PER QUELLI CHE GIUNGONO ALLE FESTE Rubén Bonifaz Nuño
Per quelli che giungono alle feste
avidi di tenere compagnie,
e incontrano coppie impenetrabili
e gentili ragazze sole che fanno paura
– poiché uno non sa ballare, ed è triste –;
quelli che si isolano con un bicchiere
di acquavite oscura e melanconica,
e odiano fino in fondo la propria miseria,
l’invidia che sentono, i desideri;
per quelli che sanno con amarezza
che della donna che bramano rimane loro
solamente un chiodo infisso nella spalla
e qualcosa di tenue ed acre, come l’aroma
che serba il rovescio di un guanto dimenticato;
per quelli che furono invitati
una volta; quelli che indossarono
il meno guasto dei loro due vestiti
e furono puntuali; e in una porta
già molto dopo l’arrivo di tutti
seppero che non si sarebbe compiuto
l’appuntamento, e tornarono disprezzandosi;
per quelli che guardano da fuori,
di notte, le case illuminate,
e a volte vorrebbero essere dentro:
dividere con qualcuno tavola e coperta,
vivere con figli felici;
e poi comprendono che è necessario
fare altre cose, e che vale
molto di più soffrire che essere vinto;
per quelli che vogliono muovere il mondo
con il loro cuore solitario,
che per le strade si affaticano
camminando, chiari di pensamenti;
per quelli che calpestano i propri fallimenti e seguono;
per quelli che soffrono con coscienza,
perché non saranno consolati
coloro che non avranno, coloro che non possono ascoltarmi;
per quelli che sono armati, scrivo.
(da “Los demonios y los días”, 1956 - Traduzione e cura di Tomaso Pieragnolo)
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In lingua originale:
PARA LOS QUE LLEGAN A LAS FIESTAS Para los que llegan a las fiestas ávidos de tiernas compañías, y encuentran parejas impenetrables y hermosas muchachas solas que dan miedo — pues uno no sabe bailar, y es triste —; los que se arrinconan con un vaso de aguardiente oscuro y melancólico, y odian hasta el fondo su miseria, la envidia que sienten, los deseos; para los que saben con amargura que de la mujer que quieren les queda nada más que un clavo fijo en la espalda y algo tenue y acre, como el aroma que guarda el revés de un guante olvidado; para los que fueron invitados una vez; aquéllos que se pusieron el menos gastado de sus dos trajes y fueron puntuales; y en una puerta ya mucho después de entrados todos supieron que no se cumpliría la cita, y volvieron despreciándose; para los que miran desde afuera, de noche, las casas iluminadas, y a veces quisieran estar adentro: compartir con alguien mesa y cobijas vivir con hijos dichosos; y luego comprenden que es necesario hacer otras cosas, y que vale mucho más sufrir que ser vencido; para los que quieren mover el mundo con su corazón solitario, los que por las calles se fatigan caminando, claros de pensamientos; para los que pisan sus fracasos y siguen; para los que sufren a conciencia, porque no serán consolados los que no tendrán, los que no pueden escucharme; para los que están armados, escribo. (Poesia tratta da Poesía en movimiento. México, 1915-1966, editato da Octavio Paz, Alí Chumacero, José Emilio Pacheco e Homero Aridjis, Siglo XXI, México). Ruben Bonifaz Nuño è nato a Córdoba, Veracruz, Messico, nel 1923. La sua formazione umanista lo ha portato verso una poesia di sintesi che concilia il rigore classico con il verso libero, l’oscuro e spesso atroce universo náhuatl con la tradizione greco-latina. Questo ricercato impegno di restaurare il classico nella realtà del quotidiano si nota con pienezza nei suoi libri più maturi, da intendere come un grande poema unitario, oltre che come frammento di intrinseco valore. Padrone di una grande sapienza tecnica, ha raffinato la versificazione fino a creare una propria modalità strofica e una sintassi peculiare che deve molto sia alla poesia colta che a quella più colloquiale. Il linguaggio docile e teso si adatta con la stessa precisione al canto della collera e della tenerezza, della speranza e della malinconia, dell’amore e della solitudine senza rimedio. Ogni nuovo libro dell’autore rettifica il precedente e lo migliora, lo prosegue facendo sì che la sua opera raggiunga una continuità, una coerenza senza monotonia, che spicca nella lirica messicana. Ha ricevuto molti premi tra i quali il Premio Nacional de Letras 1974, il Diploma de Honor No. 32 del Certamen Capitalino di Roma, il Premio Alfonso Reyes 1984. Alcune delle sue opere più conosciute sono: La muerte del ángel, 1945; Poética, 1951; Ofrecimiento romántico, 1951; Imágenes, 1953; Los demonios y los días, 1956; El manto y la corona, 1958; Canto llano a Simón Bolivar, 1958; El dolorido sentir, 1959; Fuego de pobres, 1961; Siete de espadas, 1966; El ala de tigre, 1969; La flama en el espejo, 1971; Tres poemas de antes, 1978. La sua produzione poetica è stata raccolta nell’antologia De otro modo lo mismo, poesía 1945-1971 (1978), e nel libro Versos, 1978-1994 (1996), entrambi pubblicati dal Fondo de Cultura Economica. Ha tradotto tra gli altri Ovidio, Catullo, Lucrezio e Omero.
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