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Sagarana TUTTO DELL’AFRICA


Brano tratto dal romanzo L’equazione africana


Yasmina Khadra


TUTTO DELL’AFRICA



 

(…) Bruno mi ha raccontato la sua esperienza africana. In effetti non fa altro da quando ho iniziato a dividere la cella con lui. Ancora molto giovane, si era innamorato di questo continente dopo aver letto La pista dimenticata, romanzo sui tuareg scritto da un certo Frison-Roche all'inizio del secolo scorso. Affascinato dal Sahara e dai popoli dell'Hog­gar, si era studiato dozzine di testi che parlavano degli usi e costumi di questa parte del mondo prima di divorare, con una bulimia erudita e fuori del comune, i lavori di Théodore André Monod, scienziato naturalista francese, grande esploratore dei deserti, nonché studioso multidi­sciplinare e umanista senza pari, morto all'alba del terzo millennio. A diciannove anni, con un gruppo di studenti di Bordeaux, Bruno si era messo sulle tracce del suo mentore alla ricerca di questa famosa pista millenaria sepolta sotto gli erg e i deserti sabbiosi che, secondo lo scrittore francese Frison-Roche, il re Salomone avrebbe tracciato per concludere scambi commerciali con i regni dell'Africa Nera. Dopo una breve spedizione nel cuore del Teneré, il gruppo di studenti se ne era tornato a Bordeaux a mani vuote, Bruno invece decise di rimanere e fu accolto mezzo disidratato da una famiglia peule. Prima di riprendere le sue ricerche, restò per qualche settimana in un villaggio senza nome. Non tornò più in Francia. Il deserto era il suo elemento, si mantenne svolgendo di volta in volta il ruolo dell'etnologo e dell'archeologo, prima di dedicarsi anima e corpo alle transumanze delle carovane e dei pastori nomadi che lo iniziarono all'Africa e alle sue meraviglie. Quelle peregrinazioni e ricerche durarono quindici incre­dibili anni, durante i quali scoprì il Niger, l'Alto Volta, da cui fu costretto a fuggire per via di un sanguinario colpo di stato, il Ghana, il Mali, il Senegal, la Mauritania. Fece ritorno in Alto Volta, che nel frattempo era diventato il Burkina Faso, per poi essere cacciato di nuovo da un altro colpo di stato e risalire nel nord del Mali, a Aguelhok, dove insegnava francese a dei ragazzini incredibilmente ricettivi in una scuola a cielo aperto. Conobbe tutte le tri­bù della regione: dagli Idna agli inafferrabili Regonatem, passando per gli Imghad, gli Iforas e i Chamanamas, di cui ha sposato una figlia, la bella Aminata, con la quale si è trasferito a Gao, dove lavorava come guida per scienziati ricercatori. Una sera, di ritorno da una passeggiata, non trovò Aminata a casa. I vicini gli dissero che era stata portata via da uno dei suoi cugini. Un notabile della tribù gli garantì di non saperne niente e di non avere idea di dove si nascondesse il rapitore. Bruno si mise sulle tracce della sua sposa e dopo due anni di ricerche finalmente la trovò in un villaggio a est di Zinder, nel Niger. Il suo sollievo durò poco: sua moglie gli confessò di non essere stata ra­pita dal cugino, ma di essere fuggita con lui per amore. Umiliato e con la morte nel cuore, Bruno non ebbe il coraggio di tornare in Mali; una notte seguì una stella che brillava meno delle altre e girovagò senza tregua seguendo l'harmattan. Si stabilì in un villaggio del Ciad dove aprì un negozio di incensi e in seguito, costretto a fuggire dalla guerra civile che sconvolse il paese, si rifugiò prima in Ke­nia e poi in Tanzania, finché un mattino, dopo un coma etilico, si svegliò in una bisca dello Zimbabwe, dove ogni sera una ballerina di nome Souad si esibiva in danze sfre­nate che ne surriscaldavano l'atmosfera. Souad aveva gli occhi ammaliatori di Aminata, la stessa carnagione dorata e gli stessi amplessi capaci di dare le vertigini. L'amò con tutte le sue forze e le propose di seguirlo nel cuore della jungla inesplorata, dove per lei avrebbe realizzato un mau­soleo di smeraldi, tutti i suoi sogni, piste da ballo ricoperte di fiori del paradiso e riflettori ricavati direttamente dai raggi del sole. Non andarono oltre la più vicina montagna, dove la gente viveva in tuguri simili a stalle e dove la popo­lazione moriva di fame e per