L’OLANDESE VOLANTE Elena Spagnoli Fritze
PROLOGO
Rivivere reclama più tempo ogni mattina
ché viene il momento delle notti concise
a finire i discorsi sospesi con amici e
familiari trapassati invadenti
e ti accorgi che li porti. Il peso
del midollo si trasmuta in piombo
che pare lieve al confronto
il pensiero pure greve delle cure.
Mai si muore repentinamente
caso mai per sbaglio
negli altri casi per il troppo pieno.
MODERNITA’
Era stato un cameriere elegante quel tempo là
che il suo soprannome era l’Olandese Volante
senza ali e neanche Olanda, ma che importa
l’importante era l’impressione che faceva
sui clienti e sulle donne specialmente
e che mance! Che notti, non ne pativa stenti
allora, ora invece che sono intelligenti ‘fin le guerre
sterili sottovetro e i morti marmellate
che ci sono date di scadenza per la gente e
per le mozzarelle, le patate, ‘fin gli sciampi
e un tubo nel sedere e uno nel naso
ci legano alla terra che non se ne può andare
più nessuno, allora prega un Dio che non ci crede
che se lo pigli adesso, che non ne ha
di lacci da slegare.
RISVEGLIO
Dal letto in libera caduta
e pattinare fino al gabinetto
e il tirassegno del biscotto bisecco dentro il caffelatte illiberale
e l’acrobazia nel pedalino viscido e sgusciante
e tuffarsi in pantaloni a troppe gambe semoventi
e ciecamente incantare al suo volere la cintura
e pattinare fino al panettiere
e prestidigitare stente monetine tutte uguali
e dalle fauci postali estarre la pensione
e pattinare fino al suo portone
- o è di qualcun altro? Se prende chi li scambia… –
e aggrapparsi al trapezio della scala stretti
e i salti mortali doppi di pane e latte
e il tirassegno della chiave nella toppa
e proprio all’ultimo precipitare nella poltrona senza rete
e l’applauso forte dopo lo stupore
e quello scemo del pagliaccio perso
chissà dove che anche l’ipoacusico
lo sente quel silenzio fragoroso
nessuno ride più come una volta.
e=mc2
Pareti color trota affumicata anni ‘60
Sfera rotante squamospecchiata anni ‘70
Musica caraiboromagnola anni ‘50
Sedie e tavolini in simillegno fuxia anni ‘90
Lampade stroboemetiche anni ‘80
Ballerini quasi integralmente originali anni ‘40
Frasi senza tempo sguardi senza età
Il Moderno – Bar Danzante spazio-temporalmente relativo.
Faceva furore alla Romantica, quel tempo là.
La balera ormai è noiosa come il mare
tranne scorso mercoldì, che gli è venuto
un colpo al Dino biondo di Bollate
che hanno chiamato l’ambulanza e al volontario
gli è scappata di mano la barella.
Fortuna il morto era già morto
dalla sesta battuta di mazurca.
L’aveva inquadrato subito l’Olandese Volante:
un fisico da ballo del mattone
al più da valzer, ma il maschio resta alfa
anche da sapiens vuol strafare: la polka,
il cha cha cha, la mazurca fatale.
Doveva tributargli onore al merito
la fine fu spettacolare, quasi eroica.
‘Caduto con sprezzo del ridicolo
senso del ritmo e del dovere
lascia, sberluscenta e consolabile,
la compagna di una virata troppo brusca’
- Permette signorina? Gradirebbe un cordiale
per tirarsi su il morale, superare lo stremizzi?
Così fu, incantato molto lieta,
che s’incontrarono e lui
pensò che nel suo genere
l’Angelina era un goto di Murano,
preziosa, casuale e irripetibile,
algoritmo insoluto di pailettes.
BAFFI
Delle quattro era stata la più bella
magari no, che importa
senza dubbio la prescelta (né pietà)
privilegio dei sopravvissuti
tutto un passato vasto e imprevedibile
davanti: la smemoria
gli altri pressati da un tetragono fendente.
Ringraziava un Dio che neanche lui
l’aveva mai creduta
per giorni di seconda mano ancora buoni
tanti e freddi e caldi e secchi e no
bastava avere l’accortezza di scordarsi
che erano vissuti e come e dove.
