L'ESTASI DELLA TRASFORMAZIONE Julio Monteiro Martins
Circa un anno fa ho scritto un editoriale per la rivista Sagarana, “La raccolta della luce”, nel quale esprimevo la convinzione che il marasma e l'immobilità nel paese erano solo apparenti, che trasformazioni radicali erano già in corso nella società italiana, ma ancora in modo sotterraneo e impercettibile. I fatti degli ultimi mesi hanno confermato quella mia percezione, e ora vedo i cambiamenti prendere impulso, velocizzarsi. Quello che fino a poco fa era soltanto un sentimento diffuso adesso si sta rapidamente materializzando attraverso l'evidente scioglimento delle vecchie strutture – e qui non posso non ricordare Marx quando scriveva che “tutto che è solido si scioglie nell'aria”. Per il momento è più nitida la decomposizione che l'affiorare di nuove strutture, che però, fra poco, arriveranno con il loro bagaglio di cambiamenti. La vita di una società non tollera il vuoto e sempre mobilita le sue energie creative per riempirlo. Per questo motivo i periodi di accelerazione storica sono decisivi ma anche pericolosi. Se posso fare una metafora, ci stiamo avvicinando a una sorta di “parto della storia”, e chi ha già visto un parto reale sa come può sembrare drammatico, straziante, a volte brutale. È la vita che esplode nel mondo, in mezzo al disfacimento della materia putrefatta, dirompente nel suo destino di affermarsi in modo inequivocabile al di sopra della morte.
Come deve comportarsi la letteratura in una fase così, nel suo duplice ruolo di osservatrice e di partecipante? Cosa può fare uno scrittore quando è solo in mezzo a una tale tempesta? Cosa ci si aspetta da lui? Resistenza o creatività? Fermezza o spericolatezza? Scudo o spada?
Una cosa è certa, quando la storia galoppa la nostra mente deve rendersi particolarmente attenta, intuitiva, acuta, per seguirne il suo percorso e per capire i più sottili segni esterni di cambiamento, le tendenze che essi preannunciano, saper interpretarli, leggere correttamente i suoi messaggi ambigui. E spesso non è la fredda ragione lo strumento più adeguato per farlo. In questi periodi giova di più lo sviluppo di una poetica intuitiva piuttosto che quello di una logica razionale, anche perché prima di materializzarsi come fatto storico il nuovo si presenta simbolicamente, subdolamente, come metafora.
D'altra parte, la difficoltà più grande sarà quella di resistere alle pur sempre presenti tentazioni conservatrici, la paura che i cambiamenti spazzino via la nostra identità insieme a tutto il resto, lo spavento di precipitare nel vuoto, nel crollo delle nostre certezze. Il concetto di “conservazione” non riguarda necessariamente conservare lo status quo, per quasi tutti noi deprimente e fallimentare. Ma piuttosto si tratta di non voler rinunciare a certe forme ipotizzate di realizzazione del desiderio, intorno alle quali si è da molto tempo sedimentato il nostro immaginario, e che d'ora in poi, chiaramente, non potranno più essere contemplate nel nuovo scenario, almeno non in quelle modalità a noi care.
Parlando concretamente, prendendo come esempio la figura dello scrittore nell'Italia di oggi, è probabile che questo “mondo nuovo” richieda forme più collettive e più anonime di partecipazione, rinunciando in parte alla visibilità individuale che soddisfa le esigenze dell'ego. Oppure che cancelli l'ormai improbabile pubblicazione cartacea di un romanzo, con tanto di casa editrice e nome e cognome stampato sulla copertina, in favore della diffusione di testi – magari racconti brevi o brevissimi – scambiati direttamente in Rete o inseriti all'interno di E-book collettivi. L'uso intelligente di Internet è parte fondamentale dell'esistere stesso nella nuova realtà, nella letteratura come nella politica: l'esistenza virtuale come complemento efficace della presenza fisica, come una sorta di appendice multiforme e infinita dell'identità reale. Oppure, infine, che promuova la scomparsa di parte dell'aura nel processo di mitizzazione dell'artista, di quella particolare forma di prestigio sociale che circonda l'attività creativa sin dal Romanticismo, per dare luogo a un personaggio più “normale”, dedito a un'attività importante come tante altre e non il titolare di un privilegio sociale, anche perché è già da alcuni decenni che la creazione artistica è diventata sempre più estesa e democratica, e si può asserire senza timore di sbagliarsi che ormai le persone che scrivono sono tante quanto quelle che leggono (senza parlare ovviamente di quelle, ahimè, che scrivono senza quasi mai leggere).
La resistenza psicologica a queste probabili rinunce, ciò che ho chiamato “la tentazione conservatrice”, è una reazione normale e comprensibile. Ma se non la si supera, se non si sviluppa una consapevolezza dei meccanismi, diciamo, preventivamente nostalgici, si corre il rischio dell'immobilismo, di restare bloccato in una terra di nessuno, tra un mondo che è già irrimediabilmente scomparso, inghiottito dal nuovo secolo, e un altro che ci si ostina a rifiutare, a rimuovere dall’orizzonte delle possibilità, e che quindi, di conseguenza, è reso inaccessibile da noi stessi a causa delle nostre inibizioni psicologiche e intellettuali.
La grande sfida di questi tempi – che è al contempo scudo e spada dell'identità – è trovare il coraggio di riscrivere il proprio personaggio, per innamorarsi del futuro e con esso stabilire un dialogo fertile, per proteggere i propri princìpi non tramite il congelamento delle loro manifestazioni, bensì attraverso il loro continuo ed entusiasmante aggiornamento, la loro adesione alle nuove forme e ai nuovi linguaggi, ovvero alla poetica del tempo inedito e dei suoi indeclinabili inviti. Julio Monteiro Martins
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