IL SERPENTE IN AGGUATO Brano tratto da Segnali che precederanno la fine del mondo Yuri Herrera
(…) Si era lasciata alle spalle la base militare quando udì: Anche tu! In ginocchio! Anche tu!
Si voltò e vide un poliziotto orrendamente pallido che le puntava un dito. Sei sorda? Mettiti in fila.
In un campo brullo e punteggiato di pozzanghere di acqua sporca, c’era una mezza dozzina di uomini in ginocchio con lo sguardo a terra. Erano tutti compaesani, o almeno lo sembravano. Makina si mise accanto a loro.
E così, pensate di poter venire qui e fare i vostri porci comodi senza alcun permesso, disse il poliziotto, Be’, ho una notizia per voi, ci sono patrioti come noi che vigilano e ora vi daremo una bella lezione. Tanto per cominciare: abituatevi a stare in fila. Se volete venire qui, vi mettete in coda e chiedete il permesso, se volete andare da un medico, vi mettete in coda e chiedete il permesso, se volete rivolgermi una fottuta parola, vi mettete in coda e chiedete il permesso. È così che facciamo le cose qui, tra gente civile! Non certo scavalcando muri o scavando gallerie.
Con la coda dell’occhio Makina vedeva che il poliziotto, parlando, sporgeva fuori la lingua, rosea e appuntita. E che teneva la mano sulla fondina della pistola, pur non avendola ancora estratta. A un tratto, il poliziotto si rivolse a uno di loro, quello che stava di fianco a lei.
Cos’hai lì.
Fece due passi in avanti e ripeté: Cos’hai lì?
L’uomo teneva fra le mani un piccolo libro e lo strinse a sé quando il poliziotto si avvicinò. Tentò di opporre una debole resistenza ma alla fine se lo lasciò portare via.
Ah, sbottò il poliziotto dopo averlo sfogliato, Poesie.
Altro che manodopera qualificata, non avete soldi, non avete documenti, però vi portate appresso le poesie. Sei un tipo romantico? Sei un poeta? Sei uno scrittore? Be’, adesso vediamo.
Strappò una delle ultime pagine, l’appoggiò sulla copertina del libro, prese una matita dal taschino e porse tutto all’uomo.
Scrivi.
L’uomo alzò lo sguardo senza capire.
Ti ho detto di scrivere, non di guardarmi, figlio di puttana. Abbassa gli occhi su quel foglio e scrivi perché credi di essere nella merda, perché pensi che il tuo culo sia nelle mani di un agente patriota. O forse non ti rendi conto di quello che hai fatto? Ma sì che lo sai. E allora scrivi.
L’uomo appoggiò la punta della matita sul foglio e cominciò a tracciare una lettera ma il tremore glielo impediva. Lasciò cadere la matita, la riprese in mano e ci riprovò. Non riuscì a scrivere nemmeno una parola, a malapena uno scarabocchio nervoso.
Makina gli tolse di scatto la matita e il libro. Il poliziotto sbraitò: A te non ho detto di … Ma si bloccò vedendo che Makina scriveva con disinvoltura. Rimase a fissarla, sorridendo sardonico, pur senza riuscire a nascondere un evidente sconcerto.
Makina scriveva senza fermarsi a pensare quale parola fosse meglio di un’altra o come potesse suonare il messaggio. Scrisse dieci righe e alla fine posò la matita sul libro e piantò gli occhi su di lui. Il poliziotto attese qualche istante, poi disse: Dammi qua. Prese il foglio e cominciò a leggere ad alta voce:
Noi siamo i colpevoli di questa distruzione, quelli che non parlano la vostra lingua e neppure siamo capaci di restare in silenzio. Noi, che non siamo arrivati qui su una nave, che copriamo di polvere i vostri portici, e apriamo varchi nei vostri reticolati. Noi che veniamo a togliervi il lavoro, che aspiriamo a pulire la vostra merda, noi che aneliamo di lavorare senza sosta con orari impossibili. Siamo quelli che colmano di odori di cibarie le vostre strade così pulite, che portano qui una violenza a voi sconosciuta, noi, che ci occupiamo di quello che volete, e ci meritiamo di essere legati mani e piedi con una corda al collo; noi, a cui non importa di morire per voi, e come potrebbe essere diversamente? Siamo quelli che chissà cosa ci teniamo dentro. Noi, dalla pelle scura, i piccoletti, bisunti, malandati, obesi, anemici. Noi i barbari.
Il poliziotto aveva cominciato a leggere in tono stentoreo, ma andando avanti aveva perso l’aria istrionica e alla fine, l’ultima riga la lesse in un mormorio. Poi rimase a fissare il foglio come se si fosse bloccato sul punto finale. Quando finalmente alzò lo sguardo, sembrava aver perso il rancore o comunque l’interesse per i suoi prigionieri. Accartocciò il foglio e lo gettò alle sue spalle. Poi guardò da un’altra parte, si voltò, parlò con qualcuno alla radio e se ne andò.
Makina si alzò in piedi quando il poliziotto si allontanò, ma gli altri ci misero un po’ a capire che non erano in stato di arresto. Si scambiarono sguardi l’un l’altro, contenti e diffidenti, quindi guardarono Makina ma non poterono dirle nulla perché lei si era già incamminata e scorsero soltanto la sua figura stagliata contro la luce del sole. Brano tratto da Segnali che precederanno la fine del mondo. Titolo originale Señales que precederàn la fin del mundo. Traduzione dallo Spagnolo di Pino Cacucci – La Nuova Frontiera, Roma, 2012. Yuri Herrera è nato ad Actopan, in Messico, nel 1970. Ha studiato Scienze Politiche in Messico e Letteratura negli Stati Uniti. Con il suo primo romanzo La ballata del re di denari ha vinto, nel 2003, il Premio Binacional de Novela "Border of words", e nel 2009 in Spagna il premio "Otras voces, otros ambitos", confermandosi come uno degli scrittori messicani più promettenti. Di prossima pubblicazione in Italia il suo secondo romanzo Segnali che precederanno la fine del mondo.
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