Le erano rimaste le conchiglie polite
dall’onda delicata piccola del padiglione
ammutolite a furia di cercarvi
il lamento del mare prigioniero
la risacca nel letto di suo padre
- tanti e Fallo! e buio e no -
Le notti da riempire di cose buone di bambine
la bambola coi capelli di crine vero di cavallo
e gli occhi azzurri che crollano a battente
che a volte non vedere è,
magari no, che importa.
Tutte quelle notti da riempire
stipare gli angoli, attutire i rantoli
adesso si poteva
tessendo i baffi a stormo dell’Olandese Volante.
COSMOGONIA
Nel suo sistema solare
fluttuano pianeti piatti
risonano che li senti
ronzare nell’azzurro
neniano nel nero.
- Angelina cara, sono le zanzare.
- No, lascia stare, il do è minore
lo stesso che c’è nelle conchiglie.
L’universo è un’Aporrhai Pesplecani.
- Avrei detto una cozza, mia Angelina,
sigillato, buio e senza cuore.
- Mytilus Galloprovincialis
ammanettato al bisso, no,
l’universo, amore, ti somiglia
valve spiegate e vola.
Sono la Venere che ha partorito una conchiglia
e dentro c’era un mondo scaramazzo
piovevano petali color del sangue
avevo dieci anni (o nove?) e poco altro
da poter nascondere o vantare.
Papà, gli rammentavo piano.
Ma in tanto buio non mi ha riconosciuta.
Verginità è uno straccetto di carne
esterrefatta memoria delle branchie
strappato via e via e
via come un dente sano
Se fossi solo un pezzo io
di carne solo un po’ più grosso
allora piangerei quel brandelluzzo
che non ho
ma io piango solo quel che sono
perciò rido. - Prendimi, Olandese, fin dove c’è smemoria nella navata splendo bianca sposa. AMORE CARNALE Davanti all’abat-jour Ikea con l’orlo a frange 16 watt gialli di cui 1 (2 magari) si frange fra le sbarre dei suoi baffi trichechi che le spazzano un seno spensierato. Uguali alla scopa di saggina della serva sarda (o veneta?) di certo il ’48 (o il ’51?) suo padre la inchiodava nello sgabuzzino pure quella (né pietà) ricordi di famiglia. Sua madre di serve ne ha cacciate a frotte e con la pancia, quante. Spargeva in casa dei biglietti bianchi per suo padre, solo con la sua firma da sposata che erano né troppo e neanche poco. - Fermati, Olandese. Che i baffi sono sbarre del cancello roco di salsedine il ghigno rado del canniccio a mezzogiorno sul tavolo di marmo apparecchiato in mezzo al rosario delle sedie cuscini di cintz stampato con le rose lilla le nappine da tirare di nascosto quante le cose da non far sapere. Gli spaghetti erano grossi e al dente le vongole morte delicatamente un tetto che tintinna sotto i rebbi, sciacquavo con pietà le valve unte e poi le custodivo dentro una scatola di latta dei biscotti. Avevo un prendisole azzurro e un’ametista appesa ad una catenina. Prendimi, Olandese! Fin dove c’è smemoria sono bella. LA BALIA Si rivolta la pelle smeraldina - Attenti a non bruciarvi col latte de’ piccioli - e appare impavida la chioma di Medusa dolce da risucchiare con labbra occhiute a culo di gallina e scricchiola e schiocca appena sotto i denti ricordo granuloso. Conservano le donne capelli corti sotto i fazzoletti e il sangue mestruale che toglie le verruche. - Non ne mangiare troppi che i fichi in questi giorni sono calorosi. Ti vengano le bolle nella bocca. E attenta alle vespe che è il periodo questo che son più velenose. Inarrivabili le sere dell’estate - Vieni che si mette i peperoncini su’ fagioli secchi e le patate tengan lontane le farfalline. Dopo non ti toccare l’occhi che l’ultimi son come foco. I pomeriggi tronchi dell’inverno che il tempo va scialato e allora ascolteranno alla radio le notizie e i radiodrammi. - Son tutte bischerate, ma che vole, fuori l’è buio. Tengan compagnia. Come nella canzone popolare che non sanno ‘Lune la fune Marte le scarpe Mercole le nespole Giove le ove Venere la cenere Sabato il soprabito Festa la vesta e sempre così sarà…’ INVERNO L’inverno senza neve è una roba moderna toglie senso ai lampioni e al vino rosso ché la luce esiste solo nelle fenditure accucciata nel bicchiere, nelle ombre. L’inverno senza neve è una roba dopoguerra mette in ansia i piedi a cercar degli interessi ché l’andare ha senso solo nelle orme e a riguardarle dopo, ripercorrerle