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Sagarana L’OLANDESE VOLANTE


Elena Spagnoli Fritze


L’OLANDESE VOLANTE



 

PROLOGO
Rivivere reclama più tempo ogni mattina
ché viene il momento delle notti concise
a finire i discorsi sospesi con amici e
familiari trapassati invadenti
e ti accorgi che li porti. Il peso
del midollo si trasmuta in piombo
che pare lieve al confronto
il pensiero pure greve delle cure.
Mai si muore repentinamente
caso mai per sbaglio
negli altri casi per il troppo pieno.
 
 
 MODERNITA’
Era stato un cameriere elegante quel tempo là
che il suo soprannome era l’Olandese Volante
senza ali e neanche Olanda, ma che importa
l’importante era l’impressione che faceva
sui clienti e sulle donne specialmente
e che mance! Che notti, non ne pativa stenti
allora, ora invece che sono intelligenti ‘fin le guerre
sterili sottovetro e i morti marmellate
che ci sono date di scadenza per la gente e
per le mozzarelle,  le patate, ‘fin gli sciampi
e un tubo nel sedere e uno nel naso
ci legano alla terra che non se ne può andare
più nessuno, allora prega un Dio che non ci crede
che se lo pigli adesso, che non ne ha
di lacci da slegare.
 
RISVEGLIO
Dal letto in libera caduta
e pattinare fino al gabinetto
e il tirassegno del biscotto bisecco dentro il caffelatte illiberale
e l’acrobazia nel pedalino viscido e sgusciante
e tuffarsi in pantaloni a troppe gambe semoventi
e ciecamente incantare al suo volere la cintura
e pattinare fino al panettiere
e prestidigitare stente monetine tutte uguali
e dalle fauci postali estarre la pensione
e pattinare fino al suo portone
- o è di qualcun altro? Se prende chi li scambia… –
e aggrapparsi al trapezio della scala stretti 
e i salti mortali doppi di pane e latte
e il tirassegno della chiave nella toppa
e proprio all’ultimo precipitare nella poltrona senza rete
e l’applauso forte dopo lo stupore
e quello scemo del pagliaccio perso 
chissà dove che anche l’ipoacusico
lo sente quel silenzio fragoroso
nessuno ride più come una volta.
 
e=mc2
Pareti color trota affumicata anni ‘60
Sfera rotante squamospecchiata anni ‘70
Musica caraiboromagnola anni ‘50
Sedie e tavolini in simillegno fuxia anni ‘90
Lampade stroboemetiche anni ‘80
Ballerini quasi integralmente originali anni ‘40
Frasi senza tempo sguardi senza età
Il Moderno – Bar Danzante spazio-temporalmente relativo.
Faceva furore alla Romantica, quel tempo là.
La balera ormai è noiosa come il mare
tranne scorso mercoldì, che gli è venuto
un colpo al Dino biondo di Bollate
che hanno chiamato l’ambulanza e al volontario
gli è scappata di mano la barella.
Fortuna il morto era già morto
dalla sesta battuta di mazurca.
L’aveva inquadrato subito l’Olandese Volante:
un fisico da ballo del mattone
al più da valzer, ma il maschio resta alfa
anche da sapiens vuol strafare: la polka,
il cha cha cha, la mazurca fatale.
Doveva tributargli onore al merito
la fine fu spettacolare, quasi eroica.
‘Caduto con sprezzo del ridicolo
senso del ritmo e del dovere
lascia, sberluscenta e consolabile,
la compagna di una virata troppo brusca’
- Permette signorina? Gradirebbe un cordiale
per tirarsi su il morale, superare lo stremizzi?
Così fu, incantato molto lieta,
che s’incontrarono e lui
pensò che nel suo genere
l’Angelina era un goto di Murano,
preziosa, casuale e irripetibile,
algoritmo insoluto di pailettes.
 BAFFI
Delle quattro era stata la più bella
magari no, che importa
senza dubbio la prescelta (né pietà)
privilegio dei sopravvissuti
tutto un passato vasto e imprevedibile
davanti: la smemoria
gli altri pressati da un tetragono fendente.
Ringraziava un Dio che neanche lui
l’aveva mai creduta
per giorni di seconda mano ancora buoni
tanti e freddi e caldi e secchi e no
bastava avere l’accortezza di scordarsi
che erano vissuti e come e dove.
Le erano rimaste le conchiglie polite
dall’onda delicata piccola del padiglione
ammutolite a furia di cercarvi
il lamento del mare prigioniero
la risacca nel letto di suo padre
- tanti e Fallo! e buio e no -
Le notti da riempire di cose buone di bambine
la bambola coi capelli di crine vero di cavallo
e gli occhi azzurri che crollano a battente
che a volte non vedere è,
magari no, che importa.
Tutte quelle notti da riempire
stipare gli angoli, attutire i rantoli
adesso si poteva
tessendo i baffi a stormo dell’Olandese Volante.
 
