L’APARTHEID DEI ROM IN EUROPA Un discorso a Roma, il 21 Dicembre 2012 Paul Polansky Signore e signori, Da ormai più di vent’anni vivo in Europa con i Rom, gli Askhali, i Sinti, i Kale e molti altri gruppi conosciuti comunemente con il nome di Zingari. Vivo con loro in qualità di antropologo, scrittore/poeta, fotografo e attivista per i diritti umani. Ho raccolto e ripreso oltre quattrocento storie orali di queste popolazioni in ben 19 paesi. Sono testimone in prima persona delle condizioni in cui versano e delle loro tragedie. Ma è veramente giustificato dire che oggi in Europa i Rom, gli Zingari vivano in condizioni di apartheid? Secondo la definizione del reato di apartheid contenuta nello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia di Roma del 2002 per apartheid si intendono “… atti disumani commessi in vista di istituire e di mantenere la dominazione di un gruppo razziale di esseri umani su un qualsiasi altro gruppo razziale di esseri umani e di opprimere sistematicamente quest’ultimo.” Il 30 novembre 1973, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite aprì la discussione per la ratifica della Convenzione Internazionale sull’Eliminazione e la Repressione del Crimine di Apartheid. L’articolo II della Convenzione Internazionale afferma tra l’altro che il crimine di apartheid comprende “[…] Prendere misure, ivi comprese misure legislative miranti a dividere la popolazione secondo criteri razziali creando riserve e ghetti separati per i membri di uno o più gruppi razziali … ed espropriando i beni immobili appartenenti ad uno o più gruppi razziali ed a membri di tali gruppi.” Lasciatemi spiegare adesso, in base alla mia esperienza personale, il significato di queste definizioni di apartheid. La prima volta che mi sono imbattuto in un atto che rientrava in maniera flagrante nelle definizioni di cui sopra è stato in un paesino della Spagna meridionale, regione in cui ho abitato per quasi trent’anni. Il sindaco del paese di Antas (Almeria) aveva dichiarato che a nessun Gitano, ossia nessuno zingaro, era consentito comprare o affittare beni immobili nel suo comune. A quell’epoca non ero coinvolto direttamente con la comunità Rom locale come attivista per i diritti umani, ma nondimeno tale esclusione mi colpì come profondamente ingiusta. Avevo amici Gitani. Frequentavo regolarmente alcuni di essi. Invitavo un gruppo di ballerini di Flamenco gitani a esibirsi nelle feste che organizzavo a casa mia. Tra i miei dipendenti c’erano anche zingari. Eppure il sindaco li aveva banditi da questo paesino della Spagna meridionale. Nel 1991 mi trasferii a Praga, a quell’epoca in Cecoslovacchia, e scoprii forme di segregazione perfino più eclatanti. Ai bambini Rom non era consentito andare alle scuole “normali”. Fu in quell’occasione che scrissi questa poesia: UNA SCUOLA SPECIALE (scritta nella voce di un padre Rom) Ho sempre saputo che mia figlia era brillante, faceva disegni pieni di dettagli,
memorizzava tutte le canzoni dei nostri antenati, … suonava il piano prima di aver cinque anni. Per cui fui sorpreso quando l’insegnante venne a casa nostra e ci disse
che nostra figlia non era pronta per la scuola. Il suo ceco non era abbastanza buono,
aveva bisogno di aiuto con la grammatica. Mia moglie disse che tutti i bambini di sei anni hanno bisogno di aiuto con la grammatica.
Il preside accettò di incontrarci.
Disse che nostra figlia era una bella bambina, ma sarebbe stata l’unica zingara nella sua classe. Alla fine acconsentimmo.
Firmammo il foglio.
Non volevamo che la nostra bambina fosse maltrattata. Ma ora quando la porto a piedi a scuola,
e vedo la targa sull’edificio,
mi si spezza il cuore.
Perché non ci hanno detto
Che la sua scuola speciale
Era un centro per
Ritardati mentali.