che qualche volta può aiutare anche porcogiuda! pestare in strada merde di cane molli. E’ l’inverno del suicidio di massa dei lampioni sciopano le lampadine quattro a quattro che paiono chicchi d’uva bianca offesa che il contadino l’ha dimenticata sulle vigne. Gli inverni senza nebbia sono una cosa del mondo globale invece non c’è niente di scontato nella bruma neanche il davanti e il dietro che oggi sembra uguale se sei un negro o un bianco come se io quel tempo là non ero un cameriere solo perché ero l’Olandese Volante e alle sciure modestamente, ci piacevo. BAR La saracinesca è prugna a prova di ladro sempre a trovare il ladro che ci prova. Elenco dei beni da sottrarre: 2 bottiglie di amaro al misto d’erbe digerenti di montagna ignota, ½ bottiglia di Vecchia Romagna Etichetta Nera metà atmosfera, chi si accontenta gode, 1 preparato analcolico per punch con il sigillo intatto, al gusto di pastiglia Valda per chi non ha memorie brutte da annegare. Dove lavorava lui quel tempo là c’erano uischi torbati e cògnac di gran marca martini molto drai con un’oliva pucciata che li avevano imparati a bere da quella moretta quella stemegna secca come una cedrata che a lui – credimi, Angelina – non gli era mai piaciuta a lui gli piacciono le donne vere come la Lollobriggida, la Sofia Loren - che poi in realtà, Angelina, si chiama Scivolone – quelle con la sua giusta carne sulle ossa. - Ora mi vedi così, ma da ragazza… Che a starci proprio attenti sotto il fondotinta il fard la cipria forse era arrossita l’Angelina stretta nelle sue carni scivolate sottosopra - Avercene di donne come te nella televisione - Olandese? Ci possono vedere… E sollevare ère di mascara con malizia sembrava un’orogenesi tettonica. - Lasciali guardare. Che crepino d’invidia! La carezzava sulle chiome color stoppia che quel colore a lui l’ipnotizzava che mai l’aveva visto su creatura umana. Calavano le palpebre allusive sipari glitterati di aurore boreali in turbolenza. - Olandese, adesso andiamo a casa per pranzo ci arrivano i ragazzi. Da quarant’anni di smemoria o giù di lì sono la madre premurosa dei tuoi figli. PRIMO REGALO: IL CANE Salve, ho chiamato ieri, per il cane. G’ho il fiatone, che da vecchi il mondo a leggerlo rimpicciolisce ma camminarlo non finisce mai. L’è che ci allenano al distante per quando guarderemo giù dal paradiso. Lei capisce che mistero? Non lo sa… vabbe’ L’Angelina aveva un gatto che di nome faceva Mandarino pur che era nero come un belzebù. Adesso che è morto e non se ne consola (l’ha dovuto far deprimere, era terminato di tumore) le regalo un cane, così non le ricorda il Mandarino, non fa continuamente paragoni. Cosa dice faccio bene? Non lo sa… vabbe’ L’è questo, fatto su prendendo i resti dei cani più brutti che c’è al mondo? E’ proprio perfetto per la mia Angelina. Ha tanto vissuto – andata e ritorno – che non sa sputar condanne. Ha dimenticato tanto - ritorno e andata – e senza rancore non è mica perdono. Non si pecca per intenzione ma per eccesso di vuoto. Lei è d’accordo? Non lo sa… Vabbe’. Il cane di nome farà Scarpa perché è troppo piccolo e poi puzza e ha i peli tutti ritti sulla crapa che sembrano una nappa. Eh, le scarpe marroni di capretto che portavo quel tempo là, quando espatriavo e andavo alla Romantica a ballare. Erano così folte le nappine che le dichiaravo alla dogana. … vabbe’… Parlare con lei è inutile come cercare la pietà in un buono. Il prezzo dell’amore alla Romantica al minimo era il ballo, oppure franchi o lire dipendeva dal cambio dei valori. Le donne di giorno le maltrattano la notte son tutti dentro i loro letti l’amore è una coerenza all’incontrario e la corrente spesso si attorciglia pesci compresi che non ne hanno voglia. Senta, ma il cane è già castrato, vero? Scommetto che non sa. Bon. Qui, Scarpa! ‘ndem, che l’Angelina al minimo ti dà qualcosa da mangiare. SECONDO REGALO: IL VIAGRA Si limitava a giacere quietamente nella sua innocua azzurrità romboidemente azzurro come il fiocco dei neonati sui portoni il grembiule all’asilo delle suore una virilità ingenua di facciata non fomentava alcuna meraviglia. Per l’Angelina ingoierebbe rospi vivi, che