COSMOGONIA
Nel suo sistema solare
fluttuano pianeti piatti
risonano che li senti
ronzare nell’azzurro
neniano nel nero.
- Angelina cara, sono le zanzare.
- No, lascia stare, il do è minore
lo stesso che c’è nelle conchiglie.
L’universo è un’Aporrhai Pesplecani.
- Avrei detto una cozza, mia Angelina,
sigillato, buio e senza cuore.
- Mytilus Galloprovincialis
ammanettato al bisso, no,
l’universo, amore, ti somiglia
valve spiegate e vola.
Sono la Venere che ha partorito una conchiglia
e dentro c’era un mondo scaramazzo
piovevano petali color del sangue
avevo dieci anni (o nove?) e poco altro
da poter nascondere o vantare.
Papà, gli rammentavo piano.
Ma in tanto buio non mi ha riconosciuta.
Verginità è uno straccetto di carne
esterrefatta memoria delle branchie
strappato via e via e
via come un dente sano
Se fossi solo un pezzo io
di carne solo un po’ più grosso
allora piangerei quel brandelluzzo
che non ho
ma io piango solo quel che sono

perciò rido.

 

- Prendimi, Olandese, fin dove c’è smemoria

 

nella navata splendo bianca sposa.

  
 
 
 

AMORE CARNALE

 

Davanti all’abat-jour Ikea con l’orlo a frange

 

16 watt gialli di cui 1 (2 magari)

 

si frange fra le sbarre dei suoi baffi

 

trichechi che le spazzano

 

un seno spensierato.

 

Uguali alla scopa di saggina della serva

 

sarda (o veneta?) di certo il ’48 (o il ’51?)

 

suo padre la inchiodava nello sgabuzzino

 

pure quella (né pietà)

 

ricordi di famiglia. Sua madre di serve

 

ne ha cacciate a frotte e con la pancia,

 

quante. Spargeva in casa dei biglietti bianchi

 

per suo padre, solo con la sua firma da sposata

 

che erano né troppo e neanche poco.

 

- Fermati, Olandese. Che i baffi sono sbarre

 

del cancello roco di salsedine

 

il ghigno rado del canniccio a mezzogiorno

 

sul tavolo di marmo apparecchiato

 

in mezzo al rosario delle sedie

 

cuscini di cintz stampato con le rose

 

lilla le nappine da tirare di nascosto

 

quante le cose da non far sapere.

 

Gli spaghetti erano grossi e al dente

 

le vongole morte delicatamente un tetto

 

che tintinna sotto i rebbi, sciacquavo con pietà

 

le valve unte e poi le custodivo

 

dentro una scatola di latta dei biscotti.

 

Avevo un prendisole azzurro e un’ametista

 

appesa ad una catenina. Prendimi, Olandese!

 

Fin dove c’è smemoria sono bella.

 
 
 
 

LA BALIA

 

Si rivolta la pelle smeraldina

 

- Attenti a non bruciarvi col latte de’ piccioli -

 

e appare impavida la chioma di Medusa

 

dolce da risucchiare con labbra occhiute

 

a culo di gallina

 

e scricchiola e schiocca

 

appena sotto i denti

 

ricordo granuloso.

 
 

Conservano le donne

 

capelli corti sotto i fazzoletti

 

e il sangue mestruale che toglie le verruche.

 

- Non ne mangiare troppi che i fichi in questi giorni

 

sono calorosi. Ti vengano le bolle nella bocca.

 

E attenta alle vespe che è il periodo questo

 

che son più velenose.

 

Inarrivabili le sere dell’estate

 

- Vieni che si mette i peperoncini

 

su’ fagioli secchi e le patate

 

tengan lontane le farfalline.

 

Dopo non ti toccare l’occhi

 

che l’ultimi son come foco.

 

I pomeriggi tronchi dell’inverno

 

che il tempo va scialato

 

e allora ascolteranno alla radio le notizie

 

e i radiodrammi.

 

- Son tutte bischerate, ma che vole,

 

fuori l’è buio. Tengan compagnia.

 

Come nella canzone popolare che non sanno

 

‘Lune la fune

 

Marte le scarpe

 

Mercole le nespole

 

Giove le ove

 

Venere la cenere

 

Sabato il soprabito

 

Festa la vesta

 

e sempre così sarà…’

 
 
 

INVERNO

 

L’inverno senza neve è una roba moderna

 

toglie senso ai lampioni e al vino rosso

 

ché la luce esiste solo nelle fenditure

 

accucciata nel bicchiere, nelle ombre.

 

L’inverno senza neve è una roba dopoguerra

 

mette in ansia i piedi a cercar degli interessi

 

ché l’andare ha senso solo nelle orme

 

e a riguardarle dopo, ripercorrerle

 

che qualche volta può aiutare anche

 

porcogiuda!

 

pestare in strada merde di cane molli.

 

E’ l’inverno del suicidio di massa dei lampioni

 

sciopano le lampadine quattro a quattro

 

che paiono chicchi d’uva bianca offesa

 

che il contadino l’ha dimenticata sulle vigne.