abuso di droghe sintetiche. A furia di rincorrere un sogno d'amore impossibile, il loro entusiasmo fece bene presto i conti con la realtà e Souad, resasi conto che la felicità senza soldi non è data, non esitò un attimo a piantare in asso il suo amante bello e spiantato non appena il proprietario di un cabaret le promise mari e monti se lo avesse seguito a Capo Verde. Folle di dolore e di fame, Bruno riprese il suo bastone da pellegrino e si affidò ai capricci di sentieri desolati che lo sballottarono da un paese all'altro per sei anni. Arrivò a Gibuti, dove si barcamenò con i mestieri più umili e birra di infima quali­tà e, messosi al servizio dei media occidentali, iniziò ad avventurarsi di tanto in tanto in Somalia per le esigenze di un servizio o di un'inchiesta giornalistica, fino al giorno in cui dei banditi non lo rapirono dalle parti di Mogadiscio con un famoso giornalista televisivo italiano di cui era interprete e guida.
Io gli chiedo: «Come fa a rispettare ancora questa gente con tutto quello che le ha fatto passare?»
Bruno appoggia il piede sinistro sul ginocchio destro e, sprofondato tra gli stracci del letto, contempla le esili travi del soffitto. Sottili raggi di sole filtrano tra gli interstizi della lamiera e proiettano sul suolo sabbioso una moltitu­dine di riflessi dorati simili a monetine. Una lucertola di un colore terreo è immobile sul muro, appena percepibile sull'intonaco. Sulla sua testa, giardino pensile in rovina, una grande ragnatela a brandelli dondola dolcemente nella corrente. In un angolino, accanto al recipiente che fun­ge da orinatoio, due scarabei si azzuffano in silenzio... e poi le mosche, i nostri animali domestici, che cercano un buco nelle zanzariere!
«Non mi hanno fatto passare proprio niente, signor Krausmann. Sono stato io a voler essere uno di loro e, consenziente e senza rimpianti, ho condiviso anche le loro in­famie. Ho per l'Africa una venerazione quasi religiosa. Adoro i suoi alti e bassi, i suoi inutili calvari e i sogni confusi, le sue miserie splendide come tragedie greche e la sua frugalità che assurge a dottrina, le sue effusioni eccessive e il suo fatalismo. Amo tutto dell'Africa, dalle delusioni che hanno segnato le mie peregrinazioni fino ai miraggi che si prendono gioco dei naufraghi. L'Africa è una sorta di filosofia della redenzione. Ho conosciuto, tra questi "dannati in terra"» prosegue disegnando con le dita delle virgolette, «momenti felici e ne ho bevuto le amarezze dai loro calici. Questa gente mi ha insegnato delle verità su di me che non avrei mai immaginato a Parigi o altrove in Occidente. Sono nato a Bordeaux, in una bella culla, ma morirò in Africa, poco importa se finirò in una fossa comune o su un sentiero sperduto, senza carro funebre o sepoltura.»
«Strano» è il mio commento.
«Dove gli altri vedono un continente io vedo un paese, e in questo paese io sono Me Stesso. Quando questa storia del rapimento sarà finita, percorrerò le piste dimenticate per ritrovare le gioie e i dolori che questa prigionia mi ha fatto perdere.»
«Le auguro buona fortuna, Bruno.»
«La fortuna, signor Krausmann, la fortuna significa credere in se stessi.»
Un attimo dopo è già molto lontano, gli occhi chiusi e le dita incrociate sul petto. È fatto così, Bruno: ogni volta che tesse le lodi dell'Africa, diventa poeta e guru allo stesso tempo, e un lirismo a briglie sciolte lo trascina via nella sua piena. Senza alcun preavviso, la sua anima non è più qui e, nella cella improvvisamente silenziosa, resta solo il suo corpo di vagabondo, rigido quanto quello di un morto.






Brano tratto dal romanzo L’equazione africana, Marsilio editori, Venezia, 2012. Traduzione dal Francese di Raffaela Fontana.




Yasmina Khadra
Yasmina Khadra (1955) è il pseudonimo dello scrittore algerino francofono Mohammed Moulessehoul, che solo nel zoo', quando ha lasciato il suo paese, ha rivelato la sua vera identità. Acclamato in tutto il mondo come un grande scrittore, tra i suoi romanzi, tradotti in 40 paesi e che hanno venduto nel mondo 4 milioni di copie, ricordiamo tra l'altro L'attentatrice (2006) e Le sirene di Baghdad (2007).




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