CONTROEPICA DELL'ASSALTO Lucia Cupertino
Era in una strada oscura che camminavi
ed il mio passo non ti seguiva
e neppure ti affiancava,
avevi superato il pezzo più duro
da General Anaya laddove uno
si volta impazzito
come quei segnavento
che fanno chicchiricchì
nei giorni di maestrale,
io non c'ero, io volavo,
avevi attraversato anche
la piazza e il castillo de río Churubusco,
forse ti eri fermato a pensare
ancora una volta a quei camion-cisterna
parcheggiati lì nei paraggi
e forse avevi anche captato
qualche altro loro segreto
mentre ti gloriavi del carrellino
nuovo di zecca comprato in aeroporto.
La mia testa scapezzata1 già varie volte
era il nuovo tormento del collo,
il beef with pasta il guanto di sfida
alla mia italianità rarefatta
ma ancor più
al mio apparato digerente che
salito sull'arcione, lanciato in tenzone
alla fine non reagì, pigro pigrone.
Non altrettanto sguarnito tu
ti facesti trovare sulla soglia
del buio che tende alla luce,
quella fetta di strada tra i camion-cisterna,
il Pemex e División del Norte ormai.
Era un assalto sventato,
una sigaretta, l'ora ti chiese,
un assalto alla tasca, alla vita,
al cuore, alle ragioni per cui
il cielo è un sussulto blu di Prussia
e l'uomo ne dovrebbe solo godere.
Ma questo non è il nostro scoglio,
non la grotta da raggiungere saltellando
e per cui fremere nei sogni,
non il luogo delle lunghe passeggiate
zigzagando tra vicoli e pensieri,
crocicchi di ricordi e
delicati origami del futuro.
In queste strade
- che non sono quelle -
ed in cui sino al giorno prima
t'accompagnavo, camminiamo
e dubitiamo e rimiriamo
il nostro passo e incediamo
e mettiamo un segnalibro
al capitolo “Passeggiata
religiosa, libera e zelante”
che da qualche anno assieme
leggiamo e rileggiamo.
Esseri controepici
conturbano il cammino,
nessun Ettore né Achille
bensì dei bravi manzoniani:
beni scarseggianti
- i valori e gli schieramenti -
e al servizio di bande
e logiche perverse
per cui assaltare è lavorare
duro e faticoso, degno.
Esseri pusillanimi
e codardi, sottile come
il coltello che probabilmente
brandiscono la loro coscienza.
Questa la forma
dell'epica odierna:
non scudi da non abbandonare
non tenzoni da installare
ma continue incursioni,
alla sprovvista,
continui assalti
per cui il cielo
si fa meno sublime
e più tetto, pannello
di un timore assassino.
E il cielo è meno sogno,
il cammino solo un andare
tra un punto e l'altro della città,
solo un sopravvivere a noi
stessi, al male dell'umanità
il vivere in mezzo a
questa selva di case e strade.
1 Lo impiego con l'accezione regionale di “cascare a più riprese della testa quando si è stanchio nel dormiveglia”, strettamente legato all'uso nel mio contesto d'origine. Lucia Cupertino (Polignano a Mare, 1986). Laureata in Lettere con una tesi sulla linea ligure (Università di Bari) e poi laureata magistrale in Antropologia culturale ed etnologia (Università di Bologna) con un lavoro incentrato sulle fonti del Messico antico. Ha concluso un Master in Storia e antropologia dell'America (Universidad Complutense di Madrid) incrociando gli interessi antropologici e letterari occupandosi della letteratura nahuatl coloniale. Con fondi dell'Università di Bologna ha portato a termine un periodo di ricerca presso le comunità wichì del Chaco argentino e il progetto di tesi all'estero presso l'Unam di Città del Messico. Ha curato l'incontro di espressione scritta e visuale nella sua esposizione fotografica presso la Stanza della poesia (Genova, 2011) e col portfolio online di Fotografia europea 2012 (Reggio Emilia). Scrive testi poetici e, in seguito a viaggi e cambi di rotta della sua vita, anche in spagnolo.
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