RITORNO ALLE ARMI Marco Montanari
I
Nove giorni dopo aver lasciato le armi e undici giorni prima della sua morte, nell’ora più prossima al tramonto, Achille si svegliò di soprassalto. Aveva i capelli scomposti, la pelle tesa attorno alla bocca. Dalla tenda filtrava una luce giallastra come attraverso le palpebre chiuse. Qualcuno aveva già acceso le lampade e nell’aria ardeva il fumo dell’olio, portando con sé i primi contrafforti della notte. Si sentiva turbato.
II
Aveva sognato di trovarsi su una minuscola barca, intrecciata con legno di olivo e betulla, simile a quelle usate dai suoi pescatori. L’acqua era ferma e pulita, ma scura, e per quanto guardasse con attenzione non vedeva in lontananza neanche un orlo di riva dove approdare. Non provava paura; semmai un vago senso di torpore, simile alla pigrizia che prende d’inverno quando fuori il mondo è gelato e nessuno si rassegna volentieri ad affrontarlo.
Sopra di lui le stelle splendevano nitide, eppure non riconosceva in cielo le figure consuete che esse formavano. Aveva imparato da piccolo a leggere quella mappa per decifrare i destini che sulla terra trovano poi solo una conferma, come ripeteva il suo maestro ammonendo di non scordarlo mai, e lo diceva mostrando il proprio ardente gemello celeste, con la freccia rivolta al centro infinito di tutto.
Strappò un lembo di veste e provò a gettarlo nell’acqua per vedere dove muovesse la corrente: la stoffa si gonfiò e restò a galleggiare dov’era caduta.
Restavano fermi lì, lui e la barca.
Dopo un certo tempo, mentre già si chiedeva cosa potesse fare per avanzare verso la terraferma, gli parve di scorgere un tenue chiarore sull’acqua. Non ci fece gran caso, dapprima, poi lo vide di nuovo e ancora, fino a che lo spazio attorno sembrò illuminato da un alone impalpabile.
Dal momento che la barca era bassa e non c’era alcun oggetto nei pressi, pensò d’ingannarsi, ma era evidente che qualcosa rischiarava davvero quell’angolo di notte. Provò a sporgersi in basso.
Allora le vide.
Accanto alla barca navigavano sparse innumerevoli fiammelle: grumi di fuoco che si muovevano dondolando in linea retta; erano rosse alla radice e degradavano fino all’azzurro del vertice. Apparentemente, sotto la fiamma nulla bruciava; al loro passaggio la superficie non si increspava, sembrava semmai cedere il passo mentre ogni luce muoveva verso uno dei punti cardinali, con un moto impossibile.
Sporgendosi di più provò cautamente a prenderne una. Non scottava. L’unica cosa che avvertì fu una sensazione di calda lanugine, poi la mano vuota si richiuse su se stessa.
Guardando questa migrazione provava una nostalgia indefinibile, di bambino o di vecchio, e restava immobile al centro del luogo sconosciuto, incapace di tornare o di andare.
III
Ormai era sveglio del tutto. Mosse una gamba, poi l’altra; si coprì fino agli occhi con la pelle di montone che usava come coperta e restò fermo per un po’, poi la gettò lontano. Ripeteva la stessa sequenza di gesti più volte al giorno, convinto che avrebbe dovuto alzarsi, e puntualmente rimandava la decisione.
Non usciva dalla tenda da nove giorni esatti; stava per concludersi il decimo. Nessuno osava disturbarlo, neppure i suoi uomini, che entravano solo per portare acqua, vino e per accendere i lumi. Novità degli scontri non ne voleva sapere.
Il giorno prima, mentre sedeva con le spalle volte all’ingresso, aveva sentito una presenza inattesa e vicina. Girandosi di scatto lo colpì l’immobile presenza di un uomo piantato ad un passo da lui; indossava la corazza di un re, per quanto sobria, e stretti al petto portava a fatica nove scudi di bronzo impastati di polvere.
Senza dire niente lì gettò a terra davanti ad Achille. Lo spazio si espanse in un lamento metallico:
“ Hyppolito, Lisia, Kallisto di Rodi…inutile che dica gli altri nomi, tanto li conosci tutti”. Odisseo liberato dal peso sembrava più alto di un palmo. “Erano ufficiali del tuo popolo, tu li avevi scelti e tu li hai mandati da soli a morire, per cosa poi? Per un puntiglio, per un capriccio? Per quella donna di cui non ti ricorderai più neanche il nome?