 

Gli inverni senza nebbia sono una cosa del mondo globale

 

invece non c’è niente di scontato nella bruma

 

neanche il davanti

 

e il dietro

 

che oggi sembra uguale se sei un negro o un bianco

 

come se io quel tempo là non ero un cameriere

 

solo perché ero l’Olandese Volante e alle sciure

 

modestamente, ci piacevo.

 
 
 

 BAR

 

La saracinesca è prugna a prova di ladro

 

sempre a trovare il ladro che ci prova.

 

Elenco dei beni da sottrarre: 2 bottiglie di amaro

 

al misto d’erbe digerenti di montagna ignota,

 

½ bottiglia di Vecchia Romagna Etichetta Nera

 

metà atmosfera, chi si accontenta gode,

 

1 preparato analcolico per punch con il sigillo

 

intatto, al gusto di pastiglia Valda

 

per chi non ha memorie brutte da annegare.

 
 

Dove lavorava lui quel tempo là

 

c’erano uischi torbati e cògnac di gran marca

 

martini molto drai con un’oliva pucciata

 

che li avevano imparati a bere da quella moretta

 

quella stemegna secca come una cedrata

 

che a lui – credimi, Angelina – non gli era mai piaciuta

 

a lui gli piacciono le donne vere

 

come la Lollobriggida, la Sofia Loren

 

- che poi in realtà, Angelina, si chiama Scivolone –

 

quelle con la sua giusta carne sulle ossa.

 

- Ora mi vedi così, ma da ragazza…

 

Che a starci proprio attenti sotto il fondotinta

 

il fard la cipria forse era arrossita l’Angelina

 

stretta nelle sue carni scivolate sottosopra

 

- Avercene di donne come te nella televisione

 

- Olandese? Ci possono vedere…

 

E sollevare ère di mascara con malizia

 

sembrava un’orogenesi tettonica.

 

- Lasciali guardare. Che crepino d’invidia!

 

La carezzava sulle chiome color stoppia

 

che quel colore a lui l’ipnotizzava

 

che mai l’aveva visto su creatura umana.

 

Calavano le palpebre allusive

 

sipari glitterati di aurore boreali in turbolenza.

 

- Olandese, adesso andiamo a casa

 

per pranzo ci arrivano i ragazzi.

 

Da quarant’anni di smemoria o giù di lì

 

sono la madre premurosa dei tuoi figli.

 
 
 

PRIMO REGALO: IL CANE

 

Salve, ho chiamato ieri, per il cane.

 

G’ho il fiatone, che da vecchi il mondo

 

a leggerlo rimpicciolisce

 

ma camminarlo non finisce mai.

 

L’è che ci allenano al distante

 

per quando guarderemo giù dal paradiso.

 

Lei capisce che mistero? Non lo sa… vabbe’

 

L’Angelina aveva un gatto che di nome faceva

 

Mandarino pur che era nero come un belzebù.

 

Adesso che è morto e non se ne consola

 

(l’ha dovuto far deprimere, era terminato di tumore)

 

le regalo un cane, così non le ricorda il Mandarino,

 

non fa continuamente paragoni.

 

Cosa dice faccio bene? Non lo sa… vabbe’

 
 

L’è questo, fatto su prendendo i resti

 

dei cani più brutti che c’è al mondo?

 

E’ proprio perfetto per la mia Angelina.

 

Ha tanto vissuto – andata e ritorno –

 

che non sa sputar condanne. Ha dimenticato

 

tanto - ritorno e andata –

 

e senza rancore non è mica perdono.

 

Non si pecca per intenzione

 

ma per eccesso di vuoto.

 

Lei è d’accordo? Non lo sa…

 
 

Vabbe’. Il cane di nome farà Scarpa

 

perché è troppo piccolo e poi puzza

 

e ha i peli tutti ritti sulla crapa

 

che sembrano una nappa.

 

Eh, le scarpe marroni di capretto che portavo

 

quel tempo là, quando espatriavo

 

e andavo alla Romantica a ballare.

 

Erano così folte le nappine

 

che le dichiaravo alla dogana.

 

… vabbe’…

 

Parlare con lei è inutile come

 

cercare la pietà in un buono.

 

Il prezzo dell’amore alla Romantica

 

al minimo era il ballo, oppure franchi o lire

 

dipendeva dal cambio dei valori.

 

Le donne di giorno le maltrattano

 

la notte son tutti dentro i loro letti

 

l’amore è una coerenza all’incontrario

 

e la corrente spesso si attorciglia

 

pesci compresi che non ne hanno voglia.

 

Senta, ma il cane è già castrato, vero?

 

Scommetto che non sa.

 

Bon. Qui, Scarpa! ‘ndem, che l’Angelina

 

al minimo ti dà qualcosa da mangiare.

 
 
 

 SECONDO REGALO: IL VIAGRA

 

Si limitava a giacere quietamente

 

nella sua innocua azzurrità

 

romboidemente azzurro come

 

il fiocco dei neonati sui portoni

 

il grembiule all’asilo delle suore

 

una virilità ingenua di facciata

 

non fomentava alcuna meraviglia.

