LA TRAGEDIA DI LETY Paul Polansky
La domanda che mi viene sempre fatta, ai miei reading di poesia o dopo una conferenza all'università, è: "Cosa ha fatto nascere in te l'interesse per gli Zingari?" Questa è la storia.
Dopo la separazione dalla mia seconda moglie, una donna americana, mi trasferii, nel 1991, nella Repubblica Ceca e dedicai diversi anni allo studio della mia genealogia paterna negli archivi del Sud della Boemia. Divenni così pratico a fare ricerche genealogiche negli archivi che iniziai a farlo professionalmente per molti Cechi americani. Alla fine decisi che molti Cechi trasferitisi negli Stati Uniti dopo la rivoluzione del 1848 in Europa, erano partiti al seguito di un ebreo della zona, tale Joseph Levy, arrivando a Cleveland, nell'Ohio.
Questa emigrazione a catena iniziò da Lety, un villaggio nel sud della Boemia. Quando la direttrice dell'archivio scoprì che mi stavo interessando a Lety, mi chiese se sapessi cosa era successo li durante la seconda guerra mondiale. Mi disse che a Lety era esistito un campo di lavoro per Zingari in cui tutti erano morti di tifo. Nell'archivio c'erano oltre quarantamila documenti relativi al campo.
Avevo letto molti libri sui campi di concentramento della seconda guerra mondiale, per cui sapevo bene che "tutti morti di tifo" era la vecchia scusa usata dai nazisti e le chiesi di vedere quei documenti. Mi disse che c'era un ordine di segretezza per cinquant'anni su quei documenti. Ciononostante, feci domanda per consultarli ed iniziai ad intervistare gli anziani della zona.
Tutti mi confermarono che Lety aveva avuto un campo per Zingari, ma dissero che non era stato il tifo ad ucciderli. La maggior parte di loro era stata picchiata a morte dalle terribili guardie ceche. Gli abitanti della zona erano così irritati dalla brutalità della storia e per ciò che era successo nel campo che, dopo la guerra, obbligarono una delle guardie, che aveva sposato una ragazza del posto, ad andarsene.
Riuscii a vedere questi documenti solo nel 1994 e, a giudicare dagli ottocento certificati di morte, c'era una storia terribile da portare alla luce. I certificati di morte da firmare erano così tanti che ad un certo punto i dottori hanno iniziato a divertirsi inventando le scuse di morte più assurde, come "ha bevuto fino a morire", o "è morta dal ridere" o "ha mangiato troppo".
Non dimenticherò mai il giorno in cui ho aperto la terza scatola di documenti sul campo di Lety nell'archivio di stato di Trebon. Le prime due scatole contenevano per lo più resoconti del campo. Ma il primo documento nel terzo cartone riguardava una Zingara, una ragazza di
diciotto anni di nome Frantiska Petrzilkovà, che era stata mandata nel campo il 10 ottobre 1942 e che era identificata col numero 320. Era stata arrestata quando aveva fatto richiesta di una carta di identità e sul modulo aveva firmato con tre croci, anziché con le tre "x", come facevano normalmente gli analfabeti in Boemia. Nell'incartamento c'era anche una istantanea scattata dalla polizia. Era molto bella. Non aveva i lineamenti delicati delle zingare spagnole. Frantiska aveva sopracciglia folte che quasi si toccavano e i capelli neri le arrivavano alle spalle. Aveva il naso grosso e il mento quadrato, il labbro superiore era sottile mentre quello inferiore era molto carnoso. Ma aveva un bel soprabito con un ampio bavero aperto sul collo.
Probabilmente la cosa che mi colpì di più nella foto furono le sue labbra. Erano serrate, come a voler dire "Non mi potete costringere a sorridere". E l'aspetto determinato del suo volto diceva "Fate di me ciò che volete, ma io vi sconfiggerò. Sopravviverò".
Mentre leggevo i documenti su questa giovane Zingara, scoprii che il 28 novembre 1942 era scappata. L'annotazione successiva sul documento diceva che era stata catturata il 3 dicembre. Non c'erano altre informazioni nell'incartamento. La punizione per aver tentato la fuga fu la morte. Per diversi minuti non riuscii a spostare lo sguardo. I suoi occhi erano piantati nei miei come a dire "la mia gente ti sta aspettando. Vuole che tu racconti la sua storia".
