L’INCONTRO SEGRETO ALL’HOTEL ASIA Brano tratto dal romanzo Neve Orhan Pamuk
(…) In quel momento qualcuno chiese chi fosse il signor Hans Hansen. Contrariamente a quanto temeva Kadife, Blu questa volta, con modi assai gentili, disse che era un giornalista tedesco di buon cuore che s’interessava sinceramente dei “problemi” della Turchia.
- È proprio questo buon cuore dei tedeschi che devi temere! – disse uno da dietro.
Un uomo dalla giacca nera piantato vicino alla finestra chiese se oltre a questa dichiarazione sarebbero stati pubblicati anche interventi personali. Kadife disse che era possibile.
- Amici, non aspettiamo come bambini timidi delle elementari a prendere la parola, - disse uno.
- Andavo al liceo, – iniziò a parlare l’altro giovane curdo, membro di un’associazione – Ave-vo già pensato a quanto dirò adesso.
- Avevi pensato di fare una dichiarazione, un giorno, a un quotidiano tedesco?
- Sì, proprio così, - disse il giovane, con voce armoniosa e modi appassionati. – Anch’io ave-vo pensato in segreto, come tutti voi, che un giorno avrei avuto un’occasione del genere e avrei espresso la mia opinione a tutto il mondo.
- Io non penso mai a queste cose …
- Quello che dirò è molto semplice, - disse il giovane appassionato. – Che scriva questo il giornale di Francoforte: noi non siamo stupidi! Siamo solo poveri! È nostro diritto chiedere che si faccia questa distinzione.
- Certamente .
- Chi sono questi che chiami noi, scusa? – chiesero da dietro. – Sono turchi, curdi, azeri, circassi, abitanti di Kars? Chi?
- Perché l’errore più grande dell’uomo, - continuò il giovane appassionato, - l’inganno più grande che mai sia stato fatto è proprio questo: si è sempre confuso l’essere poveri con l’essere stupidi.
- Che cosa significa essere stupidi, spiegaci anche questo.
- A dire il vero, ci sono sempre stati, nella gloriosa storia dell’umanità, uomini religiosi e persone oneste che, accorgendosi di questa vergognosa confusione mentale, hanno detto che anche i poveri hanno una cultura, una fratellanza, un’intelligenza, e un cuore. Il signor Hans Hansen, vedendo un povero, proverebbe pena nei suoi confronti. Forse non penserebbe subito che quel povero sia uno stupido che ha bruciato inutilmente le sue occasioni, un ubriaco incerto.
- Non so cosa penserebbe Hans Hansen, ma ormai tutti pensano così appena vedono un povero.
- Per favore, ascoltatemi, - disse il giovane curdo appassionato. – Dirò solo poche parole. Forse si ha pena dei poveri quando sono considerati individualmente, ma se è povero un intero popolo, tutto il mondo pensa subito che quel popolo sia stupido, senza cervello, pigro, sporco e incapace. Invece di averne pena, si ride di loro. Si considerano ridicole la loro cultura, le loro usanze e le loro abitudini. Poi, a volte si vergognano per questi loro pensieri e smettono di ridere, facendo anche finta di trovare interessante la loro cultura, anzi di trovarli uguali a loro stessi, perché gli immigrati di quel paese che spazzano per terra e fanno i lavori più schifosi non si ribellino.
- Dicci di quale popolo stai parlando.
- E voglio anch’io aggiungere una cosa – L’altro giovane curdo si inserì nel discorso – L’uomo, purtroppo, non riesce più neanche a ridere di coloro che si uccidono, si ammazzano e si torturano a vicenda. L’ho capito da quello che mi ha raccontato mio zio che vive in Germania, quando l’estate scorsa è venuto a Kars. Ormai il mondo non sopporta più i popoli crudeli.
- Cioè ci minacciate a nome degli occidentali?
- Così, - continuò il discorso il giovane curdo appassionato, - un occidentale, quando incontra uno che viene da una nazione povera, subito prova istintivamente disprezzo nei suoi confronti. Pensa che sia in queste condizioni perché appartiene a un popolo stupido. L’occidentale pensa che abbia molto probabilmente la testa piena delle stesse assurdità e sciocchezze che hanno reso il suo popolo povero e bisognoso.
- Non avrebbe neanche tutti i torti …
- Anche tu forse ci trovi stupidi come dice apertamente quello scrittore arrogante. Almeno quell’ateo senza Dio, prima di morire e di andare all’inferno, aveva potuto dire coraggiosamente in diretta alla televisione che trovava stupido tutto il popolo turco, e ci guardava negli occhi.
