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Sagarana GLI SCRITTORI FEDERALI DELLA FLORIDA


Alla ricerca del passato nel New Deal: Il progetto federale per gli scrittori della Florida: 1935-1942


Elisabetta Soro


GLI SCRITTORI FEDERALI DELLA FLORIDA



 

            Era il 1929 quando la più grave crisi economica mondiale sconvolse gli Stati Uniti. In poche settimane le azioni persero valore, un gran numero di fabbriche e ditte si vide costretto alla chiusura, le banche dichiararono fallimento, il mercato azionario piombò in una gran confusione, coltivatori e allevatori dichiararono bancarotta. La conseguenza più immediata fu che milioni di individui persero il lavoro e migliaia di famiglie vennero ridotte alla miseria. Era l’inizio della Grande Depressione che segnò gli Stati Uniti d’America per più di un decennio.
Sotto la guida di Franklin Delano Roosevelt, insediatosi alla presidenza nel marzo del 1933, l’America tentò di uscire dalla crisi attraverso una serie di provvedimenti tesi a risanare e riformare il paese. Il Works Progress Administration (WPA) era una delle tante agenzie del New Deal che diede occupazione a un terzo dei 10.000.000 di disoccupati che, per un compenso mensile di $ 50,00 circa, venivano impiegati in progetti per la maggior parte riguardanti l’edilizia. Sotto l’energica direzione di Harry Hopkins, un appassionato ex assistente sociale proveniente da ambienti modesti, nominato amministratore del WPA nel luglio 1935, il paese si trasformò in un gigantesco cantiere con la costruzione di ponti, strade, edifici pubblici, parchi e aeroporti.
            Tuttavia i progetti più singolari, innovativi e duraturi del WPA furono quelli compresi nel cosiddetto Progetto Federale n.1, altrimenti noto come Numero Uno, che sponsorizzò per la prima volta dei piani di lavoro per insegnanti, scrittori, artisti, musicisti e attori disoccupati.
Fino a quel momento infatti gli artisti erano stati completamente ignorati nella loro professione e di conseguenza costretti ad adattarsi a lavori manuali per cui non avevano adeguata preparazione ed esperienza. Il Federal Writers Project (Progetto Federale per gli Scrittori) aveva come obiettivo principale la stesura e la pubblicazione di libri, la cura di schedari per la consultazione dei quotidiani, la pubblicazione di opere di storia locale, raccolte etnografiche regionali e come obiettivo principale la stesura e pubblicazione delle nuove guide turistiche degli Stati Uniti, le “American Guide Series.”
            Iniziato sotto la guida di Henry G. Alsberg, designato Direttore Nazionale del Federal Writers’ Project (FWP) il 25 luglio 1935, il programma, come tutti gli altri facenti parte delle agenzie del New Deal, era organizzato in due dipartimenti: amministrativo con sede a Washington D.C. da cui partivano le direttive per l’intera nazione, ed operativo con sede nei singoli stati per i quali veniva scelta un’equipe di impiegati che lavorava in collaborazione con un direttore statale. Quest’ultimo era responsabile e referente per la sede centrale e aveva l’incarico di guidare il suo staff nella stesura della Guida turistica.
Ogni Guida era divisa in tre parti secondo uno schema predefinito dalla sede di Washington D.C.
La prima parte conteneva brevi saggi di natura, politica, economia, vita sociale, diverse etnie, arte e svago. La seconda conteneva una descrizione individuale delle città più importanti dello stato con l’aggiunta di una mappa che ne indicava i punti di maggiore interesse. La terza parte, infine, era la più voluminosa e veniva dedicata alla descrizione di possibili itinerari turistici da compiersi in automobile.