Da Don Chisciotte quale sono, trasformai Frantiska nella mia Dulcinea e sul momento decisi di trovare qualcuno che era scappato da Lety; qualcuno che mi potesse dire cosa le era successo.
Una settimana dopo, nel faldone venticinque, trovai quattro elenchi di Rom e di Sinti che furono trasferiti ad Auschwitz. E mentre riportavo questi nomi nel mio computer, trovai i genitori di Frantiska Petrzilkovà. Erano sul convoglio partito il 4 dicembre. Ma il nome di Frantiska non c'era, sebbene fosse stata catturata di nuovo il 3 dicembre. Non avendo trovato il suo nome nei certificati di morte, pregai che fosse sopravvissuta in qualche modo.
Mentre esaminavo i documenti, non riuscivo a levarmi dalla testa e dall'anima la foto di Frantiska. Ero certo che fosse scappata di nuovo; il mio sesto senso diceva che era ancora viva e che viveva in un ghetto per Zingari nella Repubblica Ceca.
Tre giorni dopo, nel faldone ventisette, individuai un taccuino del campo intitolato "Prigionieri scappati". Tra le annotazioni trovai un appunto scritto a matita: Frantiska Petrzilkovà era stata rintracciata dai cani del campo.
Non fu mandata ad Auschwitz con il convoglio partito il 4 dicembre e che trasportava i suoi genitori. Secondo quanto riportato fu fucilata la vigilia di Natale. Tremai al pensiero di cosa potevano averne fatto di quella Zingara di diciotto anni dal 3 al 24 dicembre.
Dopo le ricerche, tornai negli Stati Uniti e raccontai a diverse persone ciò che avevo scoperto. Una giornalista in Iowa fu così interessata alla storia che fece in modo che il Decorah journal, di cui il marito era redattore, pubblicasse la mia ricerca in prima pagina con la foto di Frantiska. I titoli di testa dicevano:
"Uno studioso afferma che migliaia di Zingari Furono sterminati dai Cechi; Paul Polansky porta alla luce una terribile storia di morte".
Non ci volle molto prima che l'ambasciata Ceca a Washington DC mi contattasse. Mi invitarono ad un incontro, insieme ad un ufficiale del Dipartimento di Stato americano e ad un archivista dello United States Holocaust Memorial Museum. Gli ufficiali dell'ambasciata Ceca si affannavano nel tentare di limitare i danni alla reputazione del loro Paese, in quanto vittima della seconda guerra mondiale e non fautore di un campo di concentramento. Promisero di costituire un gruppo di ricerca con me, di rimuovere l'allevamento statale di maiali dal luogo in cui si trovava il campo e di costruire un monumento nazionale. Ma dopo che il clamore si spense, tutto ciò che fecero fu tenere una Messa commemorativa, nel maggio 1993, nel luogo in cui si trovava il campo, alla presenza del presidente Havel. Nonostante in un primo momento non fossi stato invitato all'evento, il presidente Havel infine acconsentì a lasciarmi partecipare, a patto che io la smettessi di fare illazioni sul fatto che il suo ufficio era coinvolto nell'occultamento della storia.
Dopo la Messa, mi dissero che tre sopravvissuti di Lety erano stati presenti. Non li incontrai, ma incontrai un attivista per i diritti dei Rom, Lubo Zubak, che era stato tassista a New York per otto anni. Un anno dopo lo avrei ingaggiato per aiutarmi a trovare quei sopravvissuti. Visto che l'ufficio del presidente Havel continuava a monitorare le mie ricerche e la mia presenza nella Repubblica Ceca, chiesi all'ufficio stesso di controllare l'anagrafe dei cittadini Cechi nei computer della polizia per verificare se qualcuno dei millecinquecento nomi che avevo trovato negli archivi fosse ancora registrato come vivente. Tra quei nomi, novantacinque erano delle terribili guardie Ceche. Due settimane dopo, il capo dello staff di Havel, Prince Karel Schwarzenberg, mi fece riferire da un suo assistente che tutti i nominativi risultavano appartenenti a deceduti.
Ma poiché nei documenti dell'archivio avevo già scoperto che il padre di Prince Karel aveva in realtà sollecitato la costruzione del campo di lavoro di Lety per salvare diecimila ettari della sua foresta che era stata danneggiata da una nevicata nel 1939 e che aveva usato Zingari ed Ebrei come schiavi (prima che i tedeschi prendessero il suo posto nell'amministrazione della tenuta), ero assolutamente certo che tutto quanto raccontato fosse una copertura.
