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Sagarana SENZA LA FATICA DEL SUONO


Brano tratto da Waveform


Amber DiPietra e Denise Leto


SENZA LA FATICA DEL SUONO



 

[Nota della traduttrice: WAVEFORM documenta una conversazione acquosa, a scatti tra due poete, Denise Leto e Amber DiPietra affette da disabilità. L’idea di sospensione, dell’essere trattenute nel senso di impedimento a procedere o dell’essere racchiuse da un qualcosa di più grande, specialmente un bacino d’acqua fa da perno a un manoscritto che inizia con la difficoltà di alzarsi dal letto la mattina, della gravità, della caviglia, di fare contrarre e rilasciare i muscoli che governano l’eloquio. Riti quotidiani come fare le liste costruiscono la struttura del testo mentre grandi creature marine conducono questo moderno epistolario scambiato per posta elettronica verso una sorta di galleggiamento cronico. L’intero poemetto collaborativo è pubblicato in forma di chap book da Kennings Editions 2011. Una parte di Waveform è stata anche pubblicata in Somatic Engagement, ChainLinks Books, a cura di Petra Kuppers 2011]
 
Più è presente il corpo più sacrificabile il sé.
Ho cercato sospensione sul vocabolario e ho scritto dei versi*. Sono solo versi, non ci sono attaccata.
I versi del corpo. La lista di grafite, il fermarsi incerto del suono. Lupino nella neuro-apocalisse.
Voglio una parola che significhi tutte e tre le cose: sospensione, pausa e galleggiare.
Un’accumulazione, un rilascio.
[…]esausta e ho avuto un bello scatto di nervi alla siciliana oggi sull’autobus quando
una signora mi ha dato un colpetto con le sue unghie tutte appuntite e smaltate intimandomi
di lasciare il posto riservato ai vecchi e i disabili   il suo disagio anch’esso palpabile
 
Zampe, un suono raggrinzito dalle labbra e poi quasi il suono Ohm
che seccatura quella donna
sull’autobus. Che possa
essere colpita dal malocchio!
 
“ E ciò che gli è di conforto guardando le nuvole non è la loro empatia ma la loro indifferenza.”i
 
Non la bocca, o solo le labbra, ma la faccia.
Parlare in versi senza la fatica del suono
A voce bassa, sciolta, parlando del più e del meno.
 
poter interagire con il computer come
una membrana aptica, a vibrazione,
una macchina sospensiva che mi porti le giunture attraverso una serie
di moti passivi
Mentre scrivo – forse sarebbero i miei occhi a digitare, come Hawkings, dalla pupilla al laser alla
tastiera a membrana.
Ma no, neppure gli occhi, se potessi posare gli occhi
mentre scrivo
i nomi delle cose.
Sto cercando di trovare una forma.
 
Questa scrivania è un tumulo di pietre fuori posto. Lo seguo perché c’è e funziona così che le parole non hanno cesure così che io possa arrivare a una destinazione che io e gli altri possano discernere. Il tempo che ci impiega non è una cosa che io sia in grado di quantificare. Il tempo che ci vuole è quello che cerca di fare la meteorologia. Il mio suono non riesce a superare niente in distanza. Le lancette dell’orologio mi fanno incagliare il collo.
L’ergonomia uguale il concetto di corpi ideali in allineamento per produrre.
 
abbiamo unito le nostre perdite
in giorni
alla distonia
intervento all’occhio
passare del tempo in
questa economia
aumenta l’adattamento
radicale
 
In collaborazione con il tempo e la scadenza sono
felice
di lavorare con te
 
Allarme neurale. Sette palloncini scendendo le scale. Nella discesa. Il mio andamento laterale, granchio, anemone marino, gravità. Quell’infausto dispiegarsi del mattino. Il mio corpo un laboratorio. Quando. Tutto ciò che è altra dimensione. Il bambino atterra in acque sempre più grandi.
bacino d’acqua che s’indurisce
uno strappo nella fibra muscolare, una
cristallizzazione di cellule
chiasmo che si fa corpo che non si può muovere
con facilità non si lascia muovere
con facilità,
deve
trattenersi
al suo posto
per impedire che il posto sia classificato
dal territorio non facilmente conquistato.
 
Dove io non posso.
 
