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Sagarana LETTERA A ERNESTO SABATO


Ernesto Che Guevara


LETTERA A ERNESTO SABATO



 

Stimato compatriota: sono passati forse quasi quindici anni da quando conobbi un figlio suo, che ormai deve avere vent’anni,, e sua moglie, in quel luogo che mi sembra si chiami "Cabalando", a Carlos Paz, e dopo, quando lessi il suo libro Uno y el universo, che mi affascinò, non pensavo che sarebbe stato lei, che possedeva quello che per me era la cosa più sacra al mondo, il titolo di scrittore, a chiedermi, col passare del tempo una definizione, un impegno di rincontro, come lei lo definisce, in base ad un’autorità accreditatami per alcun fatti e moti fenomeni soggettivi. Faccio questa premessa solo per ricordarle che appartengo, malgrado tutto, alla terra dove sono nato e che sono ancora capace di sentire profondamente tutta la sua allegria, la mancanza di speranza e anche le sue delusioni. Sarebbe difficile spiegarle perché “questo” non sia una “Rivoluzione Liberatrice”; dovrei forse dirle che avevo visto le virgolette nelle parole che lei denuncia, fin dal momento in cui apparvero e che identificai quella formula con quanto era accaduto in Guatemala che avevo appena abbandonato, vinto e quasi disilluso. Come me, erano tutti quelli che avevano preso parte a quell’incredibile avventura e che avevano approfondito il loro spirito rivoluzionario a contatto con le masse contadine, in una profonda interralazione, durante due anni di lotta crudele e di risultati veramente grandi. Non potevamo noi essere per la “liberatrice” perché non eravamo parte di un esercito plutocratico, ma eravamo un nuovo esercito popolare, sollevatosi in armi per distruggere il vecchio; e non potevamo noi essere per la “liberatrice” perché la nostra bandiera di combattimento non era una vacca, ma un filo di ferro di recinzione latifondiaria, spezzato da un trattore, come è oggi l’insegna del nostro INRA (Istituto Nazionale per la Riforma Agraria). Non potevamo essere per la “liberatrice” perché le nostre servette piansero di gioia il giorno in cui fuggì Batista e noi entrammo all’Avana; e oggi si continuano a fornire i dati su tutte le manifestazioni e le ingenue cospirazioni della gente del “Country Club" che è la stessa gente del "Country Club" che lei ha conosciuto lì, e che a volte sono stati suoi compagni di odio contro il peronismo. Qui la formula di sottomissione degli intellettuali ha assunto un aspetto molto meno sottile che in Argentina. Qui gli intellettuali erano schiavi sul serio, senza mascherature di indifferenza, come da voi, e ancora meno mascherature di intelligenza; era una schiavitù elementare posta al servizio di una causa obbrobriosa, senza complicazioni: mormoravano, semplicemente. Ma tutto questo non è nient’altro che letteratura. Rinviare il discorso, come lei ha fatto con me, a un libro sull’ideologia cubana, significa rinviarlo di un anno; oggi le posso solo mostrare, come un tentativo di teorizzazione di questa rivoluzione, forse il primo serio tentativo, ma essenzialmente pratico, come sono tutte le azioni di noi empirici incalliti, questo libro sulla Guerra di Guerriglia. E’ una quasi una dimostrazione puerile del fatto che so mettere le parole una dietro l’altra; non ha la pretesa di spiegare i grandi avvenimenti che la inquietano e forse non li potrebbe spiegare nemmeno questo secondo libro che penso di pubblicare, se le circostanze nazionali e internazionali non mi obbligano nuovamente ad imbracciare un fucile (un compito che disdegno come uomo di governo ma che mi entusiasma come uomo assettato di avventura). Anticipandole quanto potrà venire o non (il libro), posso dirle, cercando di sintetizzare, che questa rivoluzione è la più genuina creazione dell’improvvisazione. Nella Sierra Maestra, un dirigente comunista che era venuto a farci visita, ammirato di tanta improvvisazione e di come si inserissero tutte le attività, che funzionavano per conto proprio, in un’organizzazione centrale, aveva detto che era il caos più perfettamente organizzato dell’universo. E questa rivoluzione è così perché ha camminato più rapidamente della propria precedente ideologia. In fin dei conti, Fidel Castro era un aspirante a un partito borghese, tanto borghese e tanto rispettabile come potrebbe essere il partito radicale in Argentina, che seguiva le orme di un leader scomparso, Eduardo Chivás, con caratteristiche simile a quelle che possiamo ritrovare nello stesso Irigoyen; e noi, che lo seguivamo, eravamo un gruppo di uomini con poca preparazione politica, dotati solo di una buona dose di volontà e un innato senso dell’onore. Così venivamo a gridare. “Nell’anno '56 saremo eroi o martiri”. Poco prima avevamo gridato, o meglio, aveva gridato Fidel: "Vergogna contro denaro”. Sintetizzavamo in frasi semplici il nostro atteggiamento, anch’esso semplice. La guerra ci rivoluzionò. Non c’è esperienza più profonda per un rivoluzionario dell’atto della guerra; non il gesto isolato di uccidere, o di imbracciare il fucile o di condurre una lotta di questo o quel tipo; è invece la globalità del fatto di guerra, sapere che un uomo armato vale come unità combattente, e vale come qualsiasi uomo armato, e può non temere altri uomini armati. Andare a spiegare, noi