Dopo la conferenza, tenuta allo United States Holocaust Memorial Museum, sui documenti che avevo trovato negli archivi Cechi (il personale del museo lo definì "il campo di concentramento della seconda guerra mondiale meglio documentato"), ero già molto noto ai Rom Cechi, anche perché ero stato la prima persona a parlare per conto loro di questa tragedia.
Lubo Zubak, il mio nuovo interprete, aveva imparato il concetto di "diritti umani" in America ed ora voleva introdurlo nella Repubblica Ceca. Il suo Presidente, Havel, era pronto ad incontrare il Dalai Lama sul problema dei diritti umani in Tibet, ma non si occupava dei Rom Cechi, sottoposti a continui attacchi da parte degli skinhead, spesso anche incoraggiati dalla polizia del luogo.
Nel 1996 mi trasferii da Lubo e la sua famiglia e, nei successivi sei mesi, ci spostammo con la mia roulotte per raggiungere quasi tutte le comunità di Rom e di Sinai nella Repubblica Ceca, sempre alla ricerca dei sopravvissuti di Lety. Nonostante Prince Karel Schwarzenberg avesse dichiarato che non c'erano stati sopravvissuti, ne trovammo più di cento. Tutti avevano contattato l'ufficio di Havel con lettere raccomandate in cui chiedevano un risarcimento per il tempo che avevano trascorso lavorando come schiavi a Lety. Tutti avevano ricevuto una lettera dall'ufficio di Havel in cui si comunicava loro che il presidente e il capo del suo staff stavano analizzando la questione.
Mostrai la foto di Frantiska Petràilkovà a quasi tutti i sopravvissuti che intervistammo. Alcuni si ricordavano di lei. Una sopravvissuta disse che Frantiska era stata catturata di nuovo ma non ammazzata. Era stata mandata ad Auschwitz. "Credo che sia sopravvissuta e che successivamente si sia sposata nel nord della Boemia. Ma non so dove".
Lubo ed io andammo ad Auschwitz. Avevo letto che il museo aveva appena pubblicato un libro in due volumi sulla deportazione di Zingari ad Auschwitz . Negli ultimi giorni di esistenza del campo, qualcuno aveva riposto i documenti in una scatola e li aveva sotterrati. Ora erano stati portati alla luce e pubblicati. Volevo vedere quanti Zingari cechi c'erano nell'elenco dei sopravvissuti e se Frantiska era tra loro.
Mentre entravamo nella libreria di Auschwitz, tre skinhead si dirigevano nell'area in cui Hoess, il capo del campo, era stato giustiziato, probabilmente per onorarlo. Quando gli skinhead notarono che Lubo aveva la pelle scura, lo mandarono a farsi fottere. Lubo li guardò, ma senza dire nulla. Nella libreria trovai il libro sugli Zingari: era blu e con la copertina rigida, un volume era per gli uomini, l'altro per le donne. Aprii immediatamente quello delle donne e cercai Petrzilkova. Quando trovai il nome di Frantiska, vidi che la data, 13 gennaio 1924, e il luogo di nascita, Saan, combaciavano con quelli trovati a Lety. Cercai nella colonna con le date di morte. Diceva: liberata il 9 maggio 1945.
Lubo ed io passammo i due mesi successivi, da settembre a novembre, a contattare quasi tutti i Rom che lui conosceva nella Repubblica Ceca, in cerca di Frantiska. Dopo aver visto il suo nome e la croce scritta a matita di lato ad esso nel libro dei condannati a morte dell'archivio di Trebon, non riuscivo a credere che fosse sopravvissuta a Lety, figuriamoci ad Auschwitz. Di nuovo in viaggio, durante la ricerca di Frantiska Petrzilkové tutti i vecchi Rom che avevamo trovato nei ghetti ci avevano assicurato che Petrzilkova non era un cognome Rom. Nessuno conosceva qualcuno con quel cognome. Ci fu detto che se Frantiska era ancora viva, probabilmente stava in un altro paese perché nessuno aveva mai sentito quel nome.