 

Per l’Angelina ingoierebbe rospi

 

vivi, che cosa sarà mai una pastiglia?

 

Si aspettava un gusto d’anice o di cielo

 

invece no, esattamente come

 

le candide pasticche per la prostata

 

non sapevano di nuvola o mitezza.

 

Inghiotte

 

si distende sopra il letto

 

con disciplina di suicida

 

aspetta.

 

Tra un po’ comincerà a vedersi nella testa donne nude

 

che fanno le porcate. Una volta si usavano i giornali

 

con le foto, oggigiorno è tutto virtuale,

 

che poi dove starà questa virtù, quel tempo là

 

era peccato anche immaginare

 

tre Ave e quattro Pater, peccato in pensieri

 

parole opere e/o missioni

 

che questa non l’aveva mai capita

 

apposta per tenori e/o militari

 

in aggiunta e/o in alternativa.

 
 

E’ un vento senza vela

 

pali telefonici senza parole

 

nessuna donna, ferma o in movimento,

 

all’Olandese sfugge il senso

 

del successo dell’operazione.

 
 

L’Angelina, Vergine Policromissima

 

della Pala dello Stipite

 

sta

 

e con lei Scarpa

 

contegno di vestale consacrato

 

della dea Rinfusa.

 

Il sublime mette soggezione a usarlo

 

potendo andrebbe tramandato sui papiri.

 

- Angelina, sarebbe come fare una grigliata

 

sul fuoco del braciere alle Olimpiadi.

 

- Olandese, tutto passa. Si attende con

 

pazienza che il paesaggio si reincarni.

 

- Mi sembra che sia lui

 

che aspetta che passiamo.

 

Hänsel e Gretel nell’antro della strega

 

le corse dei draghi in extraurbana

 

ridotte le notturne ogni trequarti d’ora

 

binari inferociti spezzano la contemplazione

 

nel buio li vedresti sussultare sette volte.

 

Principiano le palpebre da sera di Angelina

 

a sfavillare sotto il primo raggio

 

del sole sghembo di febbraio.

 
 

- Silenzio! Quale luce irrompe da quella finestra lassù?

 

È l'oriente, e Giulietta è il sole.

 

Sorgi, vivido sole, e uccidi l'invidiosa luna,

 

malata già e pallida di pena

 

perché tu, sua ancella, di tanto la superi in bellezza.

 

Non essere la sua ancella, poiché la luna è invidiosa -

 

recita sottopensiero l’Angelina.

 
 

- Nel secondo cassetto c’è la macchinetta.

 

Si mette il tempo che si vuole e scatta.

 

Il punto di vista del piano del comò.

 

Clic. Il fuoco sulla carne e loro

 

brumosi sullo sfondo, stupefatti

 

con la mano fanno ciao.

 
 
 

 PRIMAVERA

 

Tenta la fuga avviluppata

 

all’ambizioso Phaseolus vulgaris

 

timide avvampano nel sole

 

le guance acneiche di Fragaria vesca

 

avanzano le frange della resistenza

 

falangi oplitiche di Agropyrum repens

 

grande maestro corruttore guizza

 

l’Humulus lupulus mimetizzato nelle squame.

 
 

Soccombono sfinite ai loro nomi

 

erbe tanto parche e delicate

 

se ne va così la primavera

 

rassegnata

 

piangendo i figli teneri sacrificati in guerra.

 
 

Spruzzi di Taraxacum officinale e Mentha

 

Anthemis nobilis settimanalmente decollata

 

da falciatrici stridule che si accaniscono

 

su capolini trepidi serrati nel terrore

 

fino al rogo finale d’apice d’estate,

 

si vendicherà allora con postumo omicidio

 

su un mangiatore incauto di Conium maculatum

 

rimpiangendo Socrate l’estimatore

 

che lo sorbì con gusto facendosene una ragione.

 
 
 

TERZO REGALO: LA BAMBOLINA BASCULANTE

 

Bascula la bambolina sulla superficie

 

nel punto d’equilibrio 

 

come miracolo di radice sottile.

 

Non fosse per quel ventre foderato a piombo

 

rotolerebbe senza méta o gambe

 

senza braccia sopra e sotto uguale

 

un fesso tintinnio ad eco mozza

 

che non esclama o interroga né osa.

 

Un fazzoletto di smalto sui capelli di vernice

 

lontana vicina lontana vicina

 

alla terra la bambolina bascula

 

ma sotto il grembiale cova il peso delle assenze

 

svoltata una curva in ombra

 

il resto è tutto in levare.

 

Ostinato il carminio netto del sorriso 

 

a cuore in mancanza di unghie per raschiare 

 

via a misura esatta di un dolore.

 
 
 
 

 L’APPARTAMENTO

 

Da sinistra a destra

 

la pelliccetta, il cappottino

 

col collo di volpe Siberiana,

 

l’impermeabile con sfondo piega

 

foderato in lana difenderà dal freddo

 

chissà però che al sole

 

un poco di tepore, forse

 

- tutto anni ’60 -

 
 

Da destra a sinistra

 

la foto del papà nella cornice doppia

 

come lui,

 

le povere sorelle mancate così presto

 

già da vive,

 

la mamma incredula rimorta, le prozie zitelle,

 

tutti trapassati sul ripiano a intarsio

 

del tavolino equidistante

 

dal momento in cui era stato

 

pezzo d’arredamento fiero.