- Scusa, ma chi è che in un programma in diretta può vedere gli occhi di coloro che lo guardano?
- Il signore non ha detto “ha visto”, ha detto “guardava”, - disse Kadife.
- Per favore, amici, non discutiamo come se fossimo in un’assemblea, - disse il militante di sinistra che intanto prendeva appunti. – E poi parliamo a bassa voce.
- Se non ha il coraggio di dire di che popolo sta parlando, io non starò zitto. Dobbiamo sapere che rilasciare una dichiarazione che ci denigra a un giornale tedesco è un tradimento verso la nostra patria.
- Non sono un traditore della patria. Anch’io sono del suo stesso parere, - disse il giovane curdo appassionato alzandosi in piedi. – Perciò voglio che venga scritto che, se un giorno si presenterà l’occasione, anche se mi daranno il visto, non andrò in Germania.
- Nessuno dà il visto per l’Europa a uno sfaccendato come te.
- Prima del visto, lo Stato non gli darebbe neanche il passaporto.
- Sì, non me lo darebbero, - disse modestamente il giovane appassionato. – E anche se me lo dessero e ci andassi e il primo uomo che incontro per strada fosse gentile non mi disprezzasse, comunque io penserei che quest’uomo, solo perché è occidentale, mi disprezzi e allora mi inquieterei. Perché dicono che in Germania coloro che arrivano dalla Turchia si riconoscono subito … Allora l’unica cosa da fare per non essere disprezzato è dimostrargli subito che la pensi come loro. E questa è una cosa impossibile e disonorevole.
- Figliolo, il tuo discorso all’inizio era brutto, ma la sua conclusione mi piace molto, - disse il vecchio giornalista azero. – Tuttavia, non lo faremo pubblicare sul giornale tedesco, ci prenderebbero in giro … - Per un attimo tacque, poi chiese con furbizia: - Il popolo di cui parli, qual è?
- Quando il giovane si sedette senza rispondere, il figlio dell’anziano giornalista seduto accanto al padre disse: - Hai paura!
“Ha ragione ad aver paura”, e “Lui non lavora come voi per conto dello Stato”, gli risposero, ma né l’anziano giornalista né suo figlio si risentirono. Il fatto di parlare tutti insieme, gli scherzi e le burle avevano unito le persone nella stanza, in un’atmosfera di gioco e divertimento. Ka, che avrebbe appreso dopo da Fazil quanto era successo, aveva scritto sul suo quaderno che riunioni del genere potevano durare ore e ore, e per questo l’unica condizione era che la folla di uomini baffuti, fumatori dal volto corrucciato, doveva divertirsi senza accorgersene.
- Noi non possiamo essere europei! – disse un altro giovane integralista con aria orgogliosa. – Coloro che ci costringono a entrare nel loro stesso stampo, forse alla fine riescono a farlo con i carri armati e i fucili. Ma non potranno mai cambiare la nostra anima.
- Potete appropriarvi del mio corpo, ma mai della mia anima, - scherzò uno dei giovani curdi, con una voce uscita dai film turchi.
Tutti risero. Anche il giovane che aveva preso la parola partecipò alle risate, dimostrando uno spirito tollerante.
- Anch’io voglio dire una cosa, - si lanciò uno dei giovani seduti vicino a Blu. – Nonostante i nostri amici non abbiano parlato come i disonesti imitatori dell’Occidente, qui c’è comunque un’atmosfera di scuse e di perdono per non essere europei. – Si girò verso l’uomo con la giacca di pelle che prendeva appunti. – Per favore, non scriva quello che ho detto, - disse con un’aria un po’ da spaccone. – Adesso scriva: io sono orgoglioso del mio lato non-europeo. Sono orgoglioso di tutto ciò che in me l’europeo trova d’infantile, di crudele e di primitivo. Se loro sono belli, io sarò brutto; se loro sono intelligenti, io sarò stupido; se loro sono moderni, io rimarrò innocente.
Nessuno approvò queste parole. Si rise un po’ perché si rispondeva a tutto ciò che veniva detto nella stanza con scherzi e battute. E uno disse: - Tanto sei stupido! – Ma proprio in quel momento il più vecchio dei due uomini di sinistra, quello con la giacca nera, ebbe un forte accesso di tosse e non si capì chi lo avesse detto. (…) Brano tratto dal romanzo Neve, titolo originario Kar. Traduzione Marta Bertolini e Semsa Gezgin. Giulio Einaudi, Torino, 2004. Orhan Pamuk è Premio Nobel per la Letteratura del 2006.
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