ECCELSO SIRE Brano tratto dal romanzo Finestra con le sbarre, sugli ultimi giorni del re Ludwig II di Baviera Klaus Mann
(…) «Se almeno cessasse di piovere!» disse gemendo, e il suo volto pallido e gonfio, con la barba incolta e i dolorosi occhi sbarrati, si muoveva dietro le sbarre dell’inferriata come il volto di un animale dietro le sbarre della gabbia. «Ah! cette pluie! Cette pluie toujours... C’est atroce, c’est horrible...».
L’espressione di un immane dolore, come l’ombra tenebrosa di una nube che passa, era piombata sul suo viso e ne disfaceva i lineamenti.
Ciò che aveva sofferto in quegli ultimi giorni e in quelle ultime ore, era troppo, e troppo spaventoso. Ora, lasciato solo, in quella camera con le sbarre alle finestre, si trovava nel medesimo stato di un carcerato che abbia subìto fustigazioni e torture spietate e poi ritorni all’isolamento della cella, col corpo martoriato: non sa che farsene delle sue membra, che sono tutte un bruciore: non sa se giacere, stare in piedi oppure sedersi, non sa se gridare, bestemmiare oppure pregare.
Ludwig schiuse un poco le labbra molli, bluastre. Aspirò dapprima con un sommesso sibilo l’aria, l’aria umida e fresca di quel giorno piovoso. Il sibilo poi divenne un rantolo, quindi un profondo, ruggente gemito.
Il re prigioniero stava alla finestra e gemeva. Le sue mani scivolavano lungo le sbarre, lungo quelle fradice sbarre di ferro, in su e in giù.
Poi atterrì. Ebbe ad un tratto la sensazione che lo si stesse spiando. Si volse di scatto. La stanza era vuota. Volle spalancare d’impeto l’uscio, per controllare se qualcuno stesse nascosto lì dietro, ma l’uscio era chiuso. Neppure una maniglia da afferrare e da scuotere. Forse all’uscio, o più in là, alla parete, era stato applicato uno spioncino segreto, dal quale il dottor Gudden, o un altro medico o un lacchè, potesse osservare ogni movimento del sovrano. Ludwig, fermamente convinto dell’esistenza di un tale spioncino, prese la sua decisione:
«Voglio mostrare dignità. Mi si osserva. Alle spie dietro l’uscio non darò lo spettacolo che si ripromettono. D’ora in poi niente gemiti, e non premerò mai più la fronte contro quella inferriata... La cosa essenziale è che io metta ordine nei miei pensieri. I bugiardi e i ribelli osano sostenere e diffondere che ho la mente malata, io, il re, le Roy lui-même! Sfrontata enormità! Li confuto trionfalmente se mi comporto, ad onta della situazione terribile ed incredibile in cui mi trovo, con calma e rassegnazione».
Con questi buoni e ragionevoli propositi Ludwig si abbandonò su di una sedia, poco lontano dalla finestra.
Ma i pensieri non volevano connettersi nella sua mente: si confondevano, li soppiantavano immagini, figurazioni, associazioni del tutto divaganti e disturbanti. Ad esempio, per lunghi minuti, non poté liberarsi da vaneggiamenti come i seguenti: «Vogliono strapparmi la porpora nera dalle spalle! A me, il sovrano, a me, il sette volte consacrato principe di mezzanotte! Non riusciranno mai a farlo. Io sono il cavaliere del cigno, e sono il cigno. Sì, sono il nero cigno e mi sollevo con poderosi colpi d’ala su tutti, sulla plebaglia, sugli intriganti, sulla scienza!... Vogliono strapparmi dalle spalle la porpora nera, a me, il sette volte consacrato...». E le stesse frasi ricominciavano sempre da capo nel suo povero cervello.
Ludwig capì di non poter continuare così. «Se questa pioggia cessasse un attimo di scrosciare! Cette pluie! Cette pluie horrible!
Devo calmarmi! Devo essere calmissimo! Le mie mani non devono più tremare, i miei pensieri devono avere un ordine... Càlmati, eccelso sire!» scongiurò se stesso con devoto fervore.
Estrasse meccanicamente un piccolo pettine e cominciò a ravviarsi i capelli. La sua chioma era ancora scura e abbastanza folta: avanzo estremo della sua bellezza giovanile, del suo celebre fascino irresistibile. Certo, anche questo crine riccioluto non era così seducente come un tempo. Aveva perduto in lucentezza e morbidezza e si distanziava dalla fronte assai più di allora, quando Ludwig era il molto amato, l’affascinantissimo giovane sire. Comunque, era una chevelure ancora ammirabile, di cui un principe non aveva di che vergognarsi. E Ludwig la trattava con tenera cura, passando giornalmente ore intere col suo coiffeur personale Hoppe, suo intimo amico e consigliere politico, che al re pettinava, massaggiava, ungeva e profumava la testa.
«Devi essere calmo e astuto!». E facendo scorrere il pettinino fra i capelli, si dava intanto buoni consigli. «Devi concentrare i tuoi pensieri, devi saper dominare totalmente questa tua tendenza a una certa leggera distrazione. Devi farlo in omaggio alla tua eccezionale posizione, alla tua immensa fama, alla tua favolosa nomea nel mondo... Je suis le Roy!» esclamò ad alta voce. «Ah, se cessasse questa pioggia, una buona volta!». (…) Brano tratto dal romanzo Finestra con le sbarre, Titolo originale: Vergittertes Fenster (1937), SE Editrice, Milano, 2003. Traduzione di Ferruccio Amoros. Klaus Mann (Monaco di Baviera, 18 novembre 1906 – Cannes, 21 maggio 1949) è stato uno scrittore tedesco. Conosciuto anche per la sua attività di antifascista, è stato autore di romanzi, come Mephisto, novelle, drammi e saggi, come Omosessualità e fascismo. Era il figlio primogenito dello scrittore Thomas Mann.
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