 
 

Dei rimanenti le foto sono tre,

 

sopra il trumò, in una lei sorride,

 

in una è seria, in una è giovane

 

- le piace ricordarsi anni ’60 -

 
 
 
 

 RICORDI

 

Una casa grande col giardino

 

pieno di rose inglesi e rododendri

 

accesi i caminetti sempre

 

ciotole di fiori secchi e di bonbon

 

sui tavolini.

 

Sua nonna aveva un cameriere

 

che le serviva la colazione a letto

 

e un cane pechinese bianco

 

coi nastri turchesi sulle orecchie

 

- che sembrava proprio un deficiente -

 

e lei di nascosto lo calciava forte

 

sul sedere ossuto - che se lo meritava -.

 

Si sussurrava di roulette e di cavalli

 

la nonna e la madre nei divani corrugati

 

tenacemente si taceva quella macchia.

 

All’Elvira, che rifaceva i letti,

 

si ammanniva: l’Angelina è precoce

 

un chiodo nel bicchiere e il vino rosso

 

un dito ad ogni pasto, solo un dito

 

è ancora una bambina.

 

L’aveva colta fuori dal sentiero

 

un uccellino al laccio con le zampe rotte

 

e quello strazio sarebbe stato causa

 

sufficiente per sottrarsi a un mondo

 

dove il senso del bene è il male

 

e viceversa.

 

Si vendevano i vitelli svezzati al macellaio

 

era d’agosto, per tre notti e tre giorni,

 

la vacca chiamò il figlio

 

una bestia quasi umana

 

o viceversa.

 

La sezione aurea di mille Partenoni

 

non metterebbe in squadra

 

quest’unica ingiustizia.

 

- Siamo la scommessa di Dio, Olandese,

 

di cosa ci vantiamo?

 

Ho doppiato il capo della smemoria

 

e se c’è stato c’è

 

lo prova il calendario, lo capisci?

 
 
 

QUARTO REGALO: LA GITA FUORI PORTA

 

Voglio un viottolo nell’erba

 

che abbia il fiato bambino

 

di timo limone e menta

 

fitto di borraggine e di tarassaco

 

che neanche le chiocciole

 

debbano morir di stenti.

 

Voglio che finisca solo

 

dove comincia un mare

 

con gli scogli incrostati di patelle

 

e il grido che si sente

 

prima del tuffo del gabbiano.

 
 
 
 
  GENESI
 

Solo la terra respirava fonda gorgogliando

 

a vortice nella crepa del soffietto spalancato

 

tra le mani intonate di Dio. Solo lei a rimestare

 

scaglie e mari nel bussolotto di una notte

 

che si adagiava a sbrindellarsi in albe tonde

 

borborigmi di pianeti per orecchie grossolane.

 
 

Mutosordo sonnecchiava il Nautilus, orgoglioso

 

delle stanze, l’ultima colmata senza esitazioni

 

né rimpianti per le camere di prima sigillate

 

lasciatasi alle spalle la conchiglia

 

che contiene contenuti contenuti

 

come nel vecchio l’uomo e

 

il bambino e il neonato

 

e il seme.

 
 

Eppure qualcuno ci fu talmente solo

 

da voler sentire se risposta ci sarebbe

 

e allora si ritaglia gola bocca e denti

 

così curioso da procacciarsi sguardi

 

squarciandosi la pelle della faccia

 

tanto ansioso di percorrere da squartarsi

 

in due la coda per un quasiasi dove a piedi.

 

- Sta’ attenta, Angelina, che la vita asciutta

 

primitiva l’ha inventata tutta una portiera.

 
 
 
 

 LA CANNA DI GIMMI L’INDIANO

 

Lo pagano per non avvicinarsi

 

i clienti con la spussa sotto il naso

 

ma anche lui el g’ha le sue virtù

 

e nel suo genere è un professionista.

 

Sa leggere i fondi dei bicchieri

 

dopo che li ha svuotati

 

e le briciole dei panini, meglio

 

se bei ripieni di bologna coi pistacchi.

 

Lo pagano per andare a casa della gente

 

quando ci sono dei gattini podalici

 

che lui sa essere delicatissimo

 

pur che g’ha le mani come due badili

 

che per di più tremano di assenza.

 

- Vieni qui a leggerci il futuro!

 

Vedrai, Angelina, se l’è bravo

 

che lui è incastrato nel passato

 

degli anni Settanta e i capelloni

 

eppure è qui nel bar adesso

 

e allora è anche nel domani, lo capisci.

 

- Namaste, sono Gimmi l’Indiano.

 

Con l’Angelina si scrutano a rimbalzo,

 

lo sguardo ammirato dell’intenditore

 

cultori dello straordinario della vita

 

instabili sullo stesso anello orbitale

 

è dalla nascita che fanno il giro largo.

