MIMMA Brano tratto dal romanzo Vicolo del precipizio Remo Bassini
(…) C'è sempre stata la Mimma nella mia vita. Quando fui io a lasciare Cortona per trasferirmi a Torino non ci si perse di vista, anzi, ci si vide di più, o io da lei o lei da me. Almeno una volta ogni due mesi si trascorreva una giornata, sempre bella, insieme.
È morta che son passati dieci anni, e si è fatta seppellire a Cortona. Me l'aveva annunciato solennemente al telefono, che così avrebbe fatto: «Vedrai, che vo' a stare in un bel posticino».
Poi ribadiva, affinché me lo ficcassi bene in testa: «Oh Tiziano, hai inteso c'ho detto?».
«Sì, Mimma, che andrai a stare in un bel posticino».
La tomba infatti – di marmo bianco, tutta sua e solo sua – è in un punto ben preciso del camposanto di Cortona. C'è chi morendo dà scacco matto con una grande mossa. Lei si è fatta mettere proprio davanti al suo grande, proibito amore.
Quando torno a Cortona in macchina la mia prima sosta è al camposanto, dalla Mimma.
«Oh Mimma, avevi ragione tu, ché meglio di così non potevi proprio scegliere», le dico facendo l'occhiolino alla sua foto e col mio accento cortonese, ormai corrotto dalla parlata nordica.
La seconda sosta è invece alla solita osteria, dal Picci insomma, perché preferisco la chianina che fanno loro a quella di mia madre. E poi dal Picci respiro il ricordo dei miei nonni, andavano lì a mangiar prosciutto crudo e bere vino: Martino, padre di mio padre, uomo tutto d'un pezzo e timorato di Dio, e Francesco, il babbo della mamma, bestemmiatore e comunista anarchico, proprietario terriero che parlava ai contadini di amore libero, e chissà cosa capivano quelli.
A Cortona la Mimma aveva lavorato come inserviente all'ospedale, ma sebbene avesse fatto solo la terza elementare, era una persona che leggeva. I miei sette figli (che sarebbe la storia dei fratelli Cervi) e I promessi sposi erano i suoi libri preferiti, letti e riletti, ne ricordava dei brani a memoria.
Ed era una donna forte, la Mimma, io non l'ho mai vista piangere né saprei immaginarmela che frigna, ma che avesse pianto, per eccesso di sensibilità, non ne faceva mistero.
Ci aveva infatti raccontato, e non una volta sola, che quando al podere facevano festa perché "s'amazzava il maiale", lei di nascosto andava a piangere, perché a quel maiale che aveva portato al pascolo si era affezionata.
Quando io frequentavo la seconda elementare successe che mia madre, a causa di un esaurimento nervoso – l'ho saputo anni dopo, io allora ricordo solo che piangeva sempre e spesso si chiudeva in bagno –, su consiglio dei medici fu mandata da certi parenti, sulle Dolomiti, per un lungo periodo di riposo, quattro mesi almeno.
Di quei giorni conservo immagini e profumi. Io e il babbo a pranzo o si andava in trattoria oppure eravamo ospiti di amici, mentre la sera, a cena, veniva la Mimma a trafficare ai fornelli, perché il babbo non è mai andato oltre le uova sode, lei invece era bravissima a cucinare, ho ancora adesso l'acquolina alla bocca se ripenso alla sua zuppa inglese. Poi rammento l'appuntamento telefonico, ogni sera, con mia madre, che spesso piangeva e così faceva piangere anche me, ma soprattutto ho il bel ricordo di lei, della Mimma, che mi aiutava a fare i compiti e poi, prima che il babbo mi mettesse a letto, se ne andava con un saluto della mano, affettuoso. Sembrava fosse l'unica ad aver capito che non sopportavo e non sopporto sbaciucchiamenti e moine. Ma soprattutto aspettavo con ansia la domenica pomeriggio, giorno libero della Mimma: il babbo mi portava da lei e lei, nella sua casina in vicolo degli Orti, insieme al tè e al dolce, mi serviva le sue storie.
Se ho scritto un libro, e se oggi arricchisco, così almeno dice il mio capo, pagine scritte da altri, lo devo ai miei genitori, ai vecchi che ascoltavo nelle osterie, e lo devo, in particolare, a lei.
Certe notti si sentivan degli urli, che venivano da lontano. Io e le mi' sorelle ci si svegliava, s'andava alla finestra, e si guardava lontano, e si cercava di indovinare chi fosse a urlare, da qualche altro podere della valle, magari per il mal di denti... Che pensi, che s'avevano le medicine, allora?
E poi certe notti si sentivan dei lamenti, eran come parole, dai boschi. Una di sicuro era la voce della Marietta, che era la più bella di tutta la valle, però il su' babbo l'avea data in moglie, anche se lei 'un volea, a un vecchio ricco, ma la Marietta era scappata proprio la prima notte di nozze, ed era tornata alla casa natale, e s'era gettata nel pozzo. Quando cambia la luna, ancora oggi torna, torna e dice: «Che m'avete fatto?».