Viaggiare in automobile stava diventando sempre più frequente per i cittadini statunitensi e l’unica guida disponibile in quel periodo era quella pubblicata da Karl Baedeker, Handbook for Travelers, nel 1909. Essendo stata scritta da un turista inglese, i lettori americani spesso lamentavano l’arrogante sciovinismo di Baedeker che non faceva altro, a detta loro, che sottolineare la superiorità del vecchio mondo. Inoltre, essendo stata scritta nel 1893 (la versione del 1909 era superficialmente aggiornata), la guida risultava priva di indicazioni sulle moderne reti stradali o sulle nuove linee ferroviarie.
Pubblicare le Guide sarebbe stato un modo non solo per dare lavoro ai colletti bianchi disoccupati, ma anche un’opportunità per far rinascere un sentimento patriottico che si era affievolito a causa delle tensioni e dei problemi dovuti alla Grande Depressione. Documentare le bellezze e la cultura degli Stati Uniti avrebbe reso il popolo diviso un’unica grande nazione.
Il 27 febbraio 1937 il Saturday Review of Literature pubblicò in prima pagina un articolo del critico Bernard DeVoto intitolato “The First WPA Guide,” una cronaca estasiata sulla pubblicazione della prima delle Guide, quella dell’Idaho.
               Nei quasi nove anni di vita del Federal Writers’ Project, un totale di venti mila impiegati tra rilevatori, editori, ricercatori, e scrittori costituirono la forza lavoro del progetto federale. Il salario degli scrittori variava a seconda della locazione geografica in cui si trovavano a lavorare e del grado di competenza professionale che veniva loro assegnato. In linea di massima si guadagnava dai $ 93.50 ai $ 103.50 al mese a New York e in altri grossi centri urbani, mentre $39 nelle zone rurali come la Georgia e il Mississippi. In Florida Stetson Kennedy, che divenne scrittore professionista dopo la sua partecipazione all’FWP, guadagnava $75 al mese lavorando come intervistatore di secondo grado.
Vennero spesi 27 milioni di dollari; vennero prodotti più di 276 libri, incluse le famose Guide, 701 opuscoli, e 340 altre pubblicazioni tra articoli, copioni, manifesti, volantini, depliants.
I ricercatori viaggiavano di città in città intervistando e raccogliendo materiale. Forniti di istruzioni e moduli da compilare, stilavano le cronache sul posto e stendevano delle accurate relazioni su ciò che avevano visto e sentito durante la spedizione una volta tornati in ufficio.
Le relazioni venivano, quindi, riordinate e corrette dai redattori regionali e statali prima di essere spedite a Washington per la redazione e approvazione finali. Niente veniva pubblicato senza il consenso di Washington D.C.
Una volta assunti, gli scrittori federali avevano l’obbligo di seguire due regole fondamentali: massima serietà sul lavoro e anonimato per gli articoli scritti. Non consentendo agli scrittori di firmare i loro pezzi, infatti, veniva garantita l’uniformità stilistica e, in un periodo di fermenti socialisti, venivano enfatizzati i risultati ottenuti dalla collettività piuttosto che dal singolo. Malgrado ciò le Guide presentavano l’America agli americani con i suoi pregi, le sue bellezze e i suoi difetti e questo le rese interessanti agli occhi di tutti. Le guide, inoltre, mostravano che il pittoresco territorio americano era degno di ammirazione, che la cultura americana meritava un più alto grado di apprezzamento, e che gli scrittori di talento potevano collaborare per produrre materiale utile e interessante all’intera nazione.
 