“Taci, e vattene” rispose, fissando un punto scoperto nell’armatura dell’altro, poco sotto la scapola destra.
Era vero, il nome proprio non lo ricordava. Rammentava invece distintamente il profumo di gelsomino dei suoi capelli, in mezzo al fetore di grasso e ferite marce, di cenere e alghe disfatte che dilagava nel campo. La guerra la avverti respirandola a distanza, prima che ti riempia gli occhi.
Per qualche ora lei gli aveva ricordato la primavera fiorita.
No, il nome della ragazza non lo ricordava e sapeva benissimo che non gli apparteneva davvero; l’amore che consuma lentamente era cosa degli altri, di quelli che vivono in pace e che scompaiono quando fissano troppo a lungo la guerra, mentre lui apparteneva da sempre a questa difficile amante e ne era ricambiato.
“Vattene” ripeté “sai bene perché l’ho fatto. Sarebbe stato spregevole continuare come un servo a seguire l’uomo che mi ha disonorato; quell’imbelle che manda avanti gli altri, quel cane che non vale una mia unghia e pretende di comandarmi”
“Sarà come dici, ma questi scudi li lascio qui. Guardali. Prova a uscire per vedere cosa succede, e ricorda chi sta guidando gli uomini al tuo posto. Un ragazzino che neanche ha la barba; ma lo immagini? Patroclo che veste le splendenti armi di Achille mentre lui dorme, beve, e gioca all’onore perduto. Hai fatto un voto, rispettalo”. E dicendolo uscì.
Era l’unico che potesse parlargli così restando vivo.
Quando Agamennone decise di sottrargli la sua schiava più amata, la rabbia di Achille dal cuore salì al collo, dal collo alle spalle fino alla punta delle dita che già stringevano la spada, e fu proprio il re di Itaca a fermarlo. Per Agamennone quella scelta scellerata era la prova del suo vero potere: fare un torto al più forte con l’autorità necessaria perché fermassero gli altri la mano pronta ad ucciderlo.
Achille pronunciò allora quel giuramento terribile: non avrebbe più combattuto.
La notizia corse da un uomo all’altro e ognuno la riferiva sottovoce con un brivido: la guerra era diventata all’improvviso più pesante, le gambe cedevano al pensiero che sotto le mura non sarebbe stato lui, in prima fila, ad aprire la via. Loro arrancavano metro dopo metro, Achille passava come un vento che semina la nuova stagione.
Da quel momento la scalata alla rocca era diventata un gioco impossibile. Ne morivano tanti che in nove giorni non era stato possibile seppellirli; i vuoti nell’esercito invasore ricordavano le chiazze d’erba al disgelo, quando la neve si arrende al destino. L’inverno di Achille continuava nella tenda, silenzioso e pesante; se lo avessero visto i soldati non avrebbero riconosciuto quel corpo gettato sciattamente a terra, coperto da una pelle di animale, ad aspettare un giorno dopo l’altro che la vita si adagiasse su di lui.
IV
Nove giorni dopo essersi escluso cieco di rabbia dalla battaglia e undici giorni prima della sua morte, Achille si chiese ancora una volta cosa fare.
Tornare alle armi? Impossibile, si sarebbe vergognato per sempre. Con che diritto poteva entrare in assemblea sapendo di aver chinato la testa quando era nel giusto? Eppure gli altri lo facevano: chi per tornaconto, chi per paura, qualcuno per semplice piaggeria o perché non sentiva il gusto della libertà; anche un uomo di maestosa nobiltà come Odisseo si lasciava comandare da Agamennone perché era convinto che solo con la concordia di tutti la rocca sarebbe caduta.
Per mettere d’accordo una schiera di mediocri serve un capo che non sia migliore di loro. I saggi lo sanno e si adeguano quanto basta: ma Achille questo non riusciva ad accettarlo.
E allora? Partire forse: andare verso il mare fiorito di navi, oltre la collina, e levare l’ancora, lasciando alla memoria la custodia del lungo assedio? Sembrava così bella l’idea del vento sulla faccia, il fastidio delle onde grosse, il richiamo di altre battaglie in terre lontane; ma i suoi uomini non volevano nuovi nemici, volevano tornare a casa. E casa significava lunghe sere nelle reggia tra le pareti infedeli che rimandano i suoni delle feste, i fuochi accesi fino all’alba, la musica, le giornate sicure senza pericolo e senza bellezza.