dirigenti, ai contadini indifesi come potevano prendere un fucile e dimostrare a quei soldati che un contadino armato valeva tanto come il migliore di loro; e imparare anche come la forza di uno solo non vale niente se non è circondata dalla forza di tutti; allo stesso tempo imparare come le parole d’ordine rivoluzionarie devono rispondere alle aspirazioni più sentite dal popolo, e imparare a conoscere del popolo le sue aspirazioni più profonde, e convertili in bandiere di agitazione politica. E’ questo che abbiamo fatto tutti noi e abbiamo compreso che l’ansia del contadino per la terra era il più forte stimolo alla lotta che si poteva trovare a Cuba. Fidel comprese molte altre cose; si sviluppò nello straordinario dirigente di uomini e donne, quale è oggi, e nelle gigantesca forza agglutinante del nostro popolo. Perché Fidel, al di sopra di tutto, è l’elemento agglutinante per eccellenza, il dirigente indiscusso che sopprime tutte le divergenze e le distrugge con la propria disapprovazione. Utilizzato molte volte, sfidato altre, per denaro o ambizione, è sempre temuto dai suoi avversari. Così è nata questa rivoluzione. così si sono create le sue parole d’ordine e così, poco a poco, si è cominciato a teorizzare sui fatti per creare un’ideologia che veniva alla coda degli avvenimenti. Quando lanciammo la nostra Legge di Riforma Agraria nella Sierra Maestra, era già da tempo che si erano fatte delle ripartizioni della terra nella stessa zona. Dopo aver compreso nella pratica una serie di fattori, abbiamo reso nota la nostra prima timida legge, che non metteva in discussione il punto fondamentale, come la soppressione del latifondo. Non sembravamo troppo cattivi per la stampa continentale per due motivi: la prima, perché Fidel era uno straordinario politico che non hai mai mostrato le sue intenzioni oltre un certo limite e ha saputo conquistarsi l’ammirazione di giornalisti di grandi giornali che simpatizzavano con lui e utilizzavano la strada facile della cronaca di tipo sensazionale; l’altra, semplicemente perché gli statunitensi che sono i grandi ideatori di test e di livelle per misurarlo tutto, applicarono una delle loro livelle, tirarono fuori le loro conclusioni e le incasellarono. Secondo le loro tabelle di riferimento, dove si diceva: "Nazionalizzeremo i servizi pubblici”, si doveva intendere: “Eviteremo che questo succeda se riceviamo un ragionevole appoggio”; dove si diceva ”liquideremo il latifondo”, si doveva intendere: ”Utilizzeremo il latifondo come una buona base per raccogliere soldi per la nostra campagna politica o per la nostra tasca personale”, e cosi via. Non gli passò mai per la testa che quello che Fidel Castro e il nostro Movimento dicevamo, in modo tanto ingenuo e drastico, fosse esattamente quello che pensavamo di fare; abbiamo predisposto per loro la più grande truffa di questo mezzo secolo, dicevamo la verità mentre davamo l’impressione di tergiversarla. Eisenhower dice che abbiamo tradito i nostri principi, ed in parte è vero, secondo il suo punto di vista; abbiamo tradito l’immagine che loro si erano fatta di noi, come nel racconto del pastorello bugiardo, ma al contrario, e neanche noi siamo stati creduti. Così ora stiamo usando un linguaggio che è anch’esso nuovo, perché continuiamo a camminare molto più rapidamente di quanto non riusciamo a pensare e a strutturare il nostro pensiero; siamo in continuo movimento e la teoria avanza molto lentamente, tanto lentamente, che dopo aver scritto nei pochi stralci di tempo questo manuale che le mando, mi sono reso conto che per Cuba quasi non serve; per il nostro paese, invece, può servire, solo che bisogna usarlo con intelligenza, senza fretta e travisamenti; quando sarà stato pubblicato, tutti penseranno che è un’opera scritta molti anni fa. Mentre si vanno acutizzando le situazioni esterne e la tensione internazionale aumenta, la nostra rivoluzione, per necessità di sopravvivenza, deve acutizzarsi, e ogni volta che si acutizza la rivoluzione, aumenta la tensione e questa si deve acutizzare ulteriormente, come un circolo vizioso che sembra doversi restringere ogni volta di più fino a rompersi; vedremo allora come uscire dal pantano. Quello che posso assicurarle però è che questo popolo è forte, perché ha lottato e ha vinto e conosce il valore della vittoria; conosce il valore dei colpi e delle bombe e anche il sapore dell’oppressione, Saprà lottare con una fermezza esemplare. Allo stesso tempo le assicuro che per quel giorno, anche se io sto facendo dei timidi tentativi in tal senso, avremo teorizzato molto poco e dovremo risolvere i problemi con l’agilità di cui ci ha dotati la vita di guerriglia. So che quel giorno la sua arma di intellettuale onesto sparerà in direzione del nemico, e che possiamo averla là, presente e in lotta al nostro fianco. Questa lettera è stata più lunga e non è priva di quella piccola quantità di posa che alla gente semplice come noi impone senza dubbio, il fatto di voler dimostrare davanti a un pensatore che siamo anche quello che non siamo: pensatori. Ad ogni modo sono a sua disposizione. Cordialmente, Ernesto Che Guevara






Tratta dal sito http://www.filosofico.net/cheguevara.htm, a cura di Diego Fusaro.




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