LA CULTURA CAMBIA PELLE Julio Monteiro Martins
Sappiamo che la storia, così come gli stessi esseri umani, non invecchia gradualmente e in modo uniforme, ma a volte sembra ferma, immobile per un lungo tempo e poi in poche ore o in pochi giorni scende o sale un “gradino” e subito il panorama cambia, si vede con chiarezza tutto ciò che il giorno prima era invisibile, niente è più lo stesso e tutto questo sembra sin dal primo momento stranamente naturale, scontato, come se fosse sempre stato in quel modo, come se fosse molto difficile immaginarlo diversamente.
Ma il cambiamento non è, e non può essere, soltanto nell'ambito politico ed economico. Si tratta di un'intera sensibilità collettiva che ha fatto un salto di qualità, e la sfera culturale, editoriale e letteraria non può rimanere immune alle trasformazioni, fare la gnorri e andare avanti con le stesse deformazioni, contemplando soltanto la stessa “casta” collusa di prima, come se niente fosse accaduto. Anch'essa dev’essere sconvolta, e prima o poi lo sarà, dal tardivo scossone che ha finalmente travolto le vecchie dighe e aperto spazio al nuovo e al giusto.
Anche in letteratura il merito legittimo, fino ad oggi volutamente oscurato, dovrà occupare lo spazio finora murato che consentiva a una manciata di scrittori e di intellettuali di poter godere di un prestigio e di una fama immeritati, promossi dai politici di destra o di centro-sinistra, che decidevano sempre e solo in favore di questi cortigiani, favorendoli nelle grandi case editrici, nella grande stampa e nelle reti televisive. Ora basta con gli escamotage per illuminare gli eletti ed eclissare tutti gli altri, basta “gialli” e “noir” di circostanza, presentatori televisivi e cantanti che si spacciano per scrittori, autori di “aforismi” da Baci Perugina, in lingua italiana o straniera, “maghi” e “profeti” da nouvelle cuisine, nullità con rapporti altolocati smerciate come maîtres a penser, opere senza stile né contenuto scritte da anonimi intercambiabili. Insomma, basta con tutte le truffe e le furberie sostenute dal marketing di un sistema editoriale sclerosato, che per tutti questi anni ha tralasciato il valore letterario e la profondità del pensiero in favore delle strategie commerciali e della manutenzione di uno status quo oligarchico.
È arrivata l'ora di smettere di premiare soltanto le relazioni, per cominciare a premiare l'intelligenza.
Ma comunque la cultura in Italia cambierà. E molto, perché quando muore il pachiderma muore anche la sua coda. E questo rinnovamento radicale è la cosa migliore che potrà succederci. Sarà l'equivalente di una rinascita nel secondo decennio del Duemila, riempiendo lo spazio vacante lasciato dai falsi autori di opere fasulle, ai quali i loro agganci procuravano visibilità nei talk-show, interviste e recensioni generose nella stampa, purché non venga meno la loro complicità con gli interessi della politica e lo scambio di favori clientelistici.
Arriveranno, spero bene, delle cose che da molto tempo non conosciamo: premi letterari onesti – non il condominio delle grandi case editrici di cui sono divenuti parte lo Strega, il Campiello, il Viareggio – e concorsi letterari per esordienti gestiti con correttezza e pubblicizzati con larga diffusione.
Arriverà la creazione di nuovi sistemi di appoggio e di protezione alle piccole case editrici, alle piccole librerie, oggi in estinzione, e alle riviste culturali. L’apertura, finalmente, dell'università italiana alla creazione culturale-artistica, incorporata nel programma accademico come avviene da decenni nelle più importanti università straniere. Il ripristino della televisione pubblica nella sua missione essenziale, quella di ampliare la diffusione della cultura e aumentare gradualmente il livello culturale generale. La promozione di un intenso scambio con gli altri paesi del mondo, dai quali ci siamo allontanati a partire dagli anni '80 – o loro da noi – come conseguenza di una politica culturale che sembrava disegnata appositamente per isolarci, e che ci ha fatto diventare sempre più provinciali. E soprattutto il riconoscimento dovuto della presenza culturale dei nuovi italiani, di quelli venuti da lontano, che hanno scelto questo paese e la sua lingua, la consapevolezza della fortuna e l'opportunità immensa che rappresenta averli tra di noi. L’apertura delle porte delle case editrici, dei teatri e delle gallerie alla loro esuberante creatività, un contributo che si dimostrerà fruttifero per tutti. E la decenza di dire loro finalmente le due parole negate, vietate tra tante angherie e umiliazioni culminate con le reclusioni nei terrificanti “centri di identificazione ed espulsione”: “scusateci”, e “benvenuti”.
La creazione, una volta per tutte, di una vita culturale che non tema né sfugga la verità, ma che la cerchi e l'affronti: le morti in mare, le menzogne istituzionali, le stragi senza colpevoli, i rigurgiti razzisti e xenofobi, il campanilismo taccagno ed escludente, la tentazione fascista, tutte le zone scure che coesistono con l'intelligenza, l'inventività, l'empatia, la sensibilità estetica e la sterminata tradizione creativa degli italiani.
Il nuovo sta arrivando. Arriva sempre e porta via con sé ciò che è vecchio e vizioso, ciò che è marcio. E quanto più questo arrivo è stato bloccato, tanto più grande sarà la potenza del suo impatto. È ora di dare alla cultura – al teatro, ai registi, agli attori, ai traduttori, agli scrittori, agli artisti, ai fumettisti, ai musicisti e ai compositori – il supporto e la priorità che gli sono stati sottratti durante l'orrenda stagione, ancora in corso, del neo-liberalismo oscurantista. È ora di mettere fine al nostro già annoso ritardo culturale, e di fare un tour de force storico per ripristinare la creatività e il rigore intellettuale che incantavano il resto del mondo nei nostri anni migliori.
Julio Monteiro Martins
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