        1.   Il contesto folclorico
            Fin dalla sua nascita, il Federal Writers’ Project dedicò cura e impegno alla ricerca di materiale inedito che raccontasse la vita, gli usi e i costumi dei diversi gruppi etnici residenti negli Stati Uniti. A tal fine venne appositamente creata una sezione dedicata alla ricerca folclorica, guidata da John Lomax, editore dagli inizi del 1936 fino alle sue dimissioni nel dicembre del 1937. La presa di coscienza da parte dei vertici a capo del Progetto che l’opportunità di raccogliere questo tipo di materiale poteva non ripresentarsi, impose un senso di urgenza in tutto lo staff. Un vero e proprio esercito di ricercatori, appositamente creato per la raccolta di informazioni sul campo, concentrò da subito la sua attenzione non tanto sulle biblioteche o sugli archivi statali, che avrebbero fornito loro del materiale troppo scontato, quanto su quelle che loro stessi definirono le “fonti primarie”: gli anziani, i vecchi quotidiani e le interviste dirette.
Katherine Kellock, assistente di Alsberg, abbozzò una prima informativa sui temi da trattare o a cui dare maggiore risalto. Tra quelli più richiesti c’erano gli usi e i costumi riguardanti le nascite, la morte, il matrimonio, il corteggiamento, i canti, le pratiche religiose, le sagre paesane. Oltre ai temi da trattare, il manuale elencava una serie di regole di comportamento e offriva numerosi consigli, come quello di allontanarsi dai centri più importanti e dalle zone industriali perché le ricerche portassero più frutto.
Quello dell’intervistatore era il compito più difficile tra quelli offerti nell’FWP, poiché alla mancanza di registratori portatili e telecamere (strumenti tecnici che avrebbero potuto utilizzare al giorno d’oggi, ma quasi sconosciuti negli anni ’40), utili per non perdere nessuna sequenza dell’intervista, si sommavano la pericolosità di alcuni territori di ricerca e la diffidenza degli informatori. Racconta John Lomax che viaggiò personalmente nello stato nella primavera del 1937 che i cowboys non amavano farsi intervistare e si allontanavo non appena lo vedevano arrivare, mentre i cantanti, specialmente quelli del far west, sembravano contenti di risentire le loro voci registrate.
Ad ogni modo, si tentò di sopperire al problema della mancanza di sofisticati strumenti di registrazione, esortando i ricercatori a osservare attentamente ogni gesto e ad annotare il linguaggio preciso del narratori. Le schede fornitegli da allegare al testo scritto di ogni intervista orale li facilitava infine nella raccolta di dati biografici e professionali degli informatori.
Fare il ricercatore dunque non era semplice e chi sceglieva di farlo non lo faceva certo per il compenso, che talvolta risultava essere meno congruo di altre figure professionali.
            Quando John Lomax rassegnò le dimissioni nel dicembre del 1937, fu sostituito da Benjamin A. Botkin nel ruolo di direttore a tempo pieno. Botkin entrò a far parte a tutti gli effetti del Federal Writers’ Project nel maggio 1938, fiducioso di partecipare “al più grande esperimento sociale e didattico dei nostri tempi.”
Botkin era profondamente convinto che il folclore avrebbe potuto aiutare gli americani a raggiungere una comprensione più profonda del contesto multiculturale della nazione in cui vivevano.
Botkin si rivelava ogni giorno più entusiasta dei lavori del Federal Writers’ Project che riteneva, “un’opportunità per restituire alla gente ciò che gli abbiamo sottratto e ciò che di diritto gli appartiene.” Pieno di energia e voglia di fare, Botkin rivolse subito la sua attenzione verso gli Stati più problematici al momento della sua assunzione, e la Florida era uno di questi. A causa della mancanza di bravi scrittori, la pubblicazione della Guida della Florida subì grandi ritardi. Basti pensare che ci vollero due anni perché fossero terminate le prime due sezioni, “saggi” e “città” e qualche mese prima dell’assunzione di Botkin, gli editori nazionali rispedirono al mittente la terza parte, Florida Loop, dedicata alle escursioni, giudicandola “monotona e smorta” con l’ordine che venisse riscritta. I dirigenti nazionali volevano del materiale che fornisse un punto di vista nuovo non solo dei panorami che si potevano ammirare dalle superstrade, ma anche e soprattutto della storia locale, delle varianti regionali e del folclore.
Botkin era consapevole che bisognava imprimere un cambiamento radicale e immediato nell’assetto dell’organizzazione dello stato. Riunì allora diversi esponenti del Works Progress Administration a cui propose la creazione di un comitato paritetico sull’arte folclorica, che, come prima impresa, pianificò una spedizione nelle regioni del sud degli Stati Uniti per accertarsi della situazione locale e per guidare lo staff verso gli obiettivi nazionali.
Ebbe così inizio ufficiale l’avventura della Florida.
 
