IL CORAGGIO DELLO SCRITTORE Julio Monteiro Martins
“Da un certo punto in là non c'è più ritorno. È questo il punto da raggiungere.” (Franz Kafka) Il coraggio, insieme alla compassione, è forse la qualità più essenziale per uno scrittore “di lungo corso”. Ma attenzione, il coraggio dello scrittore può non somigliare all’immagine stereotipata del coraggio. Quello celebrato nei film di avventura è il coraggio “acuto”, l’impulso repentino di fuggire verso il nemico al posto di fuggire dal nemico, un superamento esplosivo di se stesso e dei propri terrori. Il coraggio richiesto dallo scrittore invece è una sorta di coraggio “cronico”, uno “stato di coraggio” persistente, quotidiano, discreto e non sempre riconoscibile. Non un’effimera vittoria sui propri limiti ma una modalità stabile dell’essere, la conquista definitiva di un territorio che non conosce limiti. Questa condizione deve sopraggiungere perché la scelta di fare lo scrittore come vita, mestiere e vocazione comporterà inevitabilmente una serie di sfide al sistema sociale e culturale, per cui bisogna essere preparati. Il fatto è che le sfide prima o poi provocano una reazione severa, che occorre affrontare. La prima sfida è quella di ordine personale ed esistenziale. Dichiarare di voler fare lo scrittore è spesso interpretato come un atto di presunzione, come una voglia di prendere distanze dalla normale convivenza, come qualcuno che, magari senza meriti, decide di giungere alla sommità del monte Olimpo con le proprie gambe. La seconda grande sfida, anch’essa personale, è di natura psicologica. Lo scrittore deve affrontare, riconoscere e poi convivere con i fantasmi del proprio inconscio. Lo dobbiamo fare tutti, è vero, ma lo scrittore non prova ad arginare o a reprimere gli esseri che emergono dalle zone ombrose dello spirito, ma li convoca, li invita a manifestarsi e instaura con loro un vero dialogo. Molti di questi fantasmi, con le loro pulsioni selvagge, saranno più avanti metabolizzati nelle caratteristiche di certi personaggi. C’è anche, e forse soprattutto, la sfida morale, sociale e politica. Il coraggio di Brecht, di Lorca, di Primo Levi, di Mishima, di Jack London. Il coraggio del dissidente e del rivoluzionario. La sfida frontale alle patologie del sistema o al sistema stesso. Lo smascheramento delle illusioni, dei meccanismi che fabbricano il consenso e delle ipocrisie che sostengono i privilegi e le ingiustizie. Le reazioni a queste sfide sono le più violente, e spaziano dall’esclusione editoriale, dalla derisione pubblica e dall’oblio mediatico alla prigione e in alcuni casi alla tortura e alla morte. E in ultimo c’è una particolare forma di sfida all’interno della letteratura stessa, la sfida alla forma e alla struttura tradizionale. Osare raccontare in modo originale, inventivo, sorprendente e sovversivo delle regole, non per trasgressione fine a se stessa ma per cercare una nuovissima e più efficace forma del narrare in sintonia con le trasformazioni della sensibilità del nostro tempo. Anche questo genere di sfida suscita spesso reazioni tutt’altro che morbide e pacate. Questo “stato di coraggio permanente” richiesto allo scrittore può essere raggiunto solo da una piena consapevolezza del suo ruolo, da un “nocciolo duro” morale che si coagula lungo gli anni a partire dalla costatazione che se certe cose non le dice uno scrittore, non ci sarà proprio nessun’altro a dirle. Julio Monteiro Martins
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