SPERANZA Blaga Dimitrova
Abbiamo acquisito esperienza
come l’assenzio in botti piene –
macera fermentato.
Non crediamo all’ovvio.
Non aspettiamo il miracolo.
Non rispondiamo delle nostre parole.
Non ci entusiasmiamo troppo per il futuro.
L’unica nostra speranza:
foriamo le botti,
che sgorghi l’assenzio,
che la terra assorba l’esperienza,
che diventiamo di nuovo bambini. Traduzione dal Bulgaro e nota biografica a cura di Virginia Ghelarducci. Blaga Dimitrova: le declinazioni del sentimento, l’amore del mondo. La poesia della Dimitrova si inscrive tra le pieghe di un vissuto profondo e intenso, di un sentimento che sconvolge e arricchisce, che illude e distrugge, lasciando dietro di sé le macerie di flebili speranze ormai perdute. Ma la voce della sua lirica si farà carico di raccogliere testimonianze, mormorii di un amore svanito, rielaborando il vissuto per restituirlo al mondo. Blaga Dimitrova nasce nel 1922 a Bjala Zlatina, cittadina nel nord - est della Bulgaria, ma cresce nel centro - nord, a Veliko Tarnovo, storica capitale del secondo impero bulgaro. Si sposterà più tardi a Sofia, dove compirà i suoi studi classici per poi successivamente laurearsi in filologia slava nel 1945. Avrà la possibilità di studiare pianoforte con il grande compositore Stojanov, alimentando e affinando ancora di più la sua sensibilità. A partire dal 1938 collabora con le più importanti riviste letterarie del paese, come Izkustvo i kritika (arte e critica) e Literaturen zivot (vita letteraria), iniziando a scrivere e a pubblicare i suoi primi componimenti. Nel 1951, dopo un periodo di studio all’istituto di letteratura Maksim Gor’kij di Mosca, discute la sua tesi di ricerca dal titolo ‘Majakovskij e la poesia bulgara contemporanea’. Fino al 1958 sarà redattrice della rivista Septemvri (Settembre) e, sempre come redattrice, lavorerà per due importanti case editrici come Balgarski pisatel (Scrittore bulgaro) e Narodna kultura (Cultura nazionale). Ed è proprio alla fine degli anni Cinquanta che si consacra al grande pubblico, grazie all’uscita del testo poetico, Do utre (A domani). Durante gli anni Sessanta, il successo si consolida in seguito ad altri volumi di liriche e al primo romanzo, dedicato alla scoperta di sé e presentato nel 1965, Patuvane kam sebe si (Viaggio verso se stessa). Nonostante le maglie della censura e del controllo politico, la Dimitrova continua la sua attività di poetessa, scrittrice e donna impegnata sul fronte sociale e della difesa dei diritti umani, senza mai indietreggiare né rinunciare alle sue idee e ai suoi valori. Non si sottrae alla dimensione pubblica, ma vi partecipa direttamente, apportando il suo contributo. Si recherà in Vietnam durante la guerra, documentando l’orrore della tragedia e la brutalità della violenza in Podzemno nebe. Vietnamski dnevnik (Cielo sotterraneo. Diario vietnamita). Ma il suo intervento non si limiterà solo alla redazione delle cronache del conflitto. In un luogo dove la vita è stata così barbaramente strappata dalla terra che l’ha generata, in un’ esperienza di morte, desolazione e annullamento, che sembra solo violare e distruggere, la poetessa bulgara darà un segnale di speranza, adottando una bambina di quattro anni. Straordinaria figura di studiosa e letterata, premiata traduttrice, soprattutto dal russo e dal polacco, ma anche dal latino e dal greco, Blaga Dimitrova emerge come un’intellettuale libera e consapevole, capace di vivere la dimensione pubblica e prestare la sua voce al mondo. Nel 1981 esce Lice (Volto), romanzo che documenta la sua attenzione per la politica contemporanea e la disillusione nei confronti del socialismo reale e che sarà poi ritirato fino al 1990, anno in cui è stato ripubblicato. Il pluriennale impegno politico è premiato con la vicepresidenza del governo bulgaro, carica che la Dimitrova ricoprirà dal 1992 al 1993. Nel 1997 viene pubblicata la sua opera completa in versi, sotto la guida e la supervisione del marito, il critico e politico democratico Jordan Vasilev. La poetessa si spenge a Sofia nel 2003, in seguito ad una grave malattia. Il nome della Dimitrova è legato soprattutto alla dimensione poetica, intima e discreta, in cui convivono le emozioni contrastanti del sentimento. Protagonista indiscusso della sua lirica è infatti l’amore, un amore agognato, doloroso, sofferto, incompreso, spesso offeso o non corrisposto, ma sempre difeso con orgoglio, slancio ed autenticità. La Dimitrova scrive, prende posizione, indaga e seziona lucidamente ogni più piccolo brandello di dolore, di inquietudine, di illusione, trasformando errori e ferite della solitudine in percorsi di vita. Le note del suo pianoforte sembrano accompagnare l’amarezza e la delusione di fronte a vecchie speranze disattese, a illusioni credute salde realtà, a parole troppo dure per essere dimenticate. Gli accordi sono sempre gli stessi, le dita si muovono ormai sicure sulla tastiera