2. La situazione e lo staff della Florida
 
Nel 1939 Botkin intraprese personalmente un viaggio in Florida nel tentativo di spronare lo staff, indirizzare i ricercatori verso una ricerca più fruttuosa e gli scrittori ad un lavoro più scrupoloso. Di un incontro tenutosi a Jacksonville il 1° Dicembre dello stesso anno, riferì ad Alsberg: “Ho tenuto un incontro con lo staff per discutere alcune cose sul folclore americano e sullo studio del folclore in generale. Lo staff è di qualità e la direzione è eccellente. Ho riesaminato lo studio di Ybor City, la colonia latina di Tampa, e ho fatto un appunto a Veronica Huss sul suo valido studio sulle conchiglie della Riviera. Giovedì sera ho tenuto una tavola rotonda, organizzata dalla Dr. Corse, per i direttori statali del Federal Project N° 1…È stato uno degli incontri più fruttuosi di questo tipo che abbia mai condotto.” 
Dr. Corse, non era altri che Carita Doggett Corse nominata direttrice del progetto della Florida nell’ottobre del 1935 e che rimase al timone del progetto dall’inizio alla fine nel 1942, dopo l’inizio della seconda guerra mondiale. La durata del suo mandato la dice lunga sulle sue capacità, visto che pochi responsabili statali durarono dall’inizio alla fine. Meno di un quarto riuscirono a resistere tanto da vedere la guida del loro stato pubblicata.       
            Nata a Jacksonville nel 1891, Corse vantava una brillante carriera scolastica e accademica. Il suo lavoro nell’FWP era quello di coordinare lo staff, indirizzare i ricercatori verso le zone di maggiore interesse, correggere le relazioni degli scrittori e fare una cernita tra gli argomenti più interessanti. Era inoltre responsabile dell’organizzazione delle unità di lavoro dislocate in tutto lo Stato e si assunse l’ulteriore impegno di selezionare personalmente gli scrittori e i ricercatori da assumere nel suo staff. Per il resto si occupava di cercare nuove idee da proporre agli impiegati e di trovare fondi e sponsor per coprire i costi di ogni pubblicazione.
Fin dall’inizio della sua carriera, Corse sviluppò un sincero apprezzamento per la pittoresca vita folclorica delle diverse culture della Florida e lavorò assiduamente per documentarla prima che andasse persa sotto la morsa della modernizzazione. Mossa dall’entusiasmo inviò gruppi di ricercatori per intervistare il pescatore di spugne greco a Tarpon Springs, gli indigeni delle Bahamas a Riviera Beach, il pescatore portoghese di Fernandina, i nativi americani nelle Everglades e Dania, e gli afroamericani in ogni parte della Florida.
Grintosa e schietta, Mrs. Corse non nascose la soddisfazione per la decisione del presidente Roosevelt di includere nei progetti federali anche le donne, che avrebbero potuto, diceva, dare un prezioso contributo, e il disappunto per coloro che si erano dimostrati contrari a tale soluzione.
Ricorda Stetson Kennedy che “il suo entusiasmo per le scoperte fatte tenne alto il morale dell’intero staff.” Gordon Adams, ricercatore folclorico di Keystone Heights, parlò a nome di molti colleghi quando, ricordando Mrs. Corse durante il suo mandato di supervisore, aggiunge, “era molto cordiale nei suoi rapporti col personale. Le volevamo tutti bene. Era una donna molto attraente e un grande amministratore.”
            Dalla metà di dicembre del 1935 nel Progetto risultavano assunte un totale di 138 persone, di cui 29 a Jacksonville e 17 a Tampa che erano i quartier generali della Florida.
Le selezioni per il personale erano aperte non solo a scrittori qualificati, ma anche agli aspiranti editori e supervisori, ai quali venivano richieste due caratteristiche in particolare: essere laureato e provenire dall’ambiente giornalistico. Il direttore distrettuale di Tampa, Max Hunter, ad esempio, era stato capocronista al St. Petersburg Times prima di essere assunto nell’FWP e in molti casi i giornalisti provenivano proprio da settimanali falliti e facevano carriera all’interno del Federal Project.
