UNA ROSA BEN DIPINTA Brano tratto dal saggio Fare cinema Mauro Bolognini
(…) Sono stato assai criticato perché il film [Metello] era sentimentale e non sufficientemente politico. Io sono proprio contento che fosse un film sentimentale: non ho certo vergogna di utilizzare i sentimenti e se un film è capace di emozionare, tanto meglio. E invece è successo esattamente il contrario: sono stato accusato di emozionare, io non avrei avuto diritto di emozionare, dovevo solo porre dei problemi politici. Ma io non faccio politica. La storia da raccontare mi interessava come condizione umana, solo in seconda battuta come riflessione politica. Mi interessa la condizione del personaggio, che diviene politica solo per conseguenza. D'altronde, non credo affatto alla politica quando è costruita con tutti i dogmi dei ‘politici’. Io non posso fare film in quanto uomo politico, li faccio in quanto uomo di cinema. Credo che Picasso abbia detto una cosa molto giusta: «Una rosa ben dipinta è più politica, ha più colore politico di un manifesto scritto male».
Quello che mi interessava all'epoca (...) e che mi interessa ancora oggi non è di fare un film, dei film ‘politici’, non mi interessa il problema sindacale. Quello che mi interessa è il dramma dell'operaio, la sua povertà, il fatto che la sua vicenda abbia un risvolto drammatico: detesto i manifesti politici. (...) Quando faccio un film, quello che cerco è la vita: la vita dei personaggi, delle strade e così via. De Filippo in proposito diceva una cosa bellissima, che più o meno suonava così:
«Se cerchi lo stile, trovi la morte; se cerchi la verità, trovi la vita».
Mi piace rappresentare nei film dei personaggi che abbiano dei problemi esistenziali. Sono sempre stato poco attratto dall'idea di occuparmi di regine, duchesse, imperatrici. Le mie eroine sono più spesso operaie o prostitute, e in ogni caso persone del genere, ferite dalla vita; così come dei magnaccia, persone che hanno vissuto un dramma. Basta pensare a un film come Bubu, dove la protagonista viene da una famiglia operaia, portata a fare ‘la vita’ un po' per necessità un po' per la malvagità degli uomini. Ecco, in questo senso in molti casi la prostituzione diventa per me una sorta di simbolo della disperazione, dell'ingiustizia; anche dell'ingiustizia sociale."
All'inizio della mia carriera, per esempio quando ho girato La Diaccia, la critica cinematografica in Italia era molto "impegnata" e molto orientata a sinistra. Così di fronte al film si diceva che stavo riportando il cinema all'indietro. Quando ho cominciato a lavorare con Pasolini il resto della critica, quella non orientata a sinistra, si è messa del tutto di traverso, perché Pasolini era tutt'altro che amato. E via dicendo; per ogni occasione una critica diversa. Un altro esempio, i film derivati da testi letterari: secondo la critica io non avevo il diritto di fare operazioni del genere, non mi potevo permettere di trascrivere sullo schermo i capolavori della letteratura. Se si trattava di Visconti, bene, nessuno aveva niente da dire; e neppure se lo avesse fatto un regista francese o americano, liberi di fare riferimento a un testo teatrale o a un romanzo. Ma quando mi sono messo io a girare Senilità, allora c'è stata una specie di insurrezione: ma perché, ma come si permette... Eccetera, eccetera. Sempre così. Però devo dire di essere molto contento, perché non devo niente a nessuno, sono stato sufficiente a me stesso, senza bisogno di prendere nessuna tessera e restando sempre libero. Le tessere le ho strappate quando ero ancora studente.
Non ho amici nella critica. Anzi, ho trovato molta considerazione in Francia e in Sud America, ma non in Italia.
Non lavoro per la storia del cinema, lavoro per me. Se quello che viene fuori è buono o cattivo, lo vedremo poi. Non penso ai messaggi, alla critica di sinistra, ai cineclub. Ho bisogno di seguire questo metodo. Ognuno, del resto, adotta i criteri che gli sono più congeniali. Perciò quando mi chiedono: «Qual è il film della tua vita, quello che faresti carte false per realizzare?», dovrei rispondere: non lo so; oppure: tutti. Anche nel cinema, credo, è il tono che fa la canzone. Poi se qualcuno vorrà divertirsi a trovare delle costanti, dei fili rossi, dei motivi ricorrenti nel mio lavoro, potrà sbizzarrirsi. Io leggo molto volentieri le critiche serie sul mio lavoro, scopro in tutte qualcosa di me che non sapevo.
Brano tratto da Fare cinema, a cura di Roberto Cadonici. Via del vento edizioni, Pistoia, 2012. Mauro Bolognini (1922 – 2001) č stato un importante regista italiano. Tra i suoi film Il bell’Antonio e Bubu.
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