Lubo controllò il computer della polizia di Praga per me. Diede dei soldi ad un poliziotto per cercare nel loro database il nome, la data e il luogo di nascita di Frantiska. Ma non venne fuori nulla. Controllammo anche negli elenchi telefonici di tutte le maggiori città della Repubblica Ceca. Lubo si mise anche a telefonare a tutte le famiglie con quel nome, ma nessuno aveva mai sentito nominare una Zingara di nome Petrzilkovà.
Allora contattai famiglie Rom in Canada e Germania, dove alcuni sopravvissuti di Lety erano scappati dopo la guerra. Nessuno aveva mai sentito parlare di Frantiska Petrzilkovà. Alla fine trovai un genealogista in Germania, specialista nel clan Petrzilka. Non aveva mai sentito parlare di parenti Zingari, ma mi diede una lista di tutti i Petrzilka nel mondo. Sulla lista c'era una Frantiska Petrzilka che viveva in Svizzera. Le mie speranze si alimentarono.
Conoscevo svariate famiglie Rom, discendenti dei sopravvissuti di Lety, che vivevano in Svizzera. Dopo una settimana frenetica al telefono, la Frantiska svizzera si rivelò essere Ceca, ma non una sopravvissuta di Lety. Una notte di gennaio ce ne stavamo nel bar vicino casa e ad un certo punto vidi un vecchio con la tipica faccia Rom. Lubo ed io stavamo bevendo con un gruppo di giovani Rom, quando questo vecchio entrò barcollando nel pub. Era un bar pieno di bianchi, perciò, dopo essersi preso una birra, il vecchio avanzò incespicando verso di noi. Aveva un vestito marrone e una cravatta verde. Non si presentò. Si lasciò cadere e chiese una sigaretta farfugliando. Feci un cenno a Lubo, il quale stava dicendo ai suoi amici Rom che il governo ceco aveva dissacrato le tombe dei Rom a Lety, costruendoci sopra un allevamento di maiali. Gli feci di nuovo un cenno. E poi ancora. Alla fine Lubo chiese al vecchio Rom da dove veniva.
"Liberec", disse lui, in modo confuso.
"E lì ha mai sentito parlare di una donna di nome Petrzilkovà?" chiese Lobo.
L'uomo fece segno di si con la testa. Lubo mi guardò e poi fece ancora la domanda.
"E la vecchia che vive vicino al ponte", disse, "penso sia lei".
Offrii all'uomo un'altra birra, ma lui non sapeva altro. Riusciva a malapena a tenere gli occhi aperti. Farfugliò che era stato ad una festa. e che i figli lo stavano venendo a prendere per portarlo a Liberec dove ad aspettarlo c'era la sua giovane donna. L'uomo mi chiese cento corone per l'informazione che mi aveva dato ma Lobo mi disse in inglese di non dargli nulla. Lubo non gli credeva.
Nel 1996 avevamo intervistato due sopravvissuti di Lety a Liberec, ma il nome di Frantiska non era mai saltato fuori. I due figli vennero a prendere l'uomo: avevano trent'anni circa, indossavano vestiti neri con dei piccoli fiori bianchi attaccati al risvolto del cappotto. Erano musicisti ed avevano suonato ad un matrimonio. Offrii loro una birra mentre Lubo chiedeva di Frantiska Petrzilkovà. Non volevano birra. E non avevano mai sentito parlare di una Rom di nome Petrzilkova, ma credevano che il padre avesse detto la verità. L'uomo chiese di nuovo cento corone. Era così ubriaco che non riusciva ad alzarsi. Dissi che gli avrei dato cinquecento corone se mi avesse portato da Frantiska Petrzilkovà. Ci invitò a Liberec, i figli mi diedero l'indirizzo, Lubo lo annotò. Dissi che sarei andato la mattina dopo. Poi i figli sollevarono il vecchio dalla sedia e lo spinsero fuori fino alla macchina.
Il giorno dopo faceva freddo ed era nuvoloso. Lubo disse che avremmo trovato neve se avessimo fatto quel viaggio. Non voleva andare. Pensava che il vecchio fosse davvero troppo ubriaco per dire la verità. La moglie di Lubo voleva essere accompagnata a Kladno per far visita ai parenti. Lubo teneva la figlia di un anno sulle ginocchia, la faceva saltare cantandole una canzone in inglese. Proibì alla moglie di parlare alla bambina in ceco, la lingua dei suoi nemici mortali.
