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Sagarana FESTONI DI CONCHIGLIE


Mariangela Casarosa


 

La prima foto del mio album è in bianco e nero, risale all’estate del ’48: io e mia sorella Marilena sulla sabbia con lo sfondo del mare a Marina di Pisa, con in mano due secchielli di ferro. Indossavamo costumi di lana, sorretti da due esili laccetti ed avevamo sul volto un sorriso incerto. Da quell’anno fino al 1956 ho sempre trascorso le vacanze estive a Marina di Pisa, prima con mia sorella e poi dal 1950 anche con il fratellino Marco. Ora vado al mare a Tirrenia, ma Marina di Pisa mi è rimasta nel cuore perché vi ho trascorso le estati incantate della mia infanzia e della prima giovinezza negli anni del dopoguerra.
Mio padre possedeva un’automobile grigio azzurra, denominata “la giardinetta”, aveva le portiere in legno e metallo ed a me piaceva molto. Aspettavo con ansia il 1° luglio perché la nostra famiglia dal paese si trasferiva al mare.
Mi sembrava un viaggio lunghissimo ed ogni anno rivivevo le solite emozioni: intravedere la Torre dall’arco di Piazza Manin, poi ammirare l’Arno dal ponte della Aurelia ed infine imboccare il Viale Gabriele D’Annunzio. Io e mia sorella ci divertivamo a guardare i piccoli chalet posti fra il viale e la riva dell’Arno. Erano piccole casette colorate tutte di colore diverso e si estendevano per tutto il viale, da Pisa fino alla foce. Ci divertivamo durante questo viaggio, che a noi sembrava lunghissimo, a dare i voti alle casette, da zero a dieci. Spesso il nostro voto coincideva, a volte no. Dopo un mese trascorso a Marina, nel viaggio di ritorno riprendevamo il gioco come pure negli anni seguenti. Quando qualche anno più tardi si aggiunse a noi il fratellino Marco, insegnammo anche a lui il gioco dei voti. Quando arrivavamo alla foce dell’Arno, mio padre rallentava l’andatura della macchina e la mamma esclamava sempre: “Bimbe, guardate il paesaggio, che meraviglia!” A destra, sul fiume le bilance da pesca, chiamate retoni, da sempre molto fotografate, la foce dell’Arno, la spiaggia di San Rossore e sulle sfondo la catena blu delle Alpi Apuane, uno spettacolo bellissimo e pittoresco.
Sapevamo di essere arrivate a Marina di Pisa.
Nei primi anni del dopoguerra prendevamo in affitto due stanze sul mare, al Bagno Italia, dove siamo andate per quattro anni. Mi piaceva essere così vicina al mare, ci svegliavamo e dopo la colazione a base di caffè e latte e fette di pane e marmellata, andavamo subito a giocare sulla spiaggia dove c’erano altri bambini.
Quando il mare era agitato, il nostro divertimento era enorme: le onde, chiamate “cavalloni” ci travolgevano e ci facevano rotolare fino a riva, ridendo.
L’odore di salmastro era più forte ed acuto di quello di ora, l’acqua era più salata e poi c’erano sempre tante conchiglie da raccogliere. Dopo le mareggiate trovavamo sul mare festoni di conchiglie. Riempivamo i nostri secchielli ed io e mia sorella facevamo a gara a chi ne trovava di più belle. Molto ambite quelle rosate, che chiamavamo “le unghie di fata”, poi ce ne erano di madreperlate, bianche a torciglione e poi quelle sottili e leggere “della Shell”, come le chiamavamo, in quanto
simili al disegno della reclame della nota marca di benzina. Chi ne trovava una vinceva. Raccogliere conchiglie mi dava una gioia immensa.
Arrivate in cucina le stendevamo sul tavolo e classificavamo le più belle. Se ne trovavamo qualcuna bucata le appendevamo ad un filo e le portavamo come collana. Mio padre con un chiodo ed un martello ne bucava altre per infilarle con il cordino bianco e costruiva uno scacciapensieri da appendere alla porta di casa. Nostra madre riponeva le rimanenti in alti vasi di vetro che portava nella nostra casa in campagna.
La sera mio padre ci raggiungeva, ma non sempre. Noi chiedevamo con ansia: ”Mamma, ma babbo quando viene?” “Viene domani, ha tanto da fare.”
Aspettavamo il babbo perché giocava con noi; utilizzando i secchielli ci insegnava a costruire i castelli di sabbia che noi adornavamo con le conchiglie. Poi ci costruiva il vulcano ed era una gioia vedere il fumo ed il fuoco che usciva dal cono di sabbia. Oggi è proibito. Altro gioco era la pista di sabbia: il babbo ci afferrava per le gambe e ci trascinava sulla sabbia, disegnando con il sedere una pista, dove facevamo le gare con le biglie di vetro oppure con i tappini.
Altri giochi erano il ruba bandiera, chi perdeva doveva fare la penitenza. Molto in voga era la scelta “Dire, fare, baciare, lettera, testamento”.
La domenica era un rito la gita sul patino del Bagno Italia. Mio padre remava, andavamo al largo e io, vedendo le case di Marina lontane e piccole piccole, ero felice.
Nel pomeriggio la mamma ci portava sulla passeggiata di Marina, a volte verso Tirrenia fino al Bagno Arcobaleno. Ripetevamo il nostro gioco, imparando i nomi degli stabilimento balneari che io sapevo appena leggere e sceglievamo l’insegna più bella. Ricordandoli, ho visto che quelli che allora erano i primi non esistono più, scomparsi per l’erosione marina. A volte passeggiavamo lungo gli scogli. Dall’altra parte della strada solo case, non c’erano negozi e c’era solo la visita alla chiesa.
Nell’Aprile del 1948 a Marina di Pisa ci fu un grande evento: l’apparizione della Madonna a Villa Santa ad una bambina di nome Paola. Appena lo abbiamo saputo, trovammo una meta precisa per le nostre passeggiate pomeridiane.
Mi ricordo una grande folla, gente che pregava, che urlava, che piangeva, scene che oggi definiamo d’isterismo collettivo. Ascoltavo morbosamente le disparate discussioni degli adulti: chi ci credeva fermamente e chi asseriva che erano invenzioni. Con mia sorella, la sera a letto ne parlavamo. Io volevo disperatamente crederci. Pregavo allora la Madonna con fervore e mi arrabbiai molto quando, alla fine della vacanza, non mi era ancora apparsa. Con mia grande delusione né io, né mia sorella, né mia madre, né le persone a noi vicine in preghiera videro mai la Madonna di Villa Santa.
Anche ora, d’inverno mi reco a passeggiare per vedere il tramonto lungomare a Marina, mi fermo in Piazza Gorgona e quando vado a Villa Santa nella grotta bianca a pregare la statua della Madonna, chiudo ancora gli occhi, come facevo da piccola, e li riapro sperando nel miracolo di vederla.




Mariangela Casarosa ha pubblicato sei libri di poesie dal 1978 al 2001: “Impazziti gabbiani”, “Per colmare distanze”, “Rifugio di luce”, “Ore azzurre”, “Raccontarci favole”, “Selvaggiamente viva”. Nel 2007 ha esordito con il suo primo romanzo di narrativa “Mariel rideva da sola” ETS Edizioni. Il 10 Luglio 2009 è uscito il secondo romanzo “Festa di fine millennio” con Felici Editore.




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