cosa sarà mai una pastiglia? Si aspettava un gusto d’anice o di cielo invece no, esattamente come le candide pasticche per la prostata non sapevano di nuvola o mitezza. Inghiotte si distende sopra il letto con disciplina di suicida aspetta. Tra un po’ comincerà a vedersi nella testa donne nude che fanno le porcate. Una volta si usavano i giornali con le foto, oggigiorno è tutto virtuale, che poi dove starà questa virtù, quel tempo là era peccato anche immaginare tre Ave e quattro Pater, peccato in pensieri parole opere e/o missioni che questa non l’aveva mai capita apposta per tenori e/o militari in aggiunta e/o in alternativa. E’ un vento senza vela pali telefonici senza parole nessuna donna, ferma o in movimento, all’Olandese sfugge il senso del successo dell’operazione. L’Angelina, Vergine Policromissima della Pala dello Stipite sta e con lei Scarpa contegno di vestale consacrato della dea Rinfusa. Il sublime mette soggezione a usarlo potendo andrebbe tramandato sui papiri. - Angelina, sarebbe come fare una grigliata sul fuoco del braciere alle Olimpiadi. - Olandese, tutto passa. Si attende con pazienza che il paesaggio si reincarni. - Mi sembra che sia lui che aspetta che passiamo. Hänsel e Gretel nell’antro della strega le corse dei draghi in extraurbana ridotte le notturne ogni trequarti d’ora binari inferociti spezzano la contemplazione nel buio li vedresti sussultare sette volte. Principiano le palpebre da sera di Angelina a sfavillare sotto il primo raggio del sole sghembo di febbraio. - Silenzio! Quale luce irrompe da quella finestra lassù? È l'oriente, e Giulietta è il sole. Sorgi, vivido sole, e uccidi l'invidiosa luna, malata già e pallida di pena perché tu, sua ancella, di tanto la superi in bellezza. Non essere la sua ancella, poiché la luna è invidiosa - recita sottopensiero l’Angelina. - Nel secondo cassetto c’è la macchinetta. Si mette il tempo che si vuole e scatta. Il punto di vista del piano del comò. Clic. Il fuoco sulla carne e loro brumosi sullo sfondo, stupefatti con la mano fanno ciao. PRIMAVERA Tenta la fuga avviluppata all’ambizioso Phaseolus vulgaris timide avvampano nel sole le guance acneiche di Fragaria vesca avanzano le frange della resistenza falangi oplitiche di Agropyrum repens grande maestro corruttore guizza l’Humulus lupulus mimetizzato nelle squame. Soccombono sfinite ai loro nomi erbe tanto parche e delicate se ne va così la primavera rassegnata piangendo i figli teneri sacrificati in guerra. Spruzzi di Taraxacum officinale e Mentha Anthemis nobilis settimanalmente decollata da falciatrici stridule che si accaniscono su capolini trepidi serrati nel terrore fino al rogo finale d’apice d’estate, si vendicherà allora con postumo omicidio su un mangiatore incauto di Conium maculatum rimpiangendo Socrate l’estimatore che lo sorbì con gusto facendosene una ragione. TERZO REGALO: LA BAMBOLINA BASCULANTE Bascula la bambolina sulla superficie nel punto d’equilibrio come miracolo di radice sottile. Non fosse per quel ventre foderato a piombo rotolerebbe senza méta o gambe senza braccia sopra e sotto uguale un fesso tintinnio ad eco mozza che non esclama o interroga né osa. Un fazzoletto di smalto sui capelli di vernice lontana vicina lontana vicina alla terra la bambolina bascula ma sotto il grembiale cova il peso delle assenze svoltata una curva in ombra il resto è tutto in levare. Ostinato il carminio netto del sorriso a cuore in mancanza di unghie per raschiare via a misura esatta di un dolore. L’APPARTAMENTO Da sinistra a destra la pelliccetta, il cappottino col collo di volpe Siberiana, l’impermeabile con sfondo piega foderato in lana difenderà dal freddo chissà però che al sole un poco di tepore, forse - tutto anni ’60 - Da destra a sinistra la foto del papà nella cornice doppia come lui, le povere sorelle mancate così presto già da vive, la mamma incredula rimorta, le prozie zitelle, tutti trapassati sul ripiano a intarsio del tavolino equidistante dal momento in cui era stato pezzo d’arredamento fiero. Dei rimanenti le foto sono tre, sopra il trumò, in una lei sorride, in una è seria, in una è giovane - le piace ricordarsi