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Sagarana LA VIA DELLA SETE


Rina Xhihani


LA VIA DELLA SETE



 

Ciò che scrivo
fa fatica ad inserirsi
nel panorama contemporaneo
dicono gli editori
Ma io non so cosa significhi
contemporaneo,
perché il mondo là fuori mi sembra
il solito vecchio mondo,
il solito vecchio mondo rimbecillito
finestre
piccioni
e riflessi che muoiono su se stessi
fermacravatte
sogni parcheggiati
vestiti ammucchiati sulle sedie
parcometri
paure nude
e mani
mani
mani che salutano
si agitano
accarezzano (troppo poco)
si accaniscono sui barattoli dei cosmetici
mani a cui nessuno ha mai mostrato il loro posto
mani che spostano oggetti, testi sacri e destini
polvere sulle mensole
strade, ovunque strade
giorni da dare in pegno
amori derubati
stanze di tutti i colori
blu verdi rosse
blu il mare che hai solo visto da lontano
le vittorie che non hai visto nemmeno da lontano
e sempre le stesse persone giuste
che continuano a strizzare l’occhio
ad altre persone giuste
e la vita che s’impossessa di ciò che credevi tuo
e progetti non tuoi che devi portare avanti
cibi in scatola
scatole cinesi
carestie
palloni colorati
la terra; il tao delle ingiustizie.
Si vive e si muore
sempre per gli stessi motivi
che quasi mai sono quelli giusti;
non so come lo direbbero questo
i miei colleghi contemporanei
ma il concetto è tutto qui.


Ad un certo punto i giovani
smettono di scrivere poesie
I pazzi sono sempre gli stessi
ma mai nessuno s’è abituato a loro
I ragazzi prima muoiono nelle loro stanze
poi mentono agli amici al bar, gridano
e chi lo vuole l’amore, chi ci crede!


La moralità sempre fuori moda
Uomini che fumano sigari da 10$
e fanno pensieri da pochi centesimi
Uomini che rubano il cielo ai ciechi
Dietro le finestre
sempre i soliti invisibili in attesa
Ma certo questo dev’essere
così poco moderno da scrivere
Io so solo che bisogna abituarsi
agli spazi vuoti e al silenzio
se si vuole inseguire la vera bellezza
o sopravvivere
mentre la mattina presto
Paolo parla alla sua fidanzata immaginaria
alla fermata della linea 2
e degli operai insonnoliti
cambiano l’insegna
dell’ennesimo negozio alla moda
chiuso per fallimento


E la sera, conclusa l’ennesima
giornata non-eccezionale,
me ne ritorno a casa infreddolita
Nel mio immaginario
giornalisti
galleristi
e critici d’arte
s’affollano come animaletti coprofagi
Le signore dabbene in stazione centrale
continuano a calpestare i barboni
distratte dai cartelloni pubblicitari
mutande di lusso dal design esotico
49.98$
Mentre dall’alba dei tempi
mille anime dorate
si spengono senza un lamento,
scriva qualcosa di più moderno
incalzano gli editori
ma ho appena bevuto un goccio di vino
comperato al discount
e credo che sonnecchierò
per il resto del viaggio
seduta qui in seconda classe.




Rina Xhihani
Rina Xhihani nasce in Albania in un caldo pomeriggio di luglio del 1986. Della sua infanzia ricorda ciò che si ricorderebbe qualsiasi altro bambino, i prati, il cane, le ginocchia sbucciate, il Natale, i nonni, le merende abbondanti, i continui trasferimenti e gli scatoloni dei libri di famiglia che li seguivano in ogni nuova casa. Si potrebbe scrivere che “già a cinque anni componeva poesie bellissime”, ma questo non se lo ricorda. Ricorda invece che le notti insonni cominciarono quando scoprì Balzac, e non molto tempo fa, guardando I quattrocento colpi di Truffaut, si accorse di non essere stata l’unica ad aver eretto un altarino per onorarlo! All’età di 15 anni pubblica con la casa editrice Egnatia due raccolte di poesie in lingua madre “Animo d’amore” e “Sono” ; piccoli componimenti che parlano alla natura, ai fiori azzurri sul prato di casa, parlano all’umanità – sinceri nelle esagerazioni e nell’amore come solo un bambino saprebbe essere. Il coraggio dei primi versi che è pura incoscienza ma allo stesso tempo pura mancanza di egocentrismo. Il trasferimento in Italia con la propria famiglia non fu affatto un evento spiacevole – forse per colpa dei sogni d’avventura twainiani, o forse grazie ad un piccolo satori vissuto guardando chissà quale orizzonte: I distacchi non sono fisici. Durante gli anni del liceo messa da parte la poesia (almeno per poco) si dedica alla musica e alla scrittura di opere teatrali. Grazie al sostegno del preside della scuola e degli amici fidati, fonda la compagnia teatrale I Sognatori, con la quale debuttano per due anni consecutivi al teatro San Prospero con spettacoli autoprodotti. Consumati gli anni reggiani arriva l’università e Milano. Nuove avventure, nuovi orizzonti, nuove scoperte. La poesia ritorna con prepotenza – e non poteva essere altrimenti. Così nel luglio 2008 esce il volumetto Fotogrammi pubblicato da Aletti Editore Dopo Milano arriva Parigi. E grazie ai continui trasferimenti i suoi versi pare si trasformino, la sensibilità cambia, i gusti letterari si ampliano, l’attenzione si rivolge sempre a nuovi elementi. Con Parigi arriva l’interesse per il cinema orientale, per la cultura gitana, ritorna quello per l’haiku e quello per la tanto amata beat generation. Reggio Emilia invece rimane sempre il porto tranquillo dove mettere in ordine le sensazioni, dove affrontare gli sconvolgimenti, dove far parlare i ricordi, dove condividere le esperienze. In una piccola stanzetta del centro storico sono stati scritti quasi tutti i nuovi componimenti durante gli ultimi cinque anni di “silenzio stampa”. Ogni evento è stato fatto confluire in un verso, in un immagine, in un impressione e tutto questo è stato incluso nella nuova raccolta in via di pubblicazione, intitolata “Questo non è un attentato”




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