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Sagarana ALSO SHIVA


Brano tratto dal romanzo Ritorno dall’India


Abraham Yehoshua


ALSO SHIVA



 

(…) Il facchino mi guidò prudentemente fino al fiume, in particolare a un “ghâth” che lui chiamava “Lalita”, verso cui scendemmo attraverso una scalinata lunga e sbrecciata, attraversando intensi odori e colori di pellegrini, bramini e mendicanti. E lì, senza nemmeno chiedermelo, mi fece salire su una barca in cui si trovavano già due giovani turisti scandinavi, e ci dirigemmo verso il centro del fiume, per osservare i riti dalle acque consacrate. Donne in “sari” scendevano alle rive con incedere lento e nobile, prendevano le chiome tra le mani e le immergevano; gli uomini, quasi completamente nudi, si lasciavano scivolare in profondità e restavano a lungo sott’acqua, per poi riemergere purificati. E in lontananza, sulla lunga riva, si potevano vedere altri “ghâth” affollati di pellegrini che adempivano in un silenzioso brulichio ai loro doveri religiosi. In quel momento, nella sera che scendeva, rochi altoparlanti diffusero lunghi appelli alla preghiera, in molti uscirono dall’acqua e si piazzarono sulla riva o sulle scalinate, concentrati nelle loro orazioni o impegnati in complicati esercizi di yoga. Anche il nostro barcaiolo lasciò i remi, si inginocchiò e pregò lungamente, mentre la barca andava alla deriva verso un “ghâth” vicino, avvolto in volute di fumo bianco che salivano da un grande rogo rosseggiante, su cui bruciavano dei corpi. Rimanemmo incantati, io e gli altri turisti, alla visione del barcaiolo immerso in preghiera, che abbandonava la barca alla corrente. Arrivati al centro del fiume, riscontrammo che, mentre una riva era tutto un fermento di attività, quella opposta era deserta e abbandonata, senza costruzioni né persone, e sfumava nel cielo sgombro come se la santità che s’addensava al centro delle acque morisse progressivamente nel nulla. Quando gli appelli alla preghiera furono terminati, il barcaiolo si rialzò, riprese i remi e ci guardò con occhi trasognati. Gli dissi allora, con simpatia, «Shiva», perché nella guida di Lazar avevo letto che Benares era la città di Shiva, il dio distruttore. Quel volto scuro mostrò un grande interesse, annuì ma mi corresse, «Vishwanath», e lasciò i rami allargando le braccia, indicando l’intero universo. «Vishwanath», ripeté, come per accentuarne l’importanza rispetto a Shiva. Ma io insistetti, e con un lento gesto mi misi un dito sulla fronte, a indicare il luogo del terzo occhio, dicendo ancora con dolcezza «Shiva, Shiva?», mentre i due scandinavi mi fissavano incuriositi. Pur dimostrando soddisfazione per le mie conoscenze, il barcaiolo non mancò di correggermi di nuovo, dicendo «Triambaca, Triambaca», e ancora, «Vishwanath, Vishwanath». Ma, accortosi della mia delusione per quei nomi, finì per accontentarmi, e concluse, con un sorrisetto furbo, «Also Shiva, also Shiva».
Quando ormai era calata l’oscurità, il piccolo facchino mi condusse verso un “ghâth” in cui bruciavano i morti. Prima vidi i pellegrini gettare fiori e dolciumi in un pozzo; e da una certa distanza, perché il mio accompagnatore mi aveva risolutamente invitato a non avvicinarmi, mi soffermai a lungo a osservare quel cadavere che ardeva su una catasta di legna, attorno a cui sedevano in circolo i parenti, confabulando a bassa voce. Attesi fino al momento in cui il rogo si estinse, quando in quella luce incerta, al lume di una torcia, i familiari si alzarono e si avvicinarono lentamente alle ceneri e trovato il teschio lo ruppero, per liberare l’anima verso il fiume; quindi raccolsero le ceneri, e le sparsero sull’acqua. Solo allora potei ritornare al nostro alloggio, che era quasi totalmente immerso nell’oscurità. (…)






Brano tratto dal romanzo Ritorno dall’India, Einaudi editrice, Torino, 1997. Traduzione di Alessandro Guetta ed Elena Loewenthal.




Abraham Yehoshua
Abraham Yehoshua è forse lo scrittore israeliano più conosciuto nel mondo. La sua narrazione penetra nella storia del popolo ebreo, analizza i conflitti mediorientali, attraversa i sentimenti che animano gli individui. I suoi personaggi sono sempre alla ricerca di un'identità quasi impossibile da trovare. Yehoshua è capace di insinuarsi tra le pieghe del pensiero di persone differenti tra loro, dalla vittima all'aguzzino, riuscendo a comporre una mappa emotiva. Nato a Gerusalemme nel 1936, ha scritto ben sette romanzi, tra cui Ritorno dall’India, L'amante e Il signor Mani. La sua ultima fatica, La sposa liberata è ambientata nella seconda metà degli anni Novanta quando le speranze di pace tra palestinesi ed ebrei non erano ancora così remote.




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