La mole di materiale raccolta impose a Washington DC la creazione in Florida di una sottosezione dell’FWP, il “Folklore and Ethnic Studies”. Seguendo le indicazioni e raccomandazioni di Botkin, venne selezionato uno staff di qualità che contava dieci membri assegnati a diverse città della Florida. Tra i nomi di spicco che emergono da uno dei rari elenchi dei partecipanti al progetto della Florida risalente al 1938 e custodito nella biblioteca della University of South Florida troviamo la scrittrice afroamericana Zora Neale Hurston, assegnata alla città di Eatonville.
La lista dei partecipanti, tuttavia, risulta incompleta poiché comprende solamente coloro che lavoravano al progetto a tempo pieno, mentre non vengono citati i numerosi collaboratori part-time. Uno dei problemi più rilevanti riguardo il progetto federale della Florida è proprio capire chi vi lavorò e in quale veste. Il ricercatore Evenell Powell-Brant confermò che non fu mai stilata una lista nazionale e non si conservarono quelle locali, se ce n’era mai stata qualcuna.
Questa si rivela la difficoltà maggiore nella ricostruzione di questo maestoso progetto: sapere chi effettivamente ha partecipato alla realizzazione dei lavori, poiché molti scrittori non svelarono per scelta propria di essere stati scrittori federali. La Hurston, ad esempio, non fece mai parola con nessuno della sua collaborazione come scrittrice federale e la sua partecipazione al progetto restò un mistero per amici, parenti e colleghi. Persino la sua autobiografia risulta incompleta da questo punto di vista, operando un salto cronologico non indifferente. La spiegazione probabilmente va cercata in un atteggiamento che accomunò tutti gli scrittori sussidiati: l’imbarazzo della disoccupazione e il desiderio di dimenticare gli anni di povertà. Non tutti gli scrittori che collaborarono al progetto federale erano orgogliosi del proprio lavoro e alcuni membri dell’FWP si vergognavano di aver accettato un lavoro socialmente utile. Talvolta, invece, fu la stampa a essere negligente, dimenticando di citare i partecipanti alla realizzazione delle Guide e delle altre pubblicazioni, come nel caso di Vardis Fisher, risaputo essere direttore dell’FWP dell’Idaho solo grazie alla sua autobiografia.
            Se da un lato abbiamo una folta schiera di scrittori di cui è difficile e quasi impossibile svelare l’identità, dall’altra troviamo alcune eccezioni degne di nota.
Richard Wright, ad esempio, lo scrittore che forse ebbe maggiori benefici dalla partecipazione al Progetto, lasciò il lavoro in un ufficio postale per “arruolarsi” nel Federal One e nel 1938 vinse un concorso indetto dal periodico Story, riservato ai soli membri dell’FWP. Grazie al riconoscimento ricevuto, ottenne la pubblicazione dalla casa editrice Harper and Brothers di Uncle Tom’s Children. Venne trasferito da Chicago a New York City e gli venne consentito di scegliere gli argomenti da trattare all’interno del Progetto. Utilizzò questo periodo per scrivere gran parte del suo capolavoro, Native Son, pubblicato dalla Harper nel 1940.
Molti altri furono gli scrittori e gli accademici che collaborarono per la prima volta nella storia alla stesura e pubblicazione di alcune importanti opere, tra cui Florida: A Guide to the Southernmost State, pubblicata nel novembre 1939 dalla Oxford University Press: Nelson Algren, Saul Bellow, Sterling A. Brown, Ralph Ellison, Claude Mckay, solo per citare alcuni.
           
