IL GIORNO DI SAN PATRIZIO NEL DAKOTA Paul Polanski
I primi due pugili dilettanti
stavano sugli sgabelli di metallo
pronti a salire attraverso le corde
quando il presentatore a bordo ring
attaccò il microfono all’amplificatore
e urlò:
“In piedi per favore, e levatevi
il cappello
per l’inno nazionale.”
Trecento uomini e donne
posarono le loro birre verdi
si levarono i cappelli da cowboy
e i berretti da baseball
e si misero la mano destra
sul cuore.
Un enorme lastra di vetro
proteggeva la bandiera della Legione americana
riflettendo la scritta al neon che lampeggiava
dietro al bar, “E’ il momento di una Miller.”
Nel terzo round del quarto incontro
due donne con la coda di cavallo bionda
versarono il primo sangue sul tappeto
quando si ruppero il naso l’un l’altra.
L’evento principale reclamizzava un buttafuori del luogo
con svariate donne nude
tatuate da una spalla all’altra.
Nessuno nel Dakota
si sarebbe mai battuto con lui,
per cui la Legione aveva preso un ragazzino
dalla riserva di Lupo Solitario
per 500 dollari.
Il ragazzo coraggioso tirava destri così veloci
che la folla balzò in piedi,
gridando al peso massimo bianco
di ricordare il Generale Custer
e di vendicare lui
e il suo settimo Cavalleggeri.
Le loro preghiere furono esaudite
quando un gancio destro sotto la cintura
fece piegare in due il pellerossa,
coi guantoni stretti sull’inguine.
Mentre la folla applaudiva
trangugiando birra verde
il medico del ring, un ginecologo,
arrivò in fretta e chiese al ragazzo
dove gli faceva male.
Il Chippewa gridò,
“Mi ha colpito sulla punta
del mio fottuto cazzo.”
Il dottore sollevò la testa
dell’indiano per mostrargli
un cartello sulla parete opposta.
E’ vietato parlare o vestire
in modo osceno
in questo club.
Dopo che una vecchia squaw
coi capelli come crini di cavallo
lunghi fino al sedere
gettò la spugna,
i fan riconoscenti
levarono i boccali vuoti
ancora una volta
alla Vecchia Gloria[1].
[1] Vecchia Gloria: la bandiera Americana
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In lingua originale:
ST. PATRICK’S DAY IN THE DAKOTAS
Paul Polanski
The first two amateur fighters
were standing on metal chairs
ready to climb through the ropes
when the ringside announcer
plugged his mike into the boom box
and bellowed:
“Please stand and remove
all headgear
for the national anthem.”
Three hundred men and women
put down their green beers,
took off cowboy hats
and baseball caps
and placed their right hands
over their hearts.
A huge glass screen
protecting the American Legion flag
reflected the neon sign flashing
behind the bar, “It’s Miller Time.”
In the third round of the fourth fight
two women with blonde ponytails
spilled the first blood on the canvas
when they broke each other’s nose.
The main event featured a local bouncer
with several naked women
tattooed across his shoulders.
No one in the Dakotas
would fight him,
so the Legion had hired a teenager
off the Lone Wolf reservation
for $500.
The young brave threw rights so fast
the crowd jumped to their feet,
shouting for the white heavyweight
to remember General Custer,
and take revenge for him
and his 7th Cavalry.
Their prayers were answered
when a right hook below the belt
dropped the redskin on his stomach,
his gloves clutching his groin.
While the crowd cheered
and guzzled their green beers,
the ring doctor, a gynecologist,
rushed over and asked the boy
where it hurt.
The Chippewa cried,
“He hit me on the end
of my fucking dick.”
The doctor lifted the Indian’s
head to show him
a sign on the far wall.
No Profanity
Spoken or Worn
in this Club.
After an old squaw
with horsetail-like hair
down to her ass
threw in the towel,
the grateful fans
raised their empty mugs
once again
to Old Glory.
(Traduzione di Valentina Confido) Paul Polansky, scrittore e storico, è uno dei più importanti poeti statunitensi “in esilio”, autore di diverse raccolte poetiche e romanzi di forte impegno civile, dedicandosi negli ultimi anni soprattutto alla drammatica situazione dei rom residenti nel Kosovo, vittime di avvelenamento per il piombo rimasto nel sottosuolo dalle guerre precedenti e ignorati anche dalle Nazioni Unite che dovrebbero protteggere la loro incolumità fisica, soprattutto quella dei bambini, le vittime più numerose. Questa poesia, “Il mio lavoro”, è un esempio della produzione poetica fortemente politica e umanitaria di Polansky. Nel 1994 il Comune di Weimar, in Germania, ha concesso a Paul Polansky il prestigioso Human Rights Award, consegnatogli dal Premio Nobel Günther Grass.
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