i nuovi spazi non saranno creati. Non ho altro da dire, per ora. Continuerò a osservare il flusso storico, a riflettere e a lavorare. E se avrò le forze, anche a sperare. Ma questo, sia chiaro, non può dipendere solo da me. L’uomo è l’uomo e le sue circostanze. E le circostanze, oggi, in Italia, sono quelle che sappiamo. Julio Monteiro Martins
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