Dopo Praga andai a visitare una comunità Rom nella Slovacchia orientale che era stata costretta ad abbandonare il l suo villaggio ancestrale di Letanovce perché dopo diversi secoli il paese si era ingrandito al punto che il ghetto riservato agli zingari si trovava ora nel centro e a livello immobiliare era certo una zona molto ambita. Agli zingari venne intimato di fare fagotto senza alcuna compensazione per le case e le terre che erano state di proprietà delle loro famiglie per generazioni e generazioni. L’unica soluzione che riuscirono a trovare fu di rifugiarsi in una foresta nelle vicinanze, a cinque chilometri di distanza, abbattere degli alberi e costruirsi casette con i tronchi. Nel 1992, Vaclav Havel, in qualità di presidente della repubblica, aveva promesso al popolo cecoslovacco che il nuovo governo avrebbe garantito le necessità di base, promessa che non riuscì a mantenere dopo la secessione della Slovacchia. Avendo sentito che questo insediamento Rom vicino a Letanovce era privo di elettricità, acqua e fogne nei primi anni novanta decisi di andare a visitarlo. Dopo la secessione della Slovacchia, il comune di Letanovce presentò un ricorso legale contro i Rom accusando quei 700 che si erano rifugiati nella foresta di abbattimento illegale degli alberi utilizzati per costruire le loro case. Secondo le accuse, l’insediamento illegale era avvenuto cinquanta anni prima, senza autorizzazione. Quindi il comune dichiarò foresta nazionale il bosco che circondava le case dei Rom e assunse un poliziotto per impedire loro di fare legna, carburante indispensabile per il riscaldamento e la cucina. Questo non fu l’unica comunità Rom costretta ad abbandonare la propria terra a causa di pressioni demografiche che avevano portato a un ampliamento degli insediamenti urbani. Nella Slovacchia orientale scoprii un gran numero di comunità Rom che abitavano in miniere abbandonate o in discariche tossiche dopo essere state costrette a lasciare le proprie abitazioni storiche, appartenenti da secoli a famiglie Rom e situate in quello che era ormai diventato il centro. Ben lungi dall’essere rari esempi, questi sfratti forzati costituiscono adesso la norma nella maggior parte dei paesi dell’Europa dell’Est. Oggi la maggioranza dei ghetti abitati dai Rom si trovano vicino alle discariche municipali perché sono le uniche terre non ambite dagli altri. Forse il migliore esempio ed uno degli sfratti più tragici senza compensazione è avvenuto a Nish, la terza città per importanza in Serbia dove abito attualmente e dove parte dell’anno sono impegnato a raccogliere le storie orali dei Rom della zona, che arrivarono nei Balcani circa mille anni fa come lavoratori schiavizzati dalla Chiesa Ortodossa. Nish possiede archivi che documentano la presenza continuativa di zingari nel tessuto urbano da quasi seicento anni. Il primo censimento eseguito nel 1491 dai Turchi dimostra che gli zingari abitavano nella città prima ancora dell’arrivo dei Turchi nei Balcani. Più tardi, vi fu l’arrivo di un esiguo numero di zingari al seguito degli stessi soldati Turchi. Il primo censimento storico eseguito nel 1491 documenta il pagamento di tributi da parte degli zingari in ben 18 aree Turche attorno Nish. Tutti gli zingari erano cristiani e l’archivio elenca 3237 nuclei famigliari “normali” e 211 famiglie con vedove come capofamiglia. Il censimento del 1498 contiene maggiori dettagli. Nel comune di Nish vivevano 294 famiglie zingare “regolari” e cinque con vedove come capofamiglia, distribuite in diversi quartieri. Presumendo che ogni nucleo famigliare fosse composto da cinque persone si arriva a un totale di circa 1490 zingari nella città, la cui maggioranza era ancora di fede cristiana. Nel 1948, grazie all’espansione urbana, i quartieri abitati da 600 anni prevalentemente da zingari finirono per essere situati in quello che era diventato il centro della città, e per la loro posizione acquistarono grande valore dal punto di vista immobiliare. Cominciarono quindi arrivare offerte per l’acquisto delle case e dei terreni ma la maggior parte degli zingari rifiutò tali offerte. Poi nella primavera del 1948 la peggiore inondazione a memoria d’uomo colpì la città distruggendo quasi tutte le case dei Rom che erano costruite di mattoni crudi. La maggioranza delle famiglie Rom sfollate furono ospitate in strutture scolastiche ma dopo che l’acqua si fu ritirata il sindaco di Nish rifiutò di lasciar tornare i Rom alle proprie case per ricostruirle. Nonostante che molti possedessero documenti che attestavano il legittimo possesso delle case, i Rom furono trasportati nei villaggi vicini e abbandonati a sé stessi. Non ricevettero mai alcuna compensazione per le loro proprietà mentre sulle terre che per secoli erano appartenute ai Rom il comune di Nish iniziò a costruire palazzoni