Corpo automatico: Sospensione semi attiva comprende dispositivi quali sospensione pneumatica e ammortizzatori scambiabili, diverse soluzioni per auto-equilibrare.
La prostesi all’anca dopo il liceo mi rese sciolta, libera, viva. Ma nondimeno mi sentivo incastrata, braccia storte, collo rigido – un passeggero immobile che assorbe calore in uno stato dalle larghe autostrade degli alligatori, con bracci abbronzati che sporgono dal finestrino del guidatore. Il golfo era il mio mezzo di trasporto, ci entravo e nuotavo, mi giravo nell’acqua verdastra e unta, calda e poco profonda, ideale per nuotatori poco bravi. Ma non c’era l’autobus per andare al mare – e tanto meno per andare a scuola o al lavoro o in libreria o a casa del tuo ragazzo.
 
Dovevo provvedere a trasportare me stessa.
In un aeroplano, a mille metri. Scambiai quella morbida baia acquatica del sud per una città fredda della costa – non per trovarci arte o università o amori ai internet o colline. Ci andai per gli autobus. Bus che mi portavano al lavoro, al supermercato, ai bar e alle librerie, e ancora dal dottore. Percorsi tardi la sera verso altre città rifulgenti avvistate all’uscita dal tunnel sottomarino – ricevo una mail veloce “vieni” e io ci vado. Posso anche trasportarmi al mare. Dove ci sono angoli grigi e aguzzi e quelle acque- mi manca una sintonia di sensi con loro. Mi impaluderei subito, non appena entrata.
 
Questi obiettivi sono in genere discordanti tra di loro, quindi per equilibrare in maniera perfetta le sospensioni bisogna trovare il compromesso giusto.ii
Il fossile più rinsecchito è quello che si trova più lontano dalla propria sponda. Quelli che hanno lasciato la famiglia dall’altra parte. Le ossa si erodono, piano chiusi all’interno in questa strada nebbiosa della costa. Poli-articolata, tutte le cartilagini sviscerate.
La mattina è un rito. La nausea salina in terza rima. Prima che l’onda si infranga. Prima che la donna si alzi. Prima che il bambino atterri. L’accumulazione del rilascio.
Questo verso non è immortale. Dietro ad ogni parola si nasconde un piccolo cervello. Sparirà non appena i muscoli si saranno stirati. Le molteplici riprese delle limitazioni, il condotto che finisce arrestandosi. Ellissi di generosità quando si osserva o si guarda oltre. Nelle rapide, il vortice sonico un rilievo del suono. Il mare racchiude il mio cervello . Nelle sue circonvoluzioni culla lo squalo dal profilo misterioso. Una bizzarra convalescenza del pericolo. Galleggiando così lontano dalla riva, a quella risoluzione, non sono che un puntino. Le divisioni della poetica risultano assurde. Striature acquatiche. Quando il tuo corpo non è quello di uno squalo. Quando è plankton. Le alghe che si arricciano e ti stringono. Quelli che dall’alto potrebbero sembrare sonnolenti arti ondeggianti sono invece nocchi d’albero tutti ingarbugliati. Uno squalo mi tocca la gamba. Con che velocità si allontana! Potrebbe sgozzarmi dal sogno. La dimora della tranquillità potrebbe ucciderti. Non posso più decidere il destino di questo verso.
Squilla il telefono. Lei non risponde. Il tempo indica perché passa. Il ritmo della vita è un fattore. La gente si lascia trasportare alla deriva nell’acqua. Lei cerca di gridare il loro nome. Il suo corpo sonda** il prossimo e il prossimo e il prossimo.
 
 
NOTE:
i Woolf, Virginia, On being Ill, nell’introduzione di Hermione Lee. Ashfield MA: Paris Press; london: The Hogarth Press, p. XXVI. 1930, 2002
 
*L’autrice gioca sull’ambiguità della parola line: in inglese significa sia linea, riga e verso, io ho preferito tradurlo con la parola verso sacrificando però l’immagine della linea.
** La parola “fathom” in inglese significa sia “braccio marino” come unità di misura e anche scandagliare, capire a fondo.
___________________________
 
 
 
 
In lingua originale:
 
Excerpt from Waveform
Amber DiPietra and Denise Leto
 
 
[The entirety of this collaborative poem appears as a chapbook from Kenning Editions, 2011. An excerpt of Waveform was also published in Somatic Engagement, ChainLinks Books, edited by Petra Kuppers, 2011.]
 
 
 
The more present the body, the more expendable a self.
 
I looked up suspension and wrote some lines. They are just lines; I am not attached.
The lines of the body. The graphite listing, uncertain end-stop of sound. Lupine in the neuro-apocalypse.
I want a word that means all three things: suspension, pause, and float.
An accumulation, a letting.
> exhausted and had a good Sicilian fit myself today when a lady on the
> bus poked me with her sharp manicured nail and demanded I get out
> the senior/disabled seating   her discomfort also, palpable
 
Paws, a pucker sound with the lips and then an almost Ohm sound.
 