di un altro fallimento, di un altro disappunto, di un altro vuoto e illimitato silenzio. Eppure la straordinaria e lucida forza del sentimento le consente di modificare quel vecchio spartito suonato già troppe volte per esprimere opprimenti ricordi, che ancora segnano e lasciano tracce profonde. Si affacciano dunque nuove e timide speranze, prospettive di un affetto sincero e di una felicità autentica, accolte e celebrate con determinazione e fiducia. La Dimitrova descrive le stagioni dei sentimenti, il bisogno di sentirsi amati, lo slancio e l’entusiasmo di un riconoscimento, il dolore e lo smarrimento dell’attesa, dell’abbandono e del rifiuto, affrontandole senza infingimenti né retorica, senza omettere né occultare le sue fragilità, volgendo la sua attenzione al confine tra l’io e il noi. Il tempo della coscienza, fluido, mutevole, incostante e pericoloso, perché sempre pronto a ripresentarsi, a riemergere e a far rivivere i suoi fantasmi, si lega alla dimensione del ricordo, creando e incrociando percorsi frammentari e discontinui: l’eterna ricerca di un sorriso, di un nome caro, caldo e familiare che dissipi parole fredde e ostili e il triste, gelido buio della notte. La poetessa bulgara non indietreggia di fronte al passato: ne ripercorre i sentieri, le tortuose curve fino al capolinea, per ritrovare se stessa, sempre alla ricerca di quelle risposte che sembrano mancare o non essere mai sufficienti. Interroga la parola, la contagia dei suoi affetti, ma da lei non si aspetta una soluzione, una definizione che plachi il dolore. La carta ascolta, raccoglie la sua confessione e la custodisce, rendendola al tempo stesso testimonianza disponibile per il mondo. Non esiste nella sua poesia una zona grigia dove languono confusi i ricordi, così come non esiste un compromesso nei sentimenti. Perché non si può dimenticare. Non può più esservi affetto né comprensione quando le promesse sono infrante: dalle ceneri di un amore passato non può sorgere che estraneità e indifferenza, laddove prima erano prossimità e calore. Ogni pagina restituisce voce a tutte le assenze che popolano e feriscono i suoi incontri, espressi con un verso duro e impietoso, amaro ma sempre autentico. E attraverso quella stessa parola, spesso ingrata e spietata, che può umiliare e sconvolgere, la Dimitrova ricostruisce nel testo poetico il tessuto lacerato e slabbrato dell’esperienza di vita. Anzi proprio le parole degli altri, quelle che distruggono il cammino percorso insieme, che suscitano rabbia, sconcerto e cieca disperazione, sono da lei dolorosamente riannodate e dotate di un senso nuovo, che non è più solo quello negativo della fine di un amore, ma anche di un ultimo riscatto, di una volontà di testimoniare che si può ancora amare e scrivere, che c’è ancora un interlocutore, un destinatario della parola. La sua è la lirica di un presente fortemente segnato dal passato, in cui ciò che è stato e non è più rivive solo per un istante, in una scheggia di vita, in un’immagine, seppur permeando ancora di sé fortemente il testo poetico. È una scrittura del sé quella di Blaga, quasi un esercizio necessario e spesso tormentoso, che si dipana in un vortice di frasi amare che si susseguono nella squallida logica dell’abbandono senza appello, feroce e inesorabile. Eppure la sua delicata dimensione interiore, seppur irrisa e umiliata, continua a nutrirsi della relazione con l’altro e col mondo, decisa a non arrestarsi di fronte alle sconfitte. Anche quando sembra ormai risolta, nella straordinaria Bez liubov, a vivere senza amore, compiendo la massima rinuncia, ella sa che ciò comporterà un totale inaridimento interiore e un annichilimento del sentimento così potente che non potrà rinunciarvi senza perdere tutto. Perché l’amore celebrato dalla Dimitrova non è solo quello rivolto alla persona amata, ma è anche e soprattutto amore per la natura e per l’umanità. Ed è per questo che l’allontanamento della persona amata è così dolorosa, perché rappresenta la perdita definitiva di una parte di sé, di una parte di mondo. Non un amore esclusivo ma al contrario un sentimento inclusivo e totalizzante che partecipi dell’altro senza perdere se stesso, senza dimenticare la vita né ciò che la anima. Nonostante le delusioni, le incomprensioni e le ferite, una pagina dopo l’altra si configura l’impressione di una rivincita, di una nuova consapevolezza che non si fa mai rinuncia. La delicatezza del sentimento, la forza e l’incisività dell’espressione, il coraggio di amare e di scrivere nonostante tutto, lo sguardo sincero e deciso, la volontà di aprirsi al mondo, l’attesa di un cambiamento positivo attraverso le emozioni umane, illuminano la poetica della Dimitrova, che, fedele a se stessa, ci rende partecipi della sua personale battaglia e della sua vittoria. Una vittoria che passa dallo sguardo dell’altro, dall’amore per il mondo, dalla speranza che nasce dalla terra.
|