3. La Negro Unit
 
            Fin dai primi giorni del suo mandato, Corse viaggiò in un lungo e in largo per lo stato per registrare le canzoni degli afroamericani e le interviste ai primi schiavi. Fu questo contatto diretto con la popolazione afroamericana che suscitò in lei un grande desiderio di far conoscere la loro cultura e di farla apprezzare come lei già faceva. Ritenne necessario creare una sezione apposita per la raccolta e documentazione dell’immensa cultura africana. Il 20 febbraio 1936 Washington D.C. acconsentì alla creazione della “Negro Unit,” e vennero stanziati $ 2,000 per pagare lo staff fino al 15 maggio. L’unico vincolo da parte della sede centrale fu il numero degli impiegati nel nuovo progetto. Non più di dieci persone. Il 5 marzo dello stesso anno, Corse informava la sede centrale che i dieci erano stati scelti, e chiese ad Alsberg di inoltrargli dei suggerimenti circa le mansioni da assegnare ai lavoratori afroamericani.
Ma solo dopo pochi mesi dall’inaugurazione della nuova sezione, iniziarono a giungere cattive notizie. Corse scrisse a Dr. Sterling Brown, redattore nazionale della sezione afroamericana, che, a causa del taglio di fondi, era stata obbligata a ridurre il numero di impiegati da dieci a otto e avrebbe dovuto a breve procedere ad ulteriori riduzioni del personale.
Questo era solo l’inizio della battaglia scatenatasi non solo contro gli scrittori afroamericani, ma anche contro tutti coloro che li sostenevano in qualche modo.
Gli afroamericani impegnati nel progetto lavoravano in sedi staccate rispetto a quelle degli euroamericani, e non avevano il permesso di accedere ai locali gli uni degli altri. Inoltre avevano l’obbligo di passare in percorsi prestabiliti per portare il materiale pronto nelle sedi centrali e non era raro che venissero scartati i loro articoli, malgrado fossero talvolta di qualità superiore a quelli di altri. La situazione di disparità era sotto gli occhi di tutti.
L’America degli anni ’30 era una nazione divisa al suo interno, piena di timori, pregiudizi e discriminazioni che portarono alla violenza e all’odio. La tensione aumentò inesorabilmente fino a toccare il punto di maggiore crisi proprio durante la Grande Depressione, in cui alla già precaria situazione di disoccupazione si aggiunse la frenesia della ricerca di un lavoro. Gli euroamericani guardavano con diffidenza tutti i potenziali contendenti; donne, immigrati e ancora di più gli ex-schiavi africani. Questa realtà societaria non fu da nessuna parte più manifesta che nei tentativi del personale del Progetto di ritrarre la vita folclorica della Florida, e soprattutto quella degli abitanti neri dello stato.
            Se da un lato la situazione lavorativa per gli afroamericani assunti nell’FWP era quanto meno problematica, dall’altro erano tutti consapevoli della grande opportunità che avevano di far conoscere la propria cultura per essere, tramite questa, infine apprezzati. Non volevano nascondere le sofferenze patite, perché il popolo euroamericano vedesse il loro lato umano. Volevano altresì riscoprire l’unità di popolo, per anni lasciata da parte per servire i padroni o piegata dalle leggi razziali. Riscoprire le proprie radici, significava anche tornare con la mente agli anni della schiavitù, e così fecero creando una sezione che la documentasse. Vide la luce “The Florida Negro,” dedicata ai racconti degli ex-schiavi.
 
