IL POETA E IL MONDO Brano del discorso tenuto in occasione della cerimonia di conferimento del premio Nobel, 7 dicembre 1996 Wisława Szymborska
(…) Diversi anni fa, ebbi l’onore e il piacere di incontrare Brodskij di persona. In quell’occasione notai che, fra tutti i poeti che ho conosciuto, era l’unico che amava definirsi tale. Pronunciava la parola“poeta senza inibizioni. Al contrario, la diceva con provocatoria libertà. Penso che questo fosse frutto delle brutali umiliazioni che aveva subito in gioventù.
In Paesi più fortunati, dove la dignità umana non subisce assalti così frontali, i poeti desiderano, come è ovvio, essere pubblicati, letti e capiti, ma fanno poco - o niente del tutto - per ergersi al di sopra della gente comune e del travaglio quotidiano. Eppure non è passato molto tempo - parliamo dei primi decenni di questo secolo - da quando i poeti si sforzavano di sconvolgerci con i loro abiti stravaganti e i comportamenti eccentrici. Ma tutto questo era solo in funzione dell’esibizione pubblica. È sempre arrivato il momento in cui i poeti si sono dovuti chiudere la porta alle spalle, togliersi di dosso i fronzoli, gli orpelli e ogni altro oggetto di scena per confrontarsi - in silenzio e in paziente attesa della propria anima - con il foglio di carta eternamente bianco. Perché questo, alla fine dei giochi, è ciò che conta.
Non è un caso che venga prodotto un gran numero di biografie cinematografiche di grandi scienziati e artisti. I registi più ambiziosi cercano di riprodurre in maniera convincente il processo creativo che ha portato a importanti scoperte scientifiche o alla nascita di un capolavoro. Ed è possibile descrivere alcuni tipi di attività scientifiche con un certo successo. I laboratori, gli strumenti più svariati e gli elaborati macchinari prendono vita: tutte scene in grado di catturare abbastanza a lungo l’interesse del pubblico. E i momenti di incertezza - l’esperimento, ripetuto migliaia di volte con modifiche minime, porterà al risultato desiderato? - possono essere piuttosto avvincenti. I film sui pittori riescono a essere spettacolari nel loro ricreare ogni fase dell’evoluzione di un dipinto famoso, dal primo tratto a matita alla pennellata finale. Nei film sui compositori, la musica aumenta gradualmente di volume: le prime battute della melodia che risuona nelle orecchie del compositore finiscono per emergere nella forma sinfonica dell’opera compiuta. Certo, tutto questo è piuttosto ingenuo e non spiega lo strano stato mentale universalmente noto come ispirazione, ma se non altro
c’è qualcosa da guardare e da ascoltare. Ma i poeti sono i peggiori. Il loro lavoro è disperatamente
poco fotogenico. Un individuo siede alla scrivania o giace su un divano e fissa immobile una parete o il soffitto. Di tanto in tanto, questa persona butta giù sette righe, per poi cancellarne una quindici minuti più tardi, poi passa un’altra ora, durante la quale non accade nulla… Chi avrebbe la pazienza di guardare uno spettacolo del genere?
Ho menzionato l’ispirazione. Quando viene chiesto loro cosa sia e se esista davvero, i poeti contemporanei rispondono evasivi. E non perché non abbiano mai avuto la grazia di questo impulso interiore. Solo, non è facile spiegare a qualcun altro ciò che tu stesso non
capisci.
Quando mi viene posta questa domanda, anche io esito. Ma la mia risposta è: l’ispirazione non è privilegio esclusivo di poeti o artisti in generale. C’è, c’è stata e sempre ci sarà una serie di persone che riceve la sua visita. Di questo gruppo di individui fanno parte quanti hanno consapevolmente scelto la propria vocazione e svolgono il proprio lavoro con amore e immaginazione. Può trattarsi di medici, insegnanti, giardinieri - e potrei andare avanti a elencare migliaia di altre professioni. Il lavoro di queste persone diventa un’avventura continua, nella misura in cui riescono a trovarvi sempre nuove sfide. Le difficoltà e le battute d’arresto non soffocano la loro curiosità, e da ogni problema che risolvono scaturisce un nugolo di nuove domande. Qualunque cosa sia l’ispirazione, nasce da un continuo “Non lo so”.