anni ’60 - RICORDI Una casa grande col giardino pieno di rose inglesi e rododendri accesi i caminetti sempre ciotole di fiori secchi e di bonbon sui tavolini. Sua nonna aveva un cameriere che le serviva la colazione a letto e un cane pechinese bianco coi nastri turchesi sulle orecchie - che sembrava proprio un deficiente - e lei di nascosto lo calciava forte sul sedere ossuto - che se lo meritava -. Si sussurrava di roulette e di cavalli la nonna e la madre nei divani corrugati tenacemente si taceva quella macchia. All’Elvira, che rifaceva i letti, si ammanniva: l’Angelina è precoce un chiodo nel bicchiere e il vino rosso un dito ad ogni pasto, solo un dito è ancora una bambina. L’aveva colta fuori dal sentiero un uccellino al laccio con le zampe rotte e quello strazio sarebbe stato causa sufficiente per sottrarsi a un mondo dove il senso del bene è il male e viceversa. Si vendevano i vitelli svezzati al macellaio era d’agosto, per tre notti e tre giorni, la vacca chiamò il figlio una bestia quasi umana o viceversa. La sezione aurea di mille Partenoni non metterebbe in squadra quest’unica ingiustizia. - Siamo la scommessa di Dio, Olandese, di cosa ci vantiamo? Ho doppiato il capo della smemoria e se c’è stato c’è lo prova il calendario, lo capisci? QUARTO REGALO: LA GITA FUORI PORTA Voglio un viottolo nell’erba che abbia il fiato bambino di timo limone e menta fitto di borraggine e di tarassaco che neanche le chiocciole debbano morir di stenti. Voglio che finisca solo dove comincia un mare con gli scogli incrostati di patelle e il grido che si sente prima del tuffo del gabbiano. GENESI
Solo la terra respirava fonda gorgogliando a vortice nella crepa del soffietto spalancato tra le mani intonate di Dio. Solo lei a rimestare scaglie e mari nel bussolotto di una notte che si adagiava a sbrindellarsi in albe tonde borborigmi di pianeti per orecchie grossolane. Mutosordo sonnecchiava il Nautilus, orgoglioso delle stanze, l’ultima colmata senza esitazioni né rimpianti per le camere di prima sigillate lasciatasi alle spalle la conchiglia che contiene contenuti contenuti come nel vecchio l’uomo e il bambino e il neonato e il seme. Eppure qualcuno ci fu talmente solo da voler sentire se risposta ci sarebbe e allora si ritaglia gola bocca e denti così curioso da procacciarsi sguardi squarciandosi la pelle della faccia tanto ansioso di percorrere da squartarsi in due la coda per un quasiasi dove a piedi. - Sta’ attenta, Angelina, che la vita asciutta primitiva l’ha inventata tutta una portiera. LA CANNA DI GIMMI L’INDIANO Lo pagano per non avvicinarsi i clienti con la spussa sotto il naso ma anche lui el g’ha le sue virtù e nel suo genere è un professionista. Sa leggere i fondi dei bicchieri dopo che li ha svuotati e le briciole dei panini, meglio se bei ripieni di bologna coi pistacchi. Lo pagano per andare a casa della gente quando ci sono dei gattini podalici che lui sa essere delicatissimo pur che g’ha le mani come due badili che per di più tremano di assenza. - Vieni qui a leggerci il futuro! Vedrai, Angelina, se l’è bravo che lui è incastrato nel passato degli anni Settanta e i capelloni eppure è qui nel bar adesso e allora è anche nel domani, lo capisci. - Namaste, sono Gimmi l’Indiano. Con l’Angelina si scrutano a rimbalzo, lo sguardo ammirato dell’intenditore cultori dello straordinario della vita instabili sullo stesso anello orbitale è dalla nascita che fanno il giro largo. A leggere i fondi dei panini, due, offre l’Angelina, Gimmi l’Indiano resta senza fiato e geme piano da non farsi sentire, ma l’anello trema slitta l’orbita e l’Angelina senza più appoggio sviene. La sollevano l’Indiano e l’Olandese ma lei lo sa che ha una biglia nera proprio vicino al cuore che la trattiene e la calamita giù verso la terra cupa. Gimmi l’Indiano pensa ai gattini ciechi che ha fatto nascere di piedi e se avessero aperto gli occhi avrebbero lo stesso sguardo impossibile e puro che ha dentro l’Angelina. - Per una volta offre Gimmi l’Indiano! e gira in bilico sempre più incerta tra le dita dolce la sigaretta gonfia che profuma d’altrove e che raddrizza l’orbita lontanissima dei vinti.
