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Sagarana GIRASOLI


Dimčo Debeljanov


GIRASOLI



 

 
 
Ah, dove mi hai portato,
tu che un tempo promettesti solennemente
al mio orgoglio vorticose vittorie 
e felicità eterna dell’amore. 
Soffro nei giardini spenti e pallidi
chiostro di sconvolta illusione. 
Ascolto al mattino la silenziosa tristezza 
di girasoli che non hanno visto il sole.
A chi dunque è servita la mia tentazione?
Perché sono sfibrato, perché sono punito,
non so. Nero mistero ha oscurato
l’infinito cielo del mio tempo
e questo mi ha mandato ora giorni e notti
che solo lei mi porterà via.






Traduzione dal bulgaro e nota biografica di Virginia Ghelarducci.




Dimčo Debeljanov
Dimčo Debeljanov è sicuramente uno dei più grandi poeti bulgari contemporanei e tentare di tracciarne il profilo significa entrare in un mondo interiore pervaso di angoscia e sofferenza, di isolamento e mancanze, aprire nuovi orizzonti su una straordinaria sensibilità, ferita e dilaniata dall’incontro col mondo. Nato nel 1887 nella splendida Koprivshtica, (centro storico della resistenza bulgara), dopo la morte del padre, si trasferisce con la madre prima a Plovdiv ed infine a Sofia. Grazie alla grande rinascita e al fermento culturale della capitale, Debeljanov avrà modo di entrare in contatto con l’élite culturale bulgara, scrittori, artisti e poeti che gravitano intorno alle numerose riviste letterarie che si impongono sulla scena nazionale e che saranno veicolo di idee e tendenze innovative provenienti dall’Europa. Per potersi meglio avvicinare a Baudelaire, Verlaine, Mallarmé, per i quali nutre una sconfinata ammirazione, il giovane studia il francese e coltiva la sua passione per la letteratura e la poesia russa, in particolare Puškin e Blok. Molte sono le influenze sulla poesia di Debeljanov: simbolisti, romantici, realisti, proprio perché nella sua opera si incrociano istanze e suggestioni diverse, sempre reinterpretate secondo il suo sentire e la sua esperienza. Un’esperienza fatta di assenze e di affetti negati, segnata dalla triste consapevolezza di una invisibilità e di un’esclusione dall’universo degli altri che crea vuoti, distanze e limiti invalicabili. Sembra che il dolore di Debeljanov sia insondabile, oscuro e profondo e che nessuna luce possa rischiarare ‘l’infinito cielo del suo tempo’. Eppure una luce c’è: la scrittura, inseparabile e fedele compagna di lunghe ore di solitudine e di silenzi, di tormenti e di riflessioni, custode discreta del sentimento e del ricordo, di quel bisogno, autentico e forte, di condividere la sua vita con gli altri, quegli altri tra cui vive ma da cui è però inesorabilmente separato. Perché vivere non significa più condividere né tantomeno comprendersi e allora il racconto si fa denso di suggestioni e carico di profumi, di frammenti di quella vita così tanto inseguita ma sempre mutevole e inafferrabile. Il filo del ricordo si riannoda faticosamente tra i suoi lamponi, i suoi bucaneve, mentre i girasoli, muti e incolori, non riescono a vedere il sole e sono dunque storpiati e deturpati, umiliati nella loro più intima essenza. Ed è proprio la natura lo sfondo della maggior parte delle poesie di Debeljanov, la natura della memoria, una natura vissuta e interiorizzata che riaffiora nella composizione lirica, mescolandosi alle atmosfere opprimenti di un futuro incerto e cupo. La natura partecipa e ascolta il canto del poeta ma anch’essa porta su di sé cicatrici e tracce di una sorte che segna, mutila e trasfigura, lasciando solo pallide ombre. Un girasole senza sole. Un volto senza sorriso e la ricerca spasmodica di quel riconoscimento, di quel bagliore, di quel gesto. La grande città, ostile e veloce, non ha più tempo per riflettere, per ascoltare, per sorridere e per amare. Essa ingloba e fagocita cose e persone in un caos indistinto di suoni, luci, movimenti. Che cosa rimane di istanti di gioia, di fantasticherie ormai dissolte dal cambiamento? L’incontro e lo scontro tra passato e presente si risolve in una sconfitta: le speranze di un tempo si sono trasformate in delusioni che continuano a bruciare e che trascinano con sé l’amarezza di illusioni mai sopite. E così Debeljanov racconta l’amore che, nella sua lirica intensa e dolente, si affaccia sul teatro delle emozioni, animato dal ricordo, dall’evocazione, dalla preghiera. Si confondono e si mischiano i vari piani, si intersecano aspirazioni, sogni, nostalgie e rimpianti mentre le domande di senso e il bisogno di risposte si affollano nella mente del poeta. Solo la scrittura sembra legare e tenere in vita questi incerti frammenti di una realtà passata e perduta, dando loro senso e forma in un’unità compositiva intensa e mai banale. Di fronte ad un presente ingeneroso e ingrato, che ottunde e dissolve, la parola si trova a dover testimoniare anche quel che non ha nome, che non ha confini né definizione ma che sfibra e consuma. Quel ‘chiostro di sconvolta illusione’, quel giardino desolato e scolorito in cui si riaccendono sofferenze e afflizioni, ricorda l’isolamento e il dolore che attanaglia il cuore, serra e stringe la gola senza lasciare la presa. La scelta della guerra è la scelta definitiva: la rinuncia alla vita. Subirà la stessa sorte toccata prima a Hristo Botev e a Pejo Javorov, giovani eroi e grandi poeti rivoluzionari. L’ultima lirica composta da Debeljanov sul fronte macedone, trovata da Georgi Raičev e pubblicata nel 1920 nella raccolta "Стихотворения" (Poesie), esprime tutta la disperazione di un’anima tormentata e infelice che contempla la possibilità della morte in battaglia come un evento di cui nessuno si curerà e che non avrà alcun peso, poiché, dopo la perdita della madre, ormai non v’è più alcun legame o affetto. Pochi versi, intensi, duri e impietosi colpiscono diretti e lasciano una profonda amarezza, la consapevolezza di un’indifferenza di fondo che mina alla base qualsiasi rapporto umano, la percezione di una vita solitaria e inutile proprio per tutto ciò che non si è potuto condividere. Debeljanov cade giovanissimo, a soli ventinove anni, a Demir Hisar, in Macedonia, nel 1916. Ma la sua fine non è una sconfitta. Egli ha dato voce ai suoi tormenti creando una lirica intensa e capace di coinvolgere e di sconvolgere il lettore comunicando il fondamentale e autentico bisogno di riconoscimento e di amore presente nella natura umana. La sua poesia costituisce non solo uno dei vertici della letteratura bulgara e mondiale ma anche uno dei doni più grandi che egli avrebbe potuto fare proprio a quel mondo ingrato e arido da cui si è sentito esiliato per tutta la vita.




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