 
 

A leggere i fondi dei panini, due,

 

offre l’Angelina, Gimmi l’Indiano

 

resta senza fiato e geme piano

 

da non farsi sentire, ma l’anello trema

 

slitta l’orbita e l’Angelina

 

senza più appoggio sviene.

 
 

La sollevano l’Indiano e l’Olandese

 

ma lei lo sa che ha una biglia nera

 

proprio vicino al cuore che la trattiene

 

e la calamita giù verso la terra cupa.

 
 

Gimmi l’Indiano pensa ai gattini ciechi

 

che ha fatto nascere di piedi e se avessero

 

aperto gli occhi avrebbero lo stesso sguardo

 

impossibile e puro che ha dentro l’Angelina.

 

- Per una volta offre Gimmi l’Indiano!

 

e gira in bilico sempre più incerta tra le dita

 

dolce la sigaretta gonfia che profuma d’altrove

 

e che raddrizza l’orbita lontanissima dei vinti.

 
 

 

CHIOSE DELL’ANGELINA FUMATA

 

Ho sbirciato il notes di Dio

 

e ho scialato mille oh! e aah!

 

per le cancellature, la prosa sciatta

 

i versi puerili a rime baciate

 

per questo sono

 

qui, reggo sottobraccio un’altra Bibbia

 

fatta di chiose, frasi scartate

 

con una riga dritta una crocetta al margine

 

freccine promemoria.

 
 

Mi piacciono ora rieditate da me

 

soterica mortale, riscritte in bella copia

 

non la Verità solita piuttosto il Dubbio

 

tra una riga e quella che la segue

 

è la riga cancellata il dubitato di Dio

 

è pericoloso il verbo suo

 

è vita

 

e pure nostra

 

è penoso alquanto essere Dio.

 
 

Ho sbirciato il notes di Dio e siamo qui

 

nevi di maggio mutazioni pensierose

 

dal cielo manne bombe intelligenti rane

 

e ci è toccato inventarci                                           

 

gli ombrelli con le nostre mani.

 
 
 
 

 UNA VITA (LUI)

 

Mio padre pur che tazzava a tempo perso e guadagnato

 

era sempre più assetato di cento beduini nel deserto

 

che oggi li chiamano alcolisti e sono anonimi ma lui

 

quel tempo là di nome faceva Baldo Patata ül Ciuchetun.

 

Ero un fioeu che a messa stavo ancora

 

con la mia mama nella fila delle donne

 

le sue sorelle e le cugine coi fulàr neri;

 

le sciure nei banchi con la targa in primafila

 

coi fulàr di pizzo che erano fin anche grigi

 

ali di farfalla lievi senza cappio sui capelli puri

 

i loro uomini dall’altro lato, i cappelli sui sedili

 

masticavano preghiere mute con lo sguardo

 

alto al crocefisso, da pari a pari.

 

Intorno all’acquasantiera in piedi i giuvinot

 

i berretti a stropicciarsi tra le dita screpolate

 

e dopo il bar.

 

L’acquasanta per segnarsi me la pioveva la mia mama

 

distendendo ruvide le dita a sgocciolare dentro la mia mano

 

becco d’uccellino spalancato nominepadrifiglispiritussanti

 

Amen

 

Alla messa quel tempo là finiva tutto in es e us

 

e a non capire c’era più rispetto che troppa confidenza

 

toglie la riverenza.

 

Il podestà lasciava il paiolo della polenta

 

fuori dalla porta pieno d’acqua a sollevare

 

come isole le croste d’oro gremato che loro

 

le buttavano, ma le legnate se ti catavano

 

a pescarle con le mani, la merenda.

 
 

La mia mama è morta quel tempo là

 

forse soltanto di fatica, la stufita di

 

penare su ‘sta terra. L’ho perdonata valà.

 

Che gliel’aveva detto anche il dottore,

 

un mangiapreti con la barba bianca

 

che ai miserabili li curava agratis

 

senza far parere e tutto nell’insieme

 

gli altri sciuri lo guardavan male.

 

- Baldo, basta figli. Non ce la fa più.

 

Un po’ di autocontrollo, non sei un animale.

 

A parte l’ottimismo del dottore, il fatto

 

l’era che non sapevi mai a chi parlavi:

 

al Baldo o al Ciuchetun, che poi comunque

 

quela pora dona c’aveva il Ciuchetun

 

di notte dentro il letto.

 

La mia sorella Lina è rimasta a far da serva

 

ai miei fratelli e al mio papà. È morta vent’anni fa

 

nel suo silenzio che non l’ho più rivista.

 

A me mi han messo all’istituto dei padri

 

che non ne voglio parlare. Sono andato via

 

a quattordici anni con una mano sul davanti

 

e una specialmente sul didietro.

 

A fare l’operaio si campava male e via.