Non ci sono molte persone così. La maggior parte degli abitanti della Terra lavora per tirare avanti. La gente lavora perché deve; non sceglie questo o quell’impiego per passione, le circostanze della vita scelgono per loro. Un lavoro privo d’amore, un lavoro noioso, un lavoro stimato solo perché gli altri non hanno nemmeno quello, per quanto privo d’amore e noioso: ecco una delle peggiori miserie umane. E, per come vanno le cose, non ci sono segnali che indichino che i prossimi
secoli produrranno qualche cambiamento.
Quindi, per quanto io possa negare il monopolio dei poeti sull’ispirazione, continuo a considerarli un selezionato gruppo di beniamini della Fortuna.
A questo punto immagino che il mio pubblico cominci a nutrire qualche dubbio. Persino i peggiori
torturatori, dittatori, fanatici e demagoghi in cerca di potere a suon di slogan sbraitati a gran voce amano ciò che fanno, e anche loro adempiono i loro doveri con creativo fervore. Be’, sì, ma loro “sanno”. Sanno, e qualunque cosa sappiano gli basta una volta e per sempre. Non sono interessati a scoprire nient’altro, perché il nuovo potrebbe togliere forza alle loro argomentazioni.
E la conoscenza che non porta a nuove domande è destinata a svanire in fretta, giacché non riesce a mantenere la temperatura necessaria a sostenere la vita. Nei casi più estremi, casi ben noti della
storia antica e moderna, costituisce persino una minaccia letale per la società.
Ecco perché do tanto valore a questa piccola frase: “Non lo so”. È solo una frasetta, ma vola su ali possenti.
Espande le nostre vite, abbracciando gli spazi dentro di noi e le distese esteriori in cui il nostro piccolo pianeta fluttua sospeso. Se Isaac Newton non si fosse mai detto “Non lo so”, le mele del suo frutteto sarebbero cadute a terra come chicchi di grandine e, nel migliore dei casi, lui si sarebbe fermato a raccoglierle e a mangiarle con gusto. Se la mia compatriota Marie Skłodowska-Curie non si fosse mai detta “Non lo so”, sarebbe probabilmente finita a insegnare chimica in qualche scuola privata per signorine di buona famiglia e avrebbe passato la vita a svolgere questa professione, altrimenti perfettamente rispettabile. Ma continuò a dirsi “Non lo so”, e queste parole la portarono - non una, ma due volte - a Stoccolma, dove gli spiriti indomiti e curiosi vengono talvolta insigniti del premio Nobel.
I poeti, se sono genuini, devono a loro volta continuare a ripetersi “Non lo so”. Ogni poesia testimonia lo sforzo di ribattere a questa affermazione, ma, non appena viene messo l’ultimo punto sulla pagina, il poeta comincia a esitare, inizia a capire che questa particolare
risposta non era altro che un espediente, per di più del tutto inadeguato. Quindi, i poeti continuano
a provare, e presto o tardi i risultati che derivano dalla loro stessa insoddisfazione vengono raggruppati, con un’enorme graffetta fermacarte, dagli storici della letteratura e battezzati l’“opera”... Brano tratto dal discorso Il poeta e il mondo, tenuto in occasione della cerimonia di conferimento del premio Nobel, pubblicato in Italia dalla casa editrice Terre di Mezzo, Milano, 2012. Traduzione di Sara Crimi. Wieslawa Szymborska (Kórnik, 2 luglio 1923 – Cracovia, 1º febbraio 2012) è stata una poetessa e saggista polacca, ed è Premio Nobel per la Letteratura del 1996.
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