Non ricordo – è una zona d'ombra della mia testa – quando fu che la Mimma mi fece questi racconti. Ho come la sensazione di averli sempre conosciuti, perché la voce della Mimma è come un flusso che sento scorrere dentro me.
Era una donna meticolosa: le storie che da ragazza aveva imparato leggendo i libretti andati persi dei cantastorie, dopo averle imparate a memoria, le aveva trascritte in un quaderno.
Mi sembra di risentirla che me le canta al telefono. «Ma guarda che io c'ho poche scuole», mi aveva detto quando le avevo spiegato che i suoi ricordi erano il punto di partenza per la mia tesi di laurea.
Povera Mimma. I suoi genitori, mezzadri e analfabeti, la sgridavano quando vedevano i suoi quaderni. Quello con i dettati poteva andare, ma quello di matematica no: c'erano troppi spazi bianchi tra un'operazione e l'altra, la Mimma sciupava la carta ("E qui, qui perché 'un ci scrivi?» «Oh mamma, queste son divisioni, 'un posso scrive dappertutto, la maestra s'arrabbia») e i quaderni costavano.
Comunque: il canto che più amava e più mi cantava volentieri, senz'altro, era Pia de' Tolomei. «'Un ti ricordi più che ti piaceva tanto quand'eri piccino, e mi dicevi "Mimma, ricantamela"».
No, non mi ricordavo.
Negli anni che de' Guelfi e Ghibellini repubbliche a quei tempi costumava, batteano i Cortonesi e gli Aretini, specie d 'ogni partito guerreggiava: i Pisani battean co' Fiorentini,
Siena con le Maremme contrastava; e Chiusi combattea contro Volterra non v'era posto che non facesse guerra.
Io però insistevo per un altro canto, legato a un fatto di cronaca nera: un sacerdote accusato di aver ucciso l'amante, dopo averla saputa incinta.
Chi la gettò la donna sul rio
fu don Amilcare figlio di Dio...
E tante, tante altre. Ho ancora il quaderno con tutte le trascrizioni che la Mimma mi regalò. Me le portò a Torino quando venne a trovarmi, mi ero trasferito da poco, era un giorno di dicembre, poco prima di Natale.
«Io di Cortona c'ho solo ricordi brutti, ma un capirò mai perché tu te ne sia andato... la Stefania ha pianto tanto!» mi diceva, ma senza insistere.
Quando diceva Cortona, intendeva la sua vita da mezzadra.
Non mi confidò mai, per pudore, il vero motivo della sua fuga dal paese. Sapeva però che ne ero al corrente. Credo, anzi sono sicuro, che fu proprio lei a dire a mia madre di raccontarmi tutto. Così da potermi dire la famosa frase: «Vo' a stare in un bel posticino».
Era stata per anni e anni l'amante di un ricco uomo sposato, proprietario di case e di vigneti, un nobile. Quando lui crepò — all'improvviso, senza segni di malattia — scoppiò il putiferio: la Mimma, al funerale, si accodò, ma in fondo al corteo funebre. Fu però raggiunta dal figlio del suo amante, che la svergognò, bastarono poche parole: «Mia madre e io non gradiamo la sua presenza, signora, ci ha già fatto abbastanza male». Le pronunciò a bassa voce, ma vedendo che la Mimma se ne andava via, correndo e barcollando per la vergogna, tutti capirono.
Però l'uomo di cui era stata amante aveva fatto in tempo a lasciarle un bel po' di soldi, mi aveva raccontato mia madre.
Adesso dorme all'ombra di un cipresso, al camposanto del paese, la Mimma. La tomba è proprio davanti alla tomba di famiglia dell'uomo che ha amato per tutta la vita. La sua foto guarda lui e lui guarda lei.
«Brava Mimma, scacco matto».
Quando venne a trovarmi con il quaderno di storie e di belle canzoni, c'era Cristina nella mia vita, la sera cenammo insieme, nella casa in cui vivo ora, si mangiò sul terrazzino, preparò da mangiare la Mimma, ci fece un piatto di pasta con i broccoli e tanto pepe, il coniglio con la pastella. E la sua zuppa inglese, come gran finale di serata, accompagnata dal vin santo. (…) Brano tratto dal romanzo Vicolo del precipizio, Perdisa edizioni, Bologna, 2011. Remo Bassini, nato a Cortona (Arezzo) nel 1956, vive e lavora a Vercelli. Ha pubblicato i romanzi Il quaderno delle voci rubate (La Sesia), Dicono di Clelia (Mursia), Lo scommettitore (Fernandel), La donna che parlava con i morti (Newton Compton), Bastardo posto (Perdisa) Pop), Il monastero della risaia (SenzaPatria). Ha un blog: remobassini.wordpress.com
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