Z IN SPAMPATELLO Brano del romanzo La vendetta del traduttore Brice Matthieussent
* Dopo gli aggettivi, gli avverbi e le indicazioni sceniche, ho deciso di sopprimere d'ora in poi tutte le similitudini e le metafore. Spesso trite, quando non decisamente bislacche o incomprensibili, servono solo a intralciare la lettura. Dopo quest'ultima ablazione, il mio testo (o meglio, il suo riveduto e corretto a mia cura: dunque, il nostro) acquista ancora in termini di limpidezza, potenza, semplicità. Perché mai rendere in francese questa prosa così costipata, quando c'è modo di andare dritti alla meta? Ecco la lista di queste fioriture insipide, esilaranti o astruse, comunque immancabilmente superflue:
il suo pugno di ferro e il suo sguardo d'acciaio (sic), il manto della notte, il canto delle sirene (2 volte), una voce di velluto blu (?), con dei languori da gatta (puf), forte come un turco del Bosforo (!), il cavallo di Troia della sua seduzione (a proposito di Doris), l'astro della notte, come un'orda di cavalli bradi, «i greci entrarono a Ilio, rovesciarono il trono e presero il potere» (frase depennata), questa bestia stremata e riluttante (la speranza), come Barbablù che uccide una dopo l'altra le sue mogli indiscrete che si avventurano oltre la porta proibita per soddisfare la propria colpevole curiosità; testardo come un asino rosso (?); satinata (la pelle); il muscolo dell'anima (l'immaginazione); l'inferno del gioco; repentinamente come una goccia di rugiada che scivola su una foglia di lillà e cade prima che la foglia, tutt'a un tratto alleggerita, si rialzi (?); come un petalo opalescente di rosa rossa (l'orecchio); l'aspro pungiglione della ritorsione; vecchio come la polvere dei sentieri; si buttò su di lei come la povertà sul mondo; «due meno dieci: baffi lustri dalle punte ribelli» (un po' tirato per i capelli, direi). Infine, questa perla doppiamente circolare, che espungo con un vendicatore tratto di matita a forma di Z in stampatello: «Il sole brillava come l'occhio sinistro di un'intrigante parigina che sbircia nei giardini di Palais-Royal attraverso il sottile spiraglio delle tende scostate e sbiadite dal sole.»
In seguito, dopo una sofferta riflessione e per ragioni di stringatezza, ho deciso di eliminare dal testo definitivo della mia traduzione questa lunga e peraltro molto bella digressione in cui l'autore descrive il lavoro di David Grey:
«Ecco dunque il traduttore David Grey a confronto con il testo originale di (N.d.T.). Sonda il terreno, fa qualche prelievo, segue le curve di livello, rintraccia la linea di maggior pendenza, effettua delle perforazioni, dei carotaggi, dei rilevamenti e dei tracciati, procede alla ricerca delle formazioni geologiche sepolte, di un buon angolo d'attacco e di "piazzamento" adeguato, come si dice in alcuni sport. Per lui il testo è un sito minerario da sfruttare, da depredare sistematicamente; gli tocca dunque fare il lavoro sporco, disboscare le foreste fossili della pagina stampata, queste righe accumulatesi come altrettanti strati geologici, aprire delle gallerie, montare dei pozzi minerari, fare avanzare il fronte della miniera, abbattere pareti di parole, di frasi, di paragrafi, per accorgersi talvolta che il cuore del giacimento si trova altrove, più in alto, più in basso, più lontano. Talvolta, una galleria intera crolla, costringendolo a far macchina indietro, a cercare delle nuove tracce, a esplorare nuovi tunnel, inedite vie d'accesso, a modificare la strumentazione, il punto di vista, l'angolo d'attacco, i puntelli e persino le tecniche di sfruttamento.
«Talvolta, imprevedibili e devastanti esplosioni di grisù fanno brillare interi dialoghi, incrinano o fracassano le voci fuori posto, annientano amori e amicizie, distruggono in un lampo la lenta elaborazione di un accento, di un respiro, di comuni vizi lessicali. Improvvisamente, questa voce suona falsa, il personaggio vuoto; attenzione, sta per implodere. Bisogna dunque ricuperare tutto, senza la speranza di un minimo rammendo. Il traduttore deve demolire in toto l'edificio di questa voce improvvisamente spazzata via, condannata a un mutismo definitivo. Ricreandola con altri mezzi, si renderà senza dubbio conto sulla scia di questa che altre voci, per non dire tutte, sono da rifare: un'esplosione di grisù ne tira spesso altre, quasi subito, a catena, o a scoppio ritardato.»
Per compensare la sparizione di tutti quegli aggettivi, avverbi, indicazioni sceniche, similitudini e metafore, interi passi, e per insistere su ciò che aumenta costantemente — per esempio il numero delle mie righe a piè d'ogni pagina —, aggiungo al testo del mio autore americano le seguenti immagini, giacché con il mio lavoro testardo e subliminale**, queste righe, le mie immagini e la mia presenza crescono come «sulla meridiana l'ombra del meriggio perché si paghi all'operaio il servigio col fuoco, il niente, il metro campione (Kristeva, Roussel) dopo il guado s'allunga il pantalone stivale rabberciato col tacco aumentato se si toglie il coperchio, la pila del baciapile
bastone a punta seminuda, irritata dalla litigata s'è accomodato un pianista attempato, sede a vista il nuovo calendario invece di quello prima in lista il soufflé fuori dal forno dalla schiarita, la vela a riso la tavola prima di una cena di gala, disarrondata la fiamma in punta allo zolfanello
in giardino i piedi di cipollello quando la pressione cede, c'è l'elastico semolato quando il letto spiazza la culla, c'è il piumone spianato.» (Notula rousseliana).
** Non ce l'ho fatta a scrivere sublime! Brano tratto dal romanzo La vendetta del traduttore, Marsilio edizioni, Venezia, 2012. Traduzione di Elena Loewenthal. Brice Matthieussent, nato a Marsiglia nel 1950, č un affermato e pluripremiato traduttore dall’inglese – da Jack Kerouac a Joyce Carol Oates, da Paul Bowles a Charles Bukowski passando per Bret Easton Ellis – e dirige la collana Fictives per le Editions Christian Bourgois. Questo brano č tratto dal suo primo romanzo.
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