> What an awful
woman on the bus. Let’s hope she is
>cursed with mal occhio!
 
 
“And what they find comforting about clouds and flowers is not their sympathy but their indifference.
 
 
Not mouth, or lips alone, but a face.
To speak in lines without the exhaustion of sound
quietly, seamlessly, telling you of this or that.
 
>could interact with the computer as
a haptic membrane,
> a suspension machine that takes my joints through passive
range of motion
> as I write—maybe my eyes could type, like Hawkings, pupil to laser to
touchscreen.
> But no, not even my eyes, if I could rest my eyes
while I write
 
The names of things.
 
I am trying to find a form.
 
This desk is a cairn misplaced. I follow it because it is there and the way it works is that words don’t break so I might arrive at a destination that can be discernible to myself and others. The time it takes is not something I can count. The time it takes is what meteorology tries to do. My sound out-runs nothing. The clock-hands strand my neck.
 
Ergonomics equals concept of ideal bodies in alignment to produce.
 
combined our losses
in days
to dystonia
eye surgery
spending time in
this economy
gains in radical
adaptation
 
 
in collaboration with time and deadline I am
> happy
to be working with you
 
Neural alarm. Seven balloons on the step down. On the step down. My sideways stroll, crab, sea anemone, gravity. That ominous unfurl of morning. My body is a lab. When. Everything that is the other dimension. The child lands in even greater water.
body of hardening waters
a tear in the muscle fiber, a
crystallizing of cells
chiasmus comes as body which can’t
move easily, will not allow itself to be
moved easily, must
hold
it
self in place
lest place be subsumed
by ground-not-easily-gained
 
 
Where I can’t.
Auto body: Semi-active suspensions include devices such as air springs and switchable shock absorbers, various self-leveling solutions.
 
Hip replacements after high school had me unhinged, loose, alive. But I was still stuck, crooked arms, rigid neck—a still, heat-absorbing passenger in a state of wide alligator alleys, tanned arms out the driver’s side. The gulf was my transport, going in and over, turning, in oily green water, hot and shallow, ideal for weak swimmers. But there was no bus to the beach—much less school or work or a bookstore or a boyfriend’s house.
 
Carry my self.
 
In a plane, 3,000 feet. Traded that supple aquatic southern bay for a cold coastal city—not for art or grad school or internet dating or hills. For buses. To my job and the grocery store and bars and libraries and still, doctors’ offices. And late night trips into other cities twinkling up out of undersea tunnels—quick emails, come over—I go. Can even take myself to the beach. Where there are sharp grey edges and those waters —I have no sense relation to them. I’d be bracken in an instant upon entering.
 
These goals are generally at odds, so the tuning of suspensions involves finding the right compromise. 
The driest fossil is the fossil far from its own shore. Left family across. Bones erode, slowly, landlocked on this foggy coastal street. Poly-articular, all cartilage eviscerated.
 
Morning is a ritual. Saline nausea in terza rima. Before the wave falls. Before the woman rises. Before the child lands. The accumulation of letting.
 
This line is not immortal. There is a small brain lurking behind each word. It will disappear just as your muscles reach. The many rounds of restriction, the conduit that ends with stop. Ellipse of generosity when looking at or through. In whitewater, sonic whirl a sound relief. The sea comprises my brain. It cradles in convolution, the shark of eerie outline. Bizarre convalescence of danger. Floating so far from shore, at that resolution, I am a dot. The divisions of poetics appear absurd. Aquatic striation. When your body is not a shark. When it is plankton. The kelp curling, tightening. What from above looks like somnolent swaying limbs are raveling gnarls. A shark bumps my leg. How fast it moves away. It could rip my throat out of the dream. The place where quiet resides can kill you. I can no longer decide the fate of this line.
 
The phone rings. She does not answer. Time points because it passes. The pace of life is a factor. People drift in the water. She tries to call out for them. Her body fathoms the next and the next and the next.

 




Amber DiPietra e Denise Leto
Denise Leto è una poeta , scrittrice ed editor all’Università di California Berkeley. Le sue opere di prosa e poesia sono state pubblicate in riviste e antologie quali Beauty is a Verb, Wildhorses on Fire: Other Letters; Drunken Boat; The Wolf Magazine, Aufgabe; 26: A Journal of Poetry and Poetics; The Seneca Review; Xantippe: A Journal of Poetry & Literary Reviews; Unsettling America: An Anthology of Contemporary Multi-Cultural Poetry, Penguin; MELUS: The Journal for the Society of Multi-Ethnic Literature in the US.

Amber DiPietra è poeta e attivista nel settore della disabilità, insegna laboratori di scrittura somatica nella comunità disabile.





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