"I suoi figli però gli credevano", ricordai a Lubo. Impiegammo più di due ore per arrivare a Liberec.
Per strada incontrammo una neve leggera ma arrivammo lo stesso a casa del vecchio prima delle undici. Era un edificio fatiscente, nella periferia della città, ed aveva diverse finestre rotte al piano terra. Dall'esterno sentivamo musica ad alto volume e urla. Lubo mi disse di aspettare vicino alla macchina mentre lui andava a prendere il vecchio. Rimasi seduto nella macchina, ancora in moto per tenere il riscaldamento acceso.
Venti minuti dopo Lubo tornò da solo.
"Il vecchio dice di aver sentito il nome di Petrzilkovà qui a Liberec," disse Lubo, "ma ora che è sobrio dice che non é la vecchia vicino al fiume".
"Tutto qui?", dissi in tono lamentoso.
"No", rispose Lubo, tirando calci contro le ruote per vedere se c'era abbastanza aria. "Uno dei suoi figli viene con noi. Il vecchio ci sta mandando da un'altra famiglia che potrebbe saperne qualcosa".
Cinque minuti dopo un giovanotto con una bella ragazza ci raggiunse. I capelli di lei erano neri e lunghi fino alla vita. Entrambi avevano orecchini d'oro e non sembravano avere più di sedici o diciassette anni. Mi misi alla guida, mentre Lubo traduceva le loro indicazioni. Ci volle un'altra mezz'ora per trovare un altro vecchio edificio sgangherato in un quartiere povero che sovrastava Liberec. Anche gli alberi alti che delimitavano la strada sembravano fatiscenti, con la corteccia tutta squamata per l'inquinamento di questa città industriale. Dopo aver chiuso la macchina, seguimmo la giurane coppia all'interno. L'edificio puzzava a causa di una conduttura che perdeva, probabilmente la fogna.
Ero l'ultimo nella fila quando arrivammo al terzo piano. Il corridoio era pulito ma la pittura gialla e sbiadita si stava staccando dalle pareti. Il giovane Rom bussò alla porta. Un vecchio apri. Aveva la pelle chiara e sembrava proprio quello che un vero Rom avrebbe definito uno Zingaro bianco. Alle sue spalle c'era una stufa a legna accesa con due grandi teiere sopra. Non sentivo odore di cibo, anche se era mezzogiorno. "Chi è?", chiese una donna da dietro di lui.
Il vecchio si chiamava Rudolf Ruzicka. Lubo mi presentò come uno storico americano in cerca dei sopravvissuti vissuti dell'Olocausto. Il vecchio ci invitò ad entrare, e mentre ci faceva strada nel suo monolocale, confessò di non essere mai stato in un campo di concentramento. "In realtà noi cerchiamo Frantiska Petrzilkovà, disse Lubo. "La conosce?"
L'uomo smise di trascinarsi sul pavimento di linoleum ormai vecchio e ci guardò come se non avesse sentito. Girò l'orecchio verso. di noi, come se fosse sordo. "Frantiska Petrzilkovà", disse Lubo a voce più alta. Cercai la foto di lei nella mia borsa del computer.
"Intendete dire la mia prima moglie?", chiese il vecchio. Gli allungai la foto. L'uomo la prese. Le labbra gli tremarono, gli occhi si riempirono di lacrime.
"Non ho mai visto una foto di lei così giovane" disse il vecchio. Poi iniziò a piangere, la vecchia si precipitò ed afferrò la foto dalle sue mani. "Certo che è lei", disse, abbracciando l'uomo. "la ama ancora". Le lacrime riempirono anche gli occhi della vecchia. "E morta da più di venti anni, ma lui la ama ancora". Dopo le lacrime, la donna ci servì del caffè al tavolo della cucina, mentre il marito se ne stava seduto a fumare sul letto, come se tentasse di ricomporsi. Dopo la seconda sigaretta, accettò di raccontarci la storia della guerra e di come aveva incontrato Frantiska. Presi il mio registratore, lui annuì.