moderni per i funzionari del comune e per gli ufficiali dell’esercito. Le famiglie Rom che non erano riuscite a trovare terra nei villaggi vicini gradualmente ritornarono a Nish e costruirono baracche ai margini della città, vicino alle discariche, in terre su cui nessuno desiderava edificare. Alcuni costruirono case perfino su un vecchio cimitero ebreo che era stato abbandonato poiché tutti gli ebrei della città erano stati sterminati durante la occupazione nazista. All’epoca non vi fu alcun tentativo da parte dei funzionari del comune di porre fine a queste nuove edificazioni dei Rom né vi furono proteste contro di esse. Oggi, ancora una volta su alcuni dei ghetti dei Rom pesa la minaccia di sfratti forzati in quanto dopo mezzo secolo le istituzioni di Nish dichiarano che i quartieri erano stati costruiti senza autorizzazione. Evidentemente ancora una volta è cresciuto il valore delle terre su cui si erano insediati i Rom. La situazione è ancora peggiore nel Kosovo, regione che dal 1999 al 2008 è stata sotto l’amministrazione delle Nazioni Unite, e stato che ancora tutt’oggi è monitorato dall‘Unione Europea. Nel 1999 più di centomila zingari kosovari appartenenti ai gruppi Rom, Ashkali e Egiziani furono costretti ad abbandonare le proprie case che vennero saccheggiate e distrutte mentre le truppe NATO se ne stavano immobili a guardare (posso testimoniare di questo perché ero presente anch’io). Molti fuggirono all’estero, ma i più poveri non avevano i soldi per pagare qualcuno che li portasse in salvo in Italia o in Germania, così cercarono rifugio in una piccola enclave di Serbi a nord di Mitovica dove li trovai insediati in un edificio scolastico. Nell’arco di una settimana l’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite se ne fece carico e li collocò in tende su quella che era stata una discarica tossica. Quando mi lamentai con i più alti funzionari delle Nazioni Unite nel Kosovo dei pericoli per la salute che conseguivano allo stazionamento dei Rom su terre altamente tossiche, a questi gruppi di Ashkali e di Rom venne promesso che ci sarebbero rimasti solo 45 giorni e che poi sarebbero stati o riportati alle loro case o in un’altra nazione. Invece sia i Rom che gli Ashkali restarono su quelle terre avvelenate dal piombo per i successivi 12 anni mentre le Nazioni Unite dichiaravano che nessuno voleva zingari nella propria città. Fu così che nacque il primo ghetto per zingari (almeno per quelli che riuscirono a sopravvivere) sponsorizzato dalle Nazioni Unite. Ogni bambino Rom o Ashkali concepito su quelle terre ad alto livello tossico nasceva con danni cerebrali irreversibili e se sopravviveva era portatore di ritardo mentale. Dopo oltre 100 decessi e dodici anni di lotta per fare conoscere al mondo questa tragedia, noi attivisti per i diritti umani dei Rom finalmente riuscimmo a fare in modo che l’ONU, l’Unione Europea ed i loro partner esecutivi come Mercy Corps costruissero nuove abitazioni per questi rifugiati. Ma cosa fece l’ONU? Costruì un altro ghetto su una piccola sezione del ghetto originale dei Rom/Ashkali, giustificando questa azione con il pretesto che non vi era nessun altro luogo in cui poterli collocare. Ma per poter costruire questo nuovo insediamento il comune di Mitrovica Sud confiscò senza compensazione e con l’approvazione dell’ONU oltre 20 ettari di terra che appartenevano ed erano occupati da Rom e Ashkali della zona. Le case costruite su questi terreni furono saccheggiate e distrutte benché fossero la dimora di oltre 8000 Rom/Ashkali e nonostante che le strutture esistenti fossero rinforzate con l’acciaio e quindi abbastanza solide per essere ristrutturate invece che distrutte, come avvenne quando i bulldozer della NATO le rasero al suolo per “ripulire” l’area secondo il progetto dell’ONU. Alcuni dei Rom ed Ashkali di Mitrovica rifiutarono di ritornare al nuovo ghetto. Non volevano essere ancora una volta vittime di segregazione e marchiati. Chi aveva parenti che nella diaspora del 1999 erano fuggiti all’estero decise di trovare soldi per pagare contrabbandieri che li facessero arrivare in Italia, Germania o altri paesi dell’Unione Europea per unirsi ad altri membri della famiglia espatriati in precedenza. Spero di essere riuscito a spiegare perché tanti Rom e Ashkali e altri gruppi stiano ancora cercando rifugio e sicurezza all’estero. Un ulteriore fattore da prendere in considerazione è il fatto che paesi come la Germania hanno fatto del rientro forzato di questi Rom espatriati all’estero uno dei prerequisiti per qualificare la Serbia, il Kosovo e la Macedonia come stati candidati ad entrare nell’Unione Europea. Ma quale sarebbe la situazione a cui ritornerebbero questi Rom e Ashkali a cui si impone di ritornare nei Balcani? Tornerebbero in una terra in cui non hanno né casa