Spesso, in simili occasioni, fuggiva non visto dal palazzo per andare dai soldati in ferma perenne: quelli rimasti senza casa e senza sposa, uomini che non avevano altri mestiere se non le armi. Loro lo riconoscevano e non dicevano nulla: proteggevano la sua solitudine accogliendolo senza un inchino, offrendogli cibo da poco. Lì Achille si sentiva a casa. Nelle notti migliori, con voce purissima, cantava vecchie canzoni imparate da ragazzo: parlavano di amore, di viaggi, di compagni ritrovati e perduti.
V
Mentre pensava a tutto questo si ritrovò in piedi davanti all’unico ingresso; sostò qualche istante sulla soglia, esitando, poi uscì.
La sua tenda si trovava all’estremità dell’accampamento e tranne due guardie che la presidiavano nessuno ci passava vicino. Achille indossava una veste sottile aperta fino al petto, sandali di cuoio e un pugnale legato alla cintura.
Avanzando verso il centro del campo si stupì di quanto fosse vasto: non lo ricordava più. I soldati aumentavano di passo in passo; si sentivano di più il lamento dei feriti, le imprecazioni degli illesi, fino a che il primo uomo lo riconobbe. Si trattava di un ufficiale di Nestore. Non ci volle molto perché tutti quelli in grado di camminare facessero a gara per stringerlo in un cerchio inviolabile.
Volevano una speranza, e Achille non sapeva cosa dire, e quelli aumentavano sempre di più fino a diventare una folla, un popolo intero. Si guardavano occhi negli occhi, la distanza tra lui e loro diminuiva fino a soffocarlo: ne percepiva il respiro pesante. Dopo essersi fatto coraggio, un uomo si staccò dal gruppo e si avvicino: Achille pietrificato sentì le ginocchia strette in un abbraccio: un vecchio, consumato dalle battaglie e dalle veglie, le stringeva forte:
“Signore, hai deciso di guidarci di nuovo?” Non una parola di più.
La domandava si ingrandiva in un’eco, tremenda perché silenziosa. Aspettavano, pazienti ma inesorabili.
Allora successe l’imprevedibile.
Preceduto da un mormorio sempre più alto, si aprì uno spazio vuoto folla e uno solo avanzò dalle retrovie verso il centro del gruppo. Camminava curvo, portando un peso gravoso che le sue forze tolleravano appena. Era Odisseo.
Achille non capì subito di cosa si trattasse; vide un velo che era stato bianco coprire qualcosa, poi una ciocca di capelli spuntò di lato; la seguirono un braccio, una mano, e solo alla fine vide l’anello incastonato al medio: l’anello che lui aveva regalato all’amico più caro.
Patroclo era morto. Innumerevoli volte aveva sognato di vestire le splendide armi di Achille; lui glielo aveva concesso dopo molte esitazioni solo per vincere la tentazione di indossarle lui stesso e tornare in mezzo ai soldati.
Tutti di colpo tacevano davvero, senza chiedere nulla con il loro silenzio; la bolla di trepidazione era rotta: il cerchio dei supplici si sciolse subito.
VI
Raccontano che Achille urlò, pianse lungamente e giurò vendetta. Gli scampati non scordarono più come fosse terribile a vedersi: da quella sera lo raccontarono sempre, a chiunque, fino a che la loro memoria divenne poesia e la poesia storia di ognuno.
Ma questo avveniva fuori, nel mondo che tutti vedevano. Dentro ormai era lontano da loro.
Ricordava una notte come quella, da bambino, l’ultima volta che vide sua madre. Era bellissima. Lei gli ripeteva che non doveva avere paura; c’era il calore di un fuoco e si sentiva felice. Una domanda non compresa risuonava nell’aria, una domanda importante che da bambino aveva compreso con entusiasmo, e che da allora non rammentò più.
Poche parola: “oppure, una breve esistenza, compiuta per sempre?”. Dieci giorni dopo aver rifiutato le armi e dieci giorni prima della sua morte, nel cuore spezzato, la vita aveva versato la risposta. Aveva detto di sì.
Marco Montanari č nato ad Arezzo nel 1983. Dopo la laurea in filosofia, con il sogno di insegnare nel cuore, ha continuato a studiare le materie pių disparate senza smettere di amare la letteratura, il cinema, la musica e il teatro. Per vivere, lavora come libraio. Ha pubblicato nel 2001 la raccolta di liriche "Tacito assenso a sopravvivere" (Editoriale Sette) e conduce su Radiowave International un programma dedicato al mondo della poesia dal titolo "La via dei poeti".
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