Nel 1940, Facevo l'operaio alla stazione di Nymburk. Lavoravo con piccone e pala sui binari. Un giorno i1 mio capo mi chiamò nel suo ufficio e disse Rudolf, questi sono i tuoi documenti e qui c'è il tuo salario. Ti mandiamo a lavorare in Germania. Avevo diciannove anni. Tornai al mio villaggio, Hlusice, vicino Novy Bydzov. Lì avevamo una piccola casa, è lì che ci siamo fermati con carri e cavalli quando furono emanate le leggi contro di noi. Successivamente l'amministrazione comunale ci diede una casa.
Dissi a mia madre che dovevo andare a lavorare in Germania e lei mi diede una valigia con dei vestiti e un po' di cibo. Mio padre era già morto. Mia madre venne con me alla stazione di Chlumec nad Cidlinou e fu l'ultima volta che la vidi. Mi misero sull'espresso per Berlino. Arrivai lì di notte e rimasi a dormire nella stazione. Poi qualcuno mi svegliò chiedendomi se ero Ceco: quest'uomo mi parlava in ceco. Gli chiesi una sigaretta; me la diede in cambio del pane che mi ero portato da casa. C'era la fame a Berlino a quei tempi. Il Ceco mi aiutò a trovare il treno per Soldin ed era notte anche quando arrivai. Mi mandarono in un dormitorio non distante dalla stazione. Una volta lì, vi trovai gli amici con cui avevo lavorato alla stazione di Mymbruck. Il dormitorio aveva una cucina e lì mangiammo; eravamo liberi di andarcene in giro, non c'erano poliziotti o soldati.
Lavoravamo sui binari ferroviari, camminando per molti chilometri ogni giorno. A volte ci portavano in treno, ma di solito andavamo a lavorare a piedi, con i picconi che usavamo per spostare pietre e sistemare i binari. Ogni notte ce ne tornavamo al dormitorio.
Circa tre mesi dopo ci trasferirono alla stazione di Francoforte, la Francoforte vicino Berlino. Vivevamo in quartieri simili e facevamo un lavoro simile. Dopo un anno circa mi ammalai. All'ospedale mi chiesero di tossire dentro ad un bicchiere. Due giorni dopo mi dissero che avevo la tubercolosi.
I tedeschi mi rispedirono a casa su un treno notturno. Andai dritto a casa, a Hlusice, ma non c'era nessuno, né cavalli, né carri, né parenti. Tutta la mia famiglia era in un campo di concentramento chiamato Lety . Quando lo venni a sapere dai vicini, ebbi paura di parlarne con qualcuno, ma alla fine ebbi il coraggio di andare dal sindaco. Volevo trovare la mia famiglia. Il sindaco mi diede la tessera per avere il cibo e disse di non preoccuparmi, che non mi avrebbero mandato da nessuna parte.
Nonostante fossi Rom, avevo la pelle bianca e potevo passare per un Ceco. Visto che non avevo nulla da fare a Hlusice, andai a Hradec Kralove a cercare i miei cugini. Loro avevano ancora carri e cavalli e trasportavano legna, carbone e mattoni. Avevano circa sei cavalli e carri. I miei cugini vivevano a Svobodne Dvory, un piccolo villaggio a nord ovest di Hradec Kralove. Davano dei soldi al capo della Gestapo a Hradec Kralove per restare fuori dalle retate. Non lo vidi mai, ma sentii dire che prendeva denaro, carne, monete d'oro ed oche dai miei cugini, per proteggerli. Quando i nostri nomi apparivano sull'elenco o perdeva la lista o sbarrava i nostri nomi. Stava al quartier generale della Gestapo e si occupava del rastrellamento degli Zingari.
Lavorai con i miei cugini fino alla fine della guerra. Eravamo in sei a sopravvivere alla guerra in questo modo. Avevo tre sorelle, un fratello e mia madre a Lety. Una mia sorella è morta a Lety. Molti dei miei zii e zie e cugini sono morti a Lety. Tutti gli altri sono morti ad Auschwitz, con le mie sorelle, mio fratello e mia madre.
Anche quella che sarebbe poi diventata mia moglie, Frantiska Petrzilkovà, era a Lety. La conoscevo da quando eravamo bambini. Siamo cresciuti insieme ed era come una sorella per me. Conoscevo tutta la sua famiglia, erano tutti a Lety: alcuni sono morti lì, altri ad Auschwitz. Nessuno della sua famiglia è sopravvissuto. Lei fu l'unica a tornare. Io ho perso circa trentacinque parenti, a Lety o ad Auschwitz, lei più di cinquanta.