4. The Ex-Slave Narratives and “The Florida Negro”
 
L’idea di intervistare gli ex-schiavi ancora in vita nacque, per la prima volta, nella “Southern University” di Scotlandville, Louisiana, dove un professore di storia alla fine di una lezione sulla schiavitù chiese ai suoi studenti di intervistare sia gli ex-schiavi ancora in vita che i loro padroni. Gli studenti dovevano reperire notizie sul cibo, il vestiario, le condizioni di lavoro, le opportunità di istruzione, i divertimenti, la religione, le punizioni, la vita familiare e così via.
I Federal Writers vollero andare oltre la mera raccolta di informazioni, riscoprendone la cultura, le usanze e il folclore, rimasto all’ombra delle piantagioni di tabacco e caffè, ma sempre vivo nel cuore degli schiavi. Erano loro gli eredi diretti di quella cultura africana che “l’uomo bianco” aveva tentato di occultare con le catene, ed era a loro che ci si doveva rivolgere per riscoprirla.
            Gli schiavisti, infatti, nel tentativo di distruggere il desiderio di fuga e il ricordo della libertà perduta, vietarono agli africani non solo qualsiasi forma di organizzazione sociale che fosse riconducibile alla loro terra d’origine, ma anche la pratica della propria religione, il culto della magia e della superstizione.
La danza, il canto e la musica che accompagnavano ogni attività o avvenimento importante, rimasero gli unici strumenti che gli schiavi riuscirono a preservare per animare un tempo sempre uguale e tenere vivo il ricordo delle proprie origini. Oltre che mezzo di comunicazione e di espressione consentì loro di vivere e non solo di sopravvivere. In questo modo essi ebbero la possibilità di tramandare pratiche che sarebbero altrimenti stati costretti a dimenticare e che, al contrario, trapelavano attraverso queste manifestazioni. Come spesso accade in questo casi, l’ironia volle che gli stessi padroni si dilettassero ad ascoltarle, considerandole innocue alla vita della piantagione.
Attraverso queste forme, gli schiavi, da un lato, impedirono la totale acculturazione anglosassone della popolazione africana e dall’altro svilupparono quella che oggi viene definita “letteratura orale”, ovvero tutta quella serie di miti, leggende, canzoni, rime, proverbi, indovinelli, giochi e racconti che si trasmisero verbalmente durante i lunghi secoli della schiavitù e anche oltre. Ricordiamo che durante gli anni della schiavitù era severamente proibito imparare a leggere e scrivere. Vivendo in una società repressiva e ostile come quella del sud degli Stati Uniti, la popolazione afroamericana trovò nella lingua una via, l’unica, per mantenere vivo il senso dell’unità di gruppo.
Il lavoro dei cronisti della “Negro Unit” si basava essenzialmente sulla ricerca e raccolta di queste forme d’ arte che sarebbero altrimenti andate perse. Il risultato di questo lavoro è reperibile in parte nel The Florida Negro, manoscritto pubblicato solo alla fine del secolo scorso, cioè  più di 50 anni dopo la sua stesura, a causa delle precedenti difficoltà di trovare uno sponsor e un editore. Il manoscritto contiene solo una parte delle ricerche effettuate, perché gran parte del materiale raccolto è andato perso durante questi 50 anni o non è stato mai recuperato totalmente dagli archivi dove era stato “momentaneamente” depositato.
The Florida Negro apparve per la prima volta nel 1993, edito dall’antropologo Gary W. McDonogh che non si limitò solamente a cercare, raccogliere, mettere in ordine e stampare tutto il materiale, ma contribuì personalmente ad arricchirlo con i propri commenti e quelli del collega Gertrude Fraser. L’edizione presenta 16 capitoli che toccano una enorme varietà di argomenti: la storia, i giorni della schiavitù, i canti di lavoro, i divertimenti e gli svaghi, Hoodoo e Voodoo, gli afroamericani illustri e tanti altri.
Come detto in diverse occasioni, il lavoro più impegnativo spettava ai ricercatori, incaricati di avvicinare gli informatori e di intervistarli. Lo staff di operatori era composto esclusivamente da afroamericani per un motivo molto semplice; la ricchezza di linguaggio, la freschezza delle immagini e le frasi idiomatiche genuine, che fanno parte della cultura africana sono difficilmente interpretabili da un euroamericano. Come afferma a tal proposito John Cade nel suo saggio Out of the Mouths of Ex-Slaves: “Gli autori neri possono dare al mondo una più fedele interpretazione della propria gente di quanto potrebbero fare gli autori bianchi. Sono capaci di presentare il vero uomo africano com’era, com’è e come egli spera sarà.”
Tuttavia la capacità interpretativa del ricercatore non bastò ad evitargli una grossa difficoltà che si presentò soprattutto durante la raccolta del cospicuo numero di filastrocche, cantilene, rime e ritornelli. Il ritmo e il metro della voce del narratore veniva difatti completato dal movimento del suo corpo, rendendo il lavoro del cronista quanto mai complicato. Purtroppo la carica emotiva che facilmente traspariva nella rappresentazione reale del racconto non poteva essere altrettanto facilmente espressa sulla pagina scritta. L’africano gioca sugli accostamenti sonori, sulla flessibilità della parola che acquista così un potere, una magia e un fascino capaci di evocare determinate sensazioni e sentimenti. Alla mimica e alla gestualità che facevano del racconto una vera e propria rappresentazione teatrale non veniva resa giustizia con l’uso del corsivo oppure del punto esclamativo per indicare una pronuncia strascicata o le diverse inflessioni di voce, come, d’altronde, risultava inadatto l’utilizzo di qualsiasi mezzo tecnico e linguistico. Per risolvere il problema, il giornalista forniva allora delle minuziose descrizioni di ciò che aveva visto e udito, cercando di essere il più possibile fedele alla realtà. È dalla penna del ricercatore che apprendiamo che chi teneva le redini della narrazione nei racconti popolari era il cantastorie, la cui inventiva orale era motivo di divertimento per tutta la comunità che attendeva ansiosa di riunirsi attorno a lui.
Un qualunque evento, anche naturale, poteva dar vita a un breve racconto. Un esempio è quello che segue intitolato L’uragano del 1925.
 