CHIOSE DELL’ANGELINA FUMATA Ho sbirciato il notes di Dio e ho scialato mille oh! e aah! per le cancellature, la prosa sciatta i versi puerili a rime baciate per questo sono qui, reggo sottobraccio un’altra Bibbia fatta di chiose, frasi scartate con una riga dritta una crocetta al margine freccine promemoria. Mi piacciono ora rieditate da me soterica mortale, riscritte in bella copia non la Verità solita piuttosto il Dubbio tra una riga e quella che la segue è la riga cancellata il dubitato di Dio è pericoloso il verbo suo è vita e pure nostra è penoso alquanto essere Dio. Ho sbirciato il notes di Dio e siamo qui nevi di maggio mutazioni pensierose dal cielo manne bombe intelligenti rane e ci è toccato inventarci gli ombrelli con le nostre mani. UNA VITA (LUI) Mio padre pur che tazzava a tempo perso e guadagnato era sempre più assetato di cento beduini nel deserto che oggi li chiamano alcolisti e sono anonimi ma lui quel tempo là di nome faceva Baldo Patata ül Ciuchetun. Ero un fioeu che a messa stavo ancora con la mia mama nella fila delle donne le sue sorelle e le cugine coi fulàr neri; le sciure nei banchi con la targa in primafila coi fulàr di pizzo che erano fin anche grigi ali di farfalla lievi senza cappio sui capelli puri i loro uomini dall’altro lato, i cappelli sui sedili masticavano preghiere mute con lo sguardo alto al crocefisso, da pari a pari. Intorno all’acquasantiera in piedi i giuvinot i berretti a stropicciarsi tra le dita screpolate e dopo il bar. L’acquasanta per segnarsi me la pioveva la mia mama distendendo ruvide le dita a sgocciolare dentro la mia mano becco d’uccellino spalancato nominepadrifiglispiritussanti Amen Alla messa quel tempo là finiva tutto in es e us e a non capire c’era più rispetto che troppa confidenza toglie la riverenza. Il podestà lasciava il paiolo della polenta fuori dalla porta pieno d’acqua a sollevare come isole le croste d’oro gremato che loro le buttavano, ma le legnate se ti catavano a pescarle con le mani, la merenda. La mia mama è morta quel tempo là forse soltanto di fatica, la stufita di penare su ‘sta terra. L’ho perdonata valà. Che gliel’aveva detto anche il dottore, un mangiapreti con la barba bianca che ai miserabili li curava agratis senza far parere e tutto nell’insieme gli altri sciuri lo guardavan male. - Baldo, basta figli. Non ce la fa più. Un po’ di autocontrollo, non sei un animale. A parte l’ottimismo del dottore, il fatto l’era che non sapevi mai a chi parlavi: al Baldo o al Ciuchetun, che poi comunque quela pora dona c’aveva il Ciuchetun di notte dentro il letto. La mia sorella Lina è rimasta a far da serva ai miei fratelli e al mio papà. È morta vent’anni fa nel suo silenzio che non l’ho più rivista. A me mi han messo all’istituto dei padri che non ne voglio parlare. Sono andato via a quattordici anni con una mano sul davanti e una specialmente sul didietro. A fare l’operaio si campava male e via. Si sbarcava a Zurigo da un treno bestiame coi teroni e avevi un bel dire che te eri diverso da quelli lì le loro soppressate i cacicavalli nello scatolone legato con gli spaghi, che eri del settentrione. Perché per quei crucchi maledetti ho capito che ero io il loro terrone, che il nord è mica un punto fermo, ma si muove verso l’alto. Quando ci parlavano ci capivo anche di meno che alla messa e anche lì, senza misericordia. Ho fatto il muratore, ma ero un tipo fine. Cercavano dei camerieri al ristorante e siccome che c’avevo la presenza italiana che piaceva – chi disprezza ama – mi hanno ciapato subito e poi uno svizzero mica si trovava e a me mi facevano la paga di straniero, che avevano inventato già