 

Si sbarcava a Zurigo da un treno bestiame

 

coi teroni e avevi un bel dire che te eri diverso

 

da quelli lì le loro soppressate i cacicavalli

 

nello scatolone legato con gli spaghi, che eri

 

del settentrione. Perché per quei crucchi maledetti

 

ho capito che ero io il loro terrone, che il nord

 

è mica un punto fermo, ma si muove verso l’alto.

 

Quando ci parlavano ci capivo anche di meno

 

che alla messa e anche lì, senza misericordia.

 

Ho fatto il muratore, ma ero un tipo fine.

 

Cercavano dei camerieri al ristorante

 

e siccome che c’avevo la presenza

 

italiana che piaceva – chi disprezza ama –

 

mi hanno ciapato subito e poi uno svizzero

 

mica si trovava e a me mi facevano la paga

 

di straniero, che avevano inventato già

 

tutte le ingiustizie fin dal tempo di Adamo:

 

il fatto è che l’uomo resta primitivo

 

anche senza clava e si nasconde dietro

 

la cravatta come dietro il cespuglio

 

dopo che ha ciulato il pomo.

 

Certi dicevano che era umiliante

 

fare il cameriere, meglio l’operaio

 

o il muratore, invece al ristorante

 

ci serviamo uno dell’altro per mangiare

 

e se permetti son soddisfazioni.

 

Sono tornato esperto di buone maniere

 

e lavoravo in un locale di gran lusso,

 

quel tempo là ci veniva anche il Bramieri,

 

bungiur madàm, gutenaben froilain,

 

follomì mister ior teibol.

 

Angelina, perché ridi? Forse c’hai ragione.

 

Son stracco che non mi reggo in piedi.

 
 
 
 
 

 UNA VITA (LEI)

 

Di nuovo i coriandoli di luce fremono dietro l’iride

 

quando le dita ripassavano a lungo, troppo il peso,

 

sugli occhi le bambine.

 

E il sole rosso sangue ardente sotto la cortina

 

delle palpebre serrate, il viso proprio verso l’alto

 

dei cieli dove si nasconde Dio, si fa a chi resiste

 

di più, è prova di coraggio.

 

Perché c’è sempre qualcosa che rimane

 

anche ad occhi chiusi, la faccia fuori squadra,

 

la mascella pendula e il bianco dell’occhio

 

rovesciato dentro, dove lei non c’era e neanche fuori

 

coi suoi pezzi inutili agganciati tutt’attorno

 

al necessario, il sufficiente pur se piccolo.

 
 

Ha la luce testarda, quello che si vede ad occhi chiusi,

 

del fuoco di fornace, della fiamma ossidrica

 

la tenacia a rimanerti addosso quando è già finita,

 

dopo che ti sei alzata sui dubbi delle piante dei piedi,

 

prudente hai saggiato le fughe al pavimento,

 

rancore e vendetta sono luoghi angusti

 

per l’umiliazione e l’odio, chiedono cielo aperto

 

e senti cigolare il sangue mentre scorre

 

insozzato e senza scampo nelle sue vie

 

da sangue, nel suo destino da sangue,

 

nel suo soffio da sangue rassegnato.

 

E il dolore resinoso s’inceppa nelle vene

 

svolta agli angoli smussati delle ossa

 

nelle unghie che tutto lo contengono

 

condensato in millimòli nelle cellule nodose

 

che nascono muoiono nascono vivono

 

incuranti della nostra morte, forse

 

vorrebbero essere rese più partecipi

 

del battito cardiaco, del ronco e il rantolo,

 

l’espansione alveolare, la minzione,

 

di ogni morte minima, di forfora

 

o radice, per imparare a gradi a riconoscere

 

la morte intera quando viene e smettere

 

insensate di allungarsi verso le inscalfibili

 

pareti delle bare.

 

Il dolore si recide col tronchese dorato d’oro vero,

 

le forbicine a punta tonda per le dita – solo quelle –

 

delicate di bambina, poi la lima ad addolcire. Ricrescerà.

 

Aveva preso da quella sera in poi la decisione

 

- una fissazione bislacca, si diceva in casa –

 

di conservare quei cristalli di cordoglio, foschi diamanti

 

taglio a mezzaluna. Nei pomeriggi dedicati al cucito

 

confezionò un sacchetto di velluto neronotte

 

strangolato da un nastrino perbene biancolatte.

 
 

Dio era una donna sui cinquanta col caschetto corvino

 

e occhi rari colore lapislazzulo che rinfrescava la memoria

 

sul creato gettando occhiate incredule alle linee delle mani.

 

Nel carrozzone aveva stretto un patto con quell’Angelina piccola

 

assonnata nonostante tutto e anche il sangue che l’appiccica

 

le sembra dappertutto.

 

- Mai riguardare nel sacchetto e salva avrai la vita –

 

la voce era un po’ acuta, la pronuncia impostata tranne

 

una e aperta, forse pugliese o di Milano forse dei Balcani.

 
 

Dal lago fermo rivestito d’oche candide

 

una soltanto spiega le ali per levarsi in volo

 

un lieve palpito impossibile dell’acqua

 

in onda lunga rotta dalle zampe a centinaia

 

il vuoto si richiude breve sullo scandalo rotondo

 

della fuga. Mo nun ce amammo cchiù,

 

ma ê vvote tu, distrattamente, pienze a me.

