CARO BABBO NATALE Monica Dini
Quello lì era un paese molto piccolo, semideserto nell’inverno senza turisti, abbracciato alla montagna, collegato alla città da una strada piena di curve, stretta, senza parapetto, che nella notte si sporgeva sulla valle, una distesa di finestre illuminate come occhi di pesci fluorescenti.
Chiuso il negozio lui era tornato al paese ed era passato come al solito dall’unico bar. Il bar da Milena e a lei aveva raccontato quello che gli era successo.
- Dovevi fare qualcosa! Dovevi cercarlo e gonfiarlo di botte! Io avrei fermato il mondo nei tuoi panni!
- La fai facile! C’era tanta gente, tanti bambini … non ho saputo cosa fare …
- Bravo! Complimenti! Invece di alzarti e andarlo a cercare, quel deficiente, invece che spaccargli il muso!
- Non era facile, anche per la bambina non sarebbe stato facile …
- Bene! Una bella lezione per tutti, tanto ce n’è sempre di bisogno, cosa credi?!
Lui era Babbo Natale. Non era proprio il suo lavoro, di solito faceva solo il commesso in quel grande negozio di giocattoli, ma in quei giorni si vestiva di rosso, si metteva la barba bianca e riceveva i bambini su una sedia a dondolo. Loro sedevano sulle sue ginocchia ed esprimevano i loro desideri.
Milena era la padrona del bar, lì era una specie di prete nel confessionale. Erano diventati tipo amici. Niente di più.
A lui non dispiacevano i bambini, non dispiaceva fare Babbo Natale, ma non voleva che lo baciassero, aveva paura delle malattie, dell’influenza. Così mentre li teneva sulle ginocchia malediceva quei genitori che incalzavano i figli: Dai un bacino a Babbo Natale!
- No! Niente baci! Niente baci! – Pensava.
Avrebbe voluto un cartello con sopra scritto:
- È severamente vietato baciare Babbo Natale, perde la magia.
Milena era una bestia, non l’aveva mai vista tanto furiosa. Eppure ascoltava i peccati di tutti.
- Sono stanco – le disse – anche di essere Babbo Natale.
- È perché non hai il coraggio di incazzarti, ti manca il coraggio!
- Non è coraggio. E’… ma come si fa? Come potevo fare?
Il paese era addobbato per le feste . Avevano messo le luci nella piazzetta e anche un albero, un abete, lui lo guardava attraverso la vetrata del bar.
- C’è tanto di sbagliato – continuò – per esempio, cosa vorrà dire tagliare un albero che vive tranquillo per metterci le luci? Cosa vorrà dire? E’ ammazzarlo per niente! A quello ci hai mai pensato Milena? Anche quella è una cosa ingiusta eppure la fanno tutti. Te lo domandi mai quante cose ingiuste vengono fatte?
- Non dire bestemmie, che la testa la spacco io a te! Cosa paragoni un albero ad una bambina! Che paragone è?
Soffiava un vento da neve, scuoteva le luci dell’albero, a tratti qualche fila spariva tra le fronde, e nel buio l’albero sembrava diviso. Poi si ricomponeva.
- Cosa volevi che facessi? E anche gli alberi sono vivi! E’ perché non urlano che tutti li tagliano, se urlassero? Se urlassero tutti insieme vedresti.
- Non dire stronzate e bevi che è bello caldo.
Lei faceva il punch al mandarino più buono del mondo. Del suo mondo.
Lui passava a berlo la sera, prima di tornare a casa tanto non aveva fretta, non lo aspettava nessuno. A casa sua non c’erano decori, neanche le luci, solo il vestito rosso da Babbo Natale, quando lo stendeva sulla sedia.
Milena gli voleva un po’ più di bene che agli altri, lo sapeva. La bevuta della sera era gratis da sempre per lui. Per il freddo il punch, per il caldo un bicchiere di vino bianco frizzante ghiaccio di frigorifero. Lei aveva un marito, un uomo grasso che si metteva le dita nel naso e faceva pallottole di muco. Non lo voleva nel bar. Quello era il suo regno, la sua libertà. A casa però doveva tornarci.
- Cosa avrei dovuto fare, dimmelo?
- Sei tu Babbo Natale. Dovevi chiamare la polizia.
Lui sedeva mogio davanti alla vetrata e guardava il vento sporzionare l’abete illuminato.
Lo sentiva che avrebbe dovuto fare qualcosa. Era andata così. Una bambina di sei o sette anni , dal visino allungato come una bestiola selvatica, con i capelli rossicci e le lentiggini sul naso, gli si era avvicinata dentro il suo cappottino verde. Tremava e lui credeva fosse timidezza qualunque. Lui non voleva baci ma lei non aveva intenzione di darne. Non era nemmeno voluta salire sulle ginocchia. Alzandosi sulle punte dei piedi, aveva espresso il suo desiderio sottovoce in un orecchio:
- Caro Babbo Natale, come regalo vorrei che il mio papà mi lasciasse dormire la notte …
Lui l’aveva guardata negli occhi e aveva trovato come delle spine, erano verdi e le spine lo avevano bucato. Come un cactus.
- Ma … cara … non hai la tua cameretta? – Solo questo era riuscito a dire. Lei non voleva un cellulare che facesse foto.
- Si, ce l’ho la cameretta, ma il mio papà la notte viene a toccarmi e non mi lascia dormire.
Così aveva detto la bambina. Per questo Milena era incazzata con lui.
- Cosa era giusto fare? Proprio da me doveva venire? Da me che …
- Che sei uno stronzo! Non ti avrei mai creduto un vigliacco stronzo. Dovevi farti dire chi era, l’indirizzo, un numero di telefono, qualsiasi cosa. Non hai fatto niente. Lei non avrà il suo regalo.
Babbo Natale era un uomo solo, non era neanche credente, era un senza Dio che si lasciava vivere, non cavalcava le giornate, però le spine dei cactus hanno gli uncini e gli erano rimaste conficcate nello stomaco. Da non credente non possedeva un’anima.
Nemmeno la barista gli aveva dato sollievo, lei che assolveva i peccati di tutti.
Disse di nuovo
- Cosa posso fare?
- Puoi pagarmi il punch - Rispose lei.
Era la prima volta che pagava la bevuta della sera. Monica Dini ha pubblicato recentemente la sua seconda raccolta di racconti, Leggerezze, per Besa editrice.
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