Quindi il temporale incontrò l’uragano a Palm Beach, si sedettero e fecero colazione insieme. Poi l’uragano disse al temporale, “Scendiamo a Miami e scuotiamo quel posto!”
 
Oppure a una vera e propria drammatizzazione in cui interagivano più personaggi:
 
Cantastorie: Qual’è l’uomo più brutto che avete mai visto?
Aiutante: Oh, ho visto un uomo così brutto che riusciva a sistemarsi dietro uno stramonio e covare scimmie.
Secondo aiutante: Oh, quell’uomo non era tanto brutto allora! Ne conoscevo uno che riusciva a sistemarsi dietro una lapide e covare fantasmi.
Cantastorie: Oh, fratelli, gli uomini di cui parlate non erano affatto brutti! Anzi erano pure carini. Io conoscevo un uomo ed era così brutto che lo avreste buttato nel Mississippi e l’avrebbe inquinato per sei mesi.
 
I racconti popolari sono forse l’espressione più vera della cultura dell’afroamericano del sud, e ritraggono talvolta situazioni reali e quotidiane che riflettono, seppure in maniera velata, il mondo spesso brutale in cui viveva. Particolarmente interessanti sono i giochi raccolti da Zora Neale Hurston e contenuti nella collezione postuma redatta da Pamela Bordelon, Go Gator and Muddy the Water. Analizzando il contenuto e lo stile dei giochi, la Bordelon li divide in tre gruppi: 1. I giochi totalmente bianchi che sono stati imparati dai bambini neri da un contatto con i bianchi come “London Bridge Is falling Down,” 2. I giochi dei bianchi che sono stati modificati dai neri, come “Little Sally Walker,” 3. Giochi totalmente neri come “Bama,” “Rabbit Dance,” e “Chick-Mah-Chick” . Ciò che accomunava i games era il ritmo, scandito dall’uso del tamburo in Africa e dal battito delle mani negli Stati Uniti. L’uso dei tamburi negli Stati Uniti fu vietato agli schiavi per paura che, per suo tramite, le varie tribù comunicassero tra loro e organizzassero delle rivolte. Non dimentichiamo che il ritmo è un elemento fondamentale della cultura africana.
E questo è ancor più evidente quando ci si addentra nello studio dei canti di lavoro, canti a sfondo pagano che servivano a cadenzare i movimenti durante il lavoro per sincronizzare lo sforzo comune, così da risparmiare energie, alleviare le fatiche e aumentare il rendimento.
Sempre nel campo musicale troviamo i canti a sfondo religioso, detti “spirituals”, con i quali gli afroamericani hanno dato il loro più autentico contributo alla cultura Americana. The Florida Negro contiene un capitolo intitolato “Spirituals”, in cui troviamo però solo un elenco di titoli divisi tra canzoni vecchie e moderne. La mancanza dei testi sottolinea ancora una volta l’incompletezza del manoscritto, e il fatto che ci sia ancora tanto lavoro da fare prima di avere fra le mani la raccolta completa.
Il capitolo dedicato al folclore contiene anche dei cenni sulle superstizioni, le leggende e i miti in cui il popolo afroamericano credeva e su cui basava la propria esistenza, e che assumono spesso connotazioni esilaranti e comiche, come nel caso di una superstizione tratta dalla sezione Le superstizioni legate alle nascite: “Una gestante non è mai priva di alcuni vecchi capi di vestiario nel corredino per il neonato, credendo che una preparazione troppo elaborata spaventerà lo spirito del bambino causandone la morte alla nascita o durante l’infanzia.”
Un’altra tratta da Superstizioni sui fantasmi avverte: “Se un fantasma viene visto più di una volta e non desiderate vederlo di nuovo, insultatelo e domandategli perché è venuto; vi dirà immediatamente la ragione della sua visita e non vi disturberà mai più.”
Sembra che molte delle superstizioni africane siano comuni anche al patrimonio folclorico di altri paesi. Ad esempio non sembra del tutto sconosciuto al nostro mondo il seguente passo: “si pensa che i fantasmi generalmente frequentino i posti dove hanno vissuto e sono morti.”
L’evangelizzazione e la pressione costante da parte dei predicatori cristiani affinché gli schiavi abbracciassero la religione dei loro padroni non riuscirono ad estirpare dalla mente dell’afroamericano la fede che portò con sé nell’avventura del Nuovo Mondo e che fu tramandata di generazione in generazione con ostinazione e coraggio. Gli incantesimi, gli amuleti, le radici e le erbe a cui attribuivano poteri divini continuarono ad avere la loro importanza anche in schiavitù.
Questi esempi sporadici dimostrano quanto la lettura di The Florida Negro completi e approfondisca la conoscenza del mondo africano e afroamericano da tutti i punti di vista, e ci spinga al tempo stesso ad apprezzare ancor di più il grande lavoro di ricerca portato avanti dagli scrittori federali.
            Gli anni della Grande Depressione ebbero nell’immediato effetti disastrosi nello scenario socio-culturale dell’intera nazione, ma ebbero anche il merito di avere dato l’avvio alla creazione di questo progetto originale e temerario.
Lo stato della Florida vantava diversi primati di originalità e conserva a tutt’oggi dei documenti ancora in parte da scoprire, visto che un gran numero di materiali inediti su questo argomento sono ancora conservati negli archivi di Washington D.C., ma anche a Tampa, Jacksonville e Orlando i quartier generali della Florida. Ricordiamo che dopo la fine della Depressione, l’attenzione del mondo intero fu catturata da altri gravi incidenti che distolsero lo sguardo di studiosi e storici da questo grande evento culturale.
Indubbiamente la pubblicazione delle American Guide Series, cambiò la visione degli americani nei confronti del proprio paese. Per la prima volta gruppi diversi si trovavano a lavorare insieme e a scoprire la storia e le usanze gli uni degli altri.
L’importanza che le Guide ebbero e ancora hanno per la conoscenza degli Stati Uniti è riassunta nelle parole di Bill Scott, uno dei tanti collaboratori al progetto: “Le Guide... offrono il ritratto fatto di parole più ricco che abbiamo del nostro paese, un regalo sorprendente da un periodo difficile.”
 
 
BIBLIOGRAFIA
 
Florida: A Guide to the Southern-most State. Compiled and written by the Federal
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Elisabetta Soro nasce in provincia di Cagliari dove si laurea in Lingue e Letterature Straniere con una tesi in letteratura angloamericana dal titolo “The Florida Federal Writers’ Project.” Oggi è un preparatore linguistico presso l’Università degli Studi di Cagliari e continua a coltivare la sua passione per la letteratura afroamericana. Si occupa anche di traduzioni presso la stessa università e di scrittura creativa.




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