tutte le ingiustizie fin dal tempo di Adamo: il fatto è che l’uomo resta primitivo anche senza clava e si nasconde dietro la cravatta come dietro il cespuglio dopo che ha ciulato il pomo. Certi dicevano che era umiliante fare il cameriere, meglio l’operaio o il muratore, invece al ristorante ci serviamo uno dell’altro per mangiare e se permetti son soddisfazioni. Sono tornato esperto di buone maniere e lavoravo in un locale di gran lusso, quel tempo là ci veniva anche il Bramieri, bungiur madàm, gutenaben froilain, follomì mister ior teibol. Angelina, perché ridi? Forse c’hai ragione. Son stracco che non mi reggo in piedi. UNA VITA (LEI) Di nuovo i coriandoli di luce fremono dietro l’iride quando le dita ripassavano a lungo, troppo il peso, sugli occhi le bambine. E il sole rosso sangue ardente sotto la cortina delle palpebre serrate, il viso proprio verso l’alto dei cieli dove si nasconde Dio, si fa a chi resiste di più, è prova di coraggio. Perché c’è sempre qualcosa che rimane anche ad occhi chiusi, la faccia fuori squadra, la mascella pendula e il bianco dell’occhio rovesciato dentro, dove lei non c’era e neanche fuori coi suoi pezzi inutili agganciati tutt’attorno al necessario, il sufficiente pur se piccolo. Ha la luce testarda, quello che si vede ad occhi chiusi, del fuoco di fornace, della fiamma ossidrica la tenacia a rimanerti addosso quando è già finita, dopo che ti sei alzata sui dubbi delle piante dei piedi, prudente hai saggiato le fughe al pavimento, rancore e vendetta sono luoghi angusti per l’umiliazione e l’odio, chiedono cielo aperto e senti cigolare il sangue mentre scorre insozzato e senza scampo nelle sue vie da sangue, nel suo destino da sangue, nel suo soffio da sangue rassegnato. E il dolore resinoso s’inceppa nelle vene svolta agli angoli smussati delle ossa nelle unghie che tutto lo contengono condensato in millimòli nelle cellule nodose che nascono muoiono nascono vivono incuranti della nostra morte, forse vorrebbero essere rese più partecipi del battito cardiaco, del ronco e il rantolo, l’espansione alveolare, la minzione, di ogni morte minima, di forfora o radice, per imparare a gradi a riconoscere la morte intera quando viene e smettere insensate di allungarsi verso le inscalfibili pareti delle bare. Il dolore si recide col tronchese dorato d’oro vero, le forbicine a punta tonda per le dita – solo quelle – delicate di bambina, poi la lima ad addolcire. Ricrescerà. Aveva preso da quella sera in poi la decisione - una fissazione bislacca, si diceva in casa – di conservare quei cristalli di cordoglio, foschi diamanti taglio a mezzaluna. Nei pomeriggi dedicati al cucito confezionò un sacchetto di velluto neronotte strangolato da un nastrino perbene biancolatte. Dio era una donna sui cinquanta col caschetto corvino e occhi rari colore lapislazzulo che rinfrescava la memoria sul creato gettando occhiate incredule alle linee delle mani. Nel carrozzone aveva stretto un patto con quell’Angelina piccola assonnata nonostante tutto e anche il sangue che l’appiccica le sembra dappertutto. - Mai riguardare nel sacchetto e salva avrai la vita – la voce era un po’ acuta, la pronuncia impostata tranne una e aperta, forse pugliese o di Milano forse dei Balcani. Dal lago fermo rivestito d’oche candide una soltanto spiega le ali per levarsi in volo un lieve palpito impossibile dell’acqua in onda lunga rotta dalle zampe a centinaia il vuoto si richiude breve sullo scandalo rotondo della fuga. Mo nun ce amammo cchiù, ma ê vvote tu, distrattamente, pienze a me. Stretto, più stretto il cordone, Angelina. L’Olandese non poteva sapere che nulla è come sembra, Dio