né lavoro. Quasi senza eccezione, sarebbero ancora una volta costretti a rifugiarsi in ghetti dove i Rom e gli Ashkali che ancora vi abitano continuano ad essere segregati e marchiati. In aprile di quest’anno il comune di Belgrado, utilizzando principalmente fondi stanziati dall’Unione Europea ha iniziato a costruire una nuova strada di scorrimento che porta verso l’autostrada. Era previsto che tale strada attraversasse una zona occupata da case e baracche costruite dai Rom. Per placare i funzionari dell’UE che non volevano che i fondi da loro stanziati fossero utilizzati per distruggere ancora una volta le case dei Rom, il sindaco di Belgrado Dragan Djilas promise ai Rom sfrattati di fornire loro abitazioni alternative adeguate. In realtà a soli pochi Rom è stato dato qualcosa. Quei Rom che molti anni prima avevano lasciato le proprie città di origine per cercare lavoro nella capitale Belgrado e si erano insediati in quella zona hanno ricevuto l’ordine dal sindaco di Belgrado di deportazione all’indirizzo indicato nelle loro carte d’identità originarie. Cinque famiglie Rom sono state deportate a Nish e buttate sulla strada. Dopo la denuncia di una ONG locale il comune ha permesso a queste cinque famiglie di occupare un magazzino abbandonato senza acqua o elettricità. Dopo tre mesi di proteste da parte di Amnesty International, the European Roma Rights Center e di ONG locali, il sindaco di Nish, Prof. Zoran Perisic, già cardiologo (il mio cardiologo) ha ammorbidito la sua posizione lasciando che l’azienda municipale dell’acqua collegasse dei tubi di un centimetro e mezzo di diametro per fornire l’acqua a un unico lavandino e a un WC che dovrebbero essere utilizzati da tutte e cinque le famiglie. I tubi scoppiarono non appena fu fatta scorrere l’acqua e i tecnici del Comune si sono rifiutati di ripararli affermando che spettava agli zingari di ripararli se volevano l’acqua. A quel punto, dato che già ero coinvolto a cercare assistenza per queste famiglie, pagai la riparazione di tasca mia: un misero esborso di 30Euro. Oggi, sette mesi dopo l’autorizzazione ad abitare in questo magazzino polveroso e infestato da ratti, dove s’infiltra la pioggia attraverso un’infinità di buchi nel tetto, queste famiglie non hanno ancora elettricità. Sebbene ci sia già un contatore nel magazzino i funzionari del comune di Nish rifiutano di attaccare l’elettricità per queste famiglie Rom. Secondo il sindaco, bisogna rispettare le leggi. Il suo portavoce mi ha comunicato che costerebbe al comune oltre tremila euro effettuare il sopralluogo e rilasciare un rapporto che confermi che l’impianto elettrico sia stato eseguito in maniera idonea, sicura e legale . Poco tempo dopo il trasferimento nel magazzino, una donna Rom è morta in quel luogo. Dopo qualche settimana là dentro è nata una bambina che adesso lotta per sopravvivere in quelle condizioni. È arrivato l’inverno. Non c’è né elettricità né riscaldamento e presto probabilmente i tubi dell’acqua si congeleranno. Quella bambina riuscirà a sopravvivere? Riusciranno a sopravvivere gli altri Rom? Dopo la guerra del 1999 nel Kosovo molti serbi fuggirono da quella regione per rifugiarsi a Nish. Il comune di Nish ospitò questi rifugiati serbi in un hotel e più tardi fornì loro abitazioni adeguate. Questo non è stato il trattamento riservato ai cittadini Rom. La questione di fondo è questa. I Rom, la cui presenza è documentata a Nish da seicento anni, non sono considerati cittadini “veri”. Non sono ancora considerati esseri umani. Sono ancora segregati e trattati in maniera tale che la fuga verso un altro paese è l’unica speranza di salvezza. Ma la maggior parte di essi non può permettersi di scappare, quindi subisce quella condizione che la legge internazionale definisce apartheid. Esiste in Europa l’apartheid?
Andate ad abitare con i Rom, gli Ashkali, i Sinti o i Kale e anche voi potrete vivere in prima persona l’apartheid… in Europa. Grazie Traduzione di Pina Piccolo. Paul Polanski, nato a Mason City, Iowa (USA) nel 1942. Ha lavorato come giornalista ed ha pubblicato romanzi e saggi, ma è meglio conosciuto come poeta (16 libri) e come attivista per i diritti umani. Nel 2004 è stato insignito all'unanimità del Premio Per I Diritti Umani della città di Weimar dopo essere stato nominato da Günter Grass, Premio Nobel per la letteratura nel 1999. Basato sulla sua esperienza di campione amatoriale di pugilato degli Stati Uniti e poi sparring partner di alcuni combattenti professionisti, la collezione di poesie sul pugilato di Polanski fu pubblicata per la prima volta a Praga, nel 1999 in un'edizione bilingue, in ceco e inglese. Alcune di queste poesie sono apparse in italiano nella sua antologia L'imbattuto pubblicata da Multimedia Edizioni nel 2009.
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