 

Stretto, più stretto il cordone, Angelina.

 
 

L’Olandese non poteva sapere che nulla

 

è come sembra, Dio o unghia o cielo di sera,

 

che l’Angelina il figlio l’avrebbe tenuto

 

anche senza soldi o una ragione savia,

 

ma il sangue del suo sangue del suo sangue

 

il cuoricino piccolo aveva ceduto al vortice.

 

Stretto, più stretto il cordone, Angelina

 
 

L’Olandese non poteva sapere che fare la vita

 

è come andare in giostra alla velocità sbagliata:

 

le facce si sbaffano come sfregare la vernice fresca

 

le voci si squagliano e sminuzzano nella caduta,

 

è indispensabile stare sulla traccia

 

sala – scala – camera da letto

 

negligè rossetto ombretto acqua di rose

 

dire fare baciare s’ingrossa la smemoria.

 

Stretto, più stretto il cordone, Angelina.

 
 

L’Olandese non poteva sapere che innocenza

 

è quello che sta fuori dal sacchetto.

 

Stretto, più stretto il cordone, ma ogni nodo

 

si scioglie alla fine con pazienza.

 

Angelina, mia Pandora, a rimirare quelle mezzelune

 

di esistenza tollerata solo grazie alle cesure regolari.

 

Cheratinizzazione del dolore, meccanismo di difesa

 

come altri solo meno usuale di una rimozione

 

uno spostamento una formazione reattiva

 
 

L’Olandese non poteva sapere che

 

c’era una foresta inesplorata

 

in mezzo ci viveva una tribù

 

tra loro nuda e spensierata

 

la donna più bella del mondo

 

dormiva. Ora non più.

 

Il cordone, il cordone è per terra, Angelina.

 

- Esca di scena per prima la smemoria! –

 

La pronuncia impostata tranne la e aperta

 

che resta il dubbio sia pugliese o di Milano

 

forse dei Balcani.

 

- Sono vecchia, Olandese, incestuosa e puttana.

 

Devo andare, ma tu aspettami, Olandese.

 

La vita prossima sarò io a uscire dai tuoi fianchi.

 
 
 

IN BOLLETTA

 

Angelina, ti racconto questa storia.

 

Da bambino ero così in bolletta

 

che collezionavo nuvole e tramonti

 

ma il più avido di tutti l’era il Gianni

 

che risparmiava il sonno e a giugno

 

raccoglieva l’alba dei solstizi.

 

Aveva la testa piccola e compatta

 

giusta per consevarci poche robe rare:

 

i ricci rossi della mamma morta

 

nella città piccola sul mare e le scarpe

 

di suo nonno e la sua testa, gli occhi

 

aperti ancora dopo tante bombe,

 

la bambola di pezza intatta al centro

 

e intorno la sorella, i vasi rotti

 

e quelli no.

 

‘Facciamo finta di non esserci mai stati!’

 

ma a quel gioco lì nessuno ci giocava.

 

‘Io sono già una nuvola – diceva -

 

che niente mi trattiene al suolo!’

 

Teneva sempre un sasso in ogni tasca

 

cocci della sua casa di famiglia

 

‘o il vento mi solleva e mi sfilaccia’

 

Giocava a nascondino tutto solo

 

ma non s’andava mai a cercare

 

‘Così non vale!’ se vusava contro,

 

era che gli piaceva di contare: uno

 

due… trentacinque… centosette

 

da qualche parte si nascondeva l’infinito.

 

Tana per la morte!

 

Ha cercato una ragazza con i fianchi larghi

 

e solidi polpacci. Muccala, Gianni!, gli ripeteva.

 

E l’ha sposata che lui la venerava ed era la sua vita.

 

Però l’amore, Angelina, è un’altra cosa.

 

Quello che puoi farne senza

 

finché arriva. E dopo più.

 

Se permetti, Angelina, ti accompagno.

 
 

LA PREGHIERA DEGLI AMANTI

 

Nel letto sono un nodo che ha smesso di aspettare.

 

Ripensano che questo è un gran bel mondo per morire.

 

E tu, se vali un milionesimo delle preghiere

 

che hai preteso e le crociate, prendili ora

 

che non ce n’è di lacci da slacciare.

 

Amen.

 
 
 

EPILOGO (DI FRETTA PER L’ODORE)

 

“In un appartamento zona centro, i vigili del fuoco e quelli urbani hanno rinvenuto una coppia di anziani in avanzato stato di deterioramento. Il fetore ha allertato i vicini.

 

Le nostre città sono alveari senza cura alcuna per i rapporti umani”

 
 

Della felicità dei morti

 

nessuno se ne avvede.

 




Elena Spagnoli Fritze
Elena Spagnoli Fritze vive a Como. Si è occupata di marketing, pubblicità e relazioni esterne. Attualmente è traduttrice di narrativa dall’inglese.




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