o unghia o cielo di sera, che l’Angelina il figlio l’avrebbe tenuto anche senza soldi o una ragione savia, ma il sangue del suo sangue del suo sangue il cuoricino piccolo aveva ceduto al vortice. Stretto, più stretto il cordone, Angelina L’Olandese non poteva sapere che fare la vita è come andare in giostra alla velocità sbagliata: le facce si sbaffano come sfregare la vernice fresca le voci si squagliano e sminuzzano nella caduta, è indispensabile stare sulla traccia sala – scala – camera da letto negligè rossetto ombretto acqua di rose dire fare baciare s’ingrossa la smemoria. Stretto, più stretto il cordone, Angelina. L’Olandese non poteva sapere che innocenza è quello che sta fuori dal sacchetto. Stretto, più stretto il cordone, ma ogni nodo si scioglie alla fine con pazienza. Angelina, mia Pandora, a rimirare quelle mezzelune di esistenza tollerata solo grazie alle cesure regolari. Cheratinizzazione del dolore, meccanismo di difesa come altri solo meno usuale di una rimozione uno spostamento una formazione reattiva L’Olandese non poteva sapere che c’era una foresta inesplorata in mezzo ci viveva una tribù tra loro nuda e spensierata la donna più bella del mondo dormiva. Ora non più. Il cordone, il cordone è per terra, Angelina. - Esca di scena per prima la smemoria! – La pronuncia impostata tranne la e aperta che resta il dubbio sia pugliese o di Milano forse dei Balcani. - Sono vecchia, Olandese, incestuosa e puttana. Devo andare, ma tu aspettami, Olandese. La vita prossima sarò io a uscire dai tuoi fianchi. IN BOLLETTA Angelina, ti racconto questa storia. Da bambino ero così in bolletta che collezionavo nuvole e tramonti ma il più avido di tutti l’era il Gianni che risparmiava il sonno e a giugno raccoglieva l’alba dei solstizi. Aveva la testa piccola e compatta giusta per consevarci poche robe rare: i ricci rossi della mamma morta nella città piccola sul mare e le scarpe di suo nonno e la sua testa, gli occhi aperti ancora dopo tante bombe, la bambola di pezza intatta al centro e intorno la sorella, i vasi rotti e quelli no. ‘Facciamo finta di non esserci mai stati!’ ma a quel gioco lì nessuno ci giocava. ‘Io sono già una nuvola – diceva - che niente mi trattiene al suolo!’ Teneva sempre un sasso in ogni tasca cocci della sua casa di famiglia ‘o il vento mi solleva e mi sfilaccia’ Giocava a nascondino tutto solo ma non s’andava mai a cercare ‘Così non vale!’ se vusava contro, era che gli piaceva di contare: uno due… trentacinque… centosette da qualche parte si nascondeva l’infinito. Tana per la morte! Ha cercato una ragazza con i fianchi larghi e solidi polpacci. Muccala, Gianni!, gli ripeteva. E l’ha sposata che lui la venerava ed era la sua vita. Però l’amore, Angelina, è un’altra cosa. Quello che puoi farne senza finché arriva. E dopo più. Se permetti, Angelina, ti accompagno. LA PREGHIERA DEGLI AMANTI Nel letto sono un nodo che ha smesso di aspettare. Ripensano che questo è un gran bel mondo per morire. E tu, se vali un milionesimo delle preghiere che hai preteso e le crociate, prendili ora che non ce n’è di lacci da slacciare. Amen. EPILOGO (DI FRETTA PER L’ODORE) “In un appartamento zona centro, i vigili del fuoco e quelli urbani hanno rinvenuto una coppia di anziani in avanzato stato di deterioramento. Il fetore ha allertato i vicini. Le nostre città sono alveari senza cura alcuna per i rapporti umani” Della felicità dei morti nessuno se ne avvede. Elena Spagnoli Fritze vive a Como. Si è occupata di marketing, pubblicità e relazioni esterne. Attualmente è traduttrice di narrativa dall’inglese.
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