Adesso ricordo di aver incontrato, quando ero in Germania, alcuni Cechi che erano tornati a casa per le vacanze e che mi avevano avvisato di non tornare perché i Rom venivano arrestati e mandati nei campi di lavoro. Mi fu detto che se fossi rimasto in Germania sarei sopravvissuto alla guerra. Ora mi rendo conto che il mio capo a Nymburk mi aveva detto di andare a lavorare in Germania perché se fossi rimasto sarei stato arrestato perché ero uno Zingaro.
Frantiska diceva che a Lety stavano in baracche di legno. Gli uomini dovevano lavorare nelle foreste di Schwarzenberg. Due donne che conosceva lavoravano in cucina. Mia moglie diceva che erano giovani e attraenti e che erano privilegiate perché andavano a letto con le guardie.
Diceva che queste donne maltrattavano gli altri Rom per far colpo sulle guardie.
Frantiska doveva lavorare nella cava di pietra degli Schwarzenberg ma aveva anche lavorato nelle foreste. Mi disse che molte persone venivano picchiate e affamate fino a morire. I bambini cercavano cibo tra i rifiuti. Accadevano cose terribili lì.
Ma i peggiori individui a Lety erano i Sinti tedeschi, i kapò. Erano di Auschwitz e picchiavano i loro fratelli Rom sia ad Auschwitz che a Lety. Gli piaceva stare vicino ai bagni e picchiare i Rom che avevano necessità di andarci.
Dopo la guerra, le famiglie Rom iniziarono di nuovo a spostarsi coi carri. Quando i comunisti presero il potere nel 1948, alcuni dei nostri non vedevano futuro qui e quindi si trasferirono in Germania.
Incubi? Io non so se mia moglie li avesse, ma è stata sempre molto malata. Le sue gambe non si muovevano bene a causa dei pestaggi subiti a Lety. Tutta la sua vita è stata un continuo andare dai dottori. Dopo la guerra ha lavorato a Vrchlaby, vicino Trutnov. Lavorava per una compagnia di costruzioni. Quando arrivava un carico di sabbia, lei doveva scaricarla con la pala. Successivamente siamo venuti a vivere qui, perché mia moglie aveva scoperto che una delle sue migliori amiche a Lety era sopravvissuta alla guerra. Io avevo dei cavalli a quel tempo, per cui potevo lavorare: trasportavo mobili, carbone o materiali edili Siamo arrivati qui nel 1948.
Abbiamo avuto cinque figli, ma due sono morti. Cenek e Antonio sono ancora vivi, ma il povero Vaclav è in un manicomio. E stato così tutta la vita. Frantiska è morta nel 1968, per la salute cagionevole. Non si è mai ripresa dai pestaggi subiti a Lety. E morta all'ospedale di Jicin. In realtà non so neanche quale sia stata la diagnosi. Il cuore non funzionava bene e le gambe erano piene di liquido.
Come ci siamo incontrati dopo la guerra? Alla fine del 1945 ero ancora con i miei cugini a Hradec Kralove e vidi Frantiska alla stazione. Ci incontrammo per caso. Era tornata da Auschwitz ma non riusciva a trovare nessun familiare, per cui si era recata a Hradec in cerca di qualcuno che le potesse dare informazioni e dirle se qualcuno della sua famiglia fosse ancora vivo. Ecco come ci siamo incontrati. L'avevo riconosciuta subito. Ve l'ho detto che siamo cresciuti insieme?
Sapete, forse è meglio che Frantiska sia morta allora. Non credo che avrebbe sopportato quello che sta succedendo oggi nel nostro Paese. La situazione per i Rom è peggio di come era ai tempi in cui lei e la sua famiglia vennero presi. Non molto tempo fa la mia attuale moglie è stata picchiata dagli skinhead a Praga. Un nazista Ceco le ha puntato il coltello alla gola, chiedendo per quale motivo non avrebbe dovuto ucciderla, visto che era un porco nero. Anche uno dei miei figli è stato picchiato dagli skinhead a Praga. Gli hanno spaccato la testa e ha perso diversi denti anteriori. A Liberec mia figlia, avuta dal secondo matrimonio, fu presa dagli skinhead ed immobilizzata mentre le bruciavano i capelli con un accendino. Non riesco a credere che la gente possa avere così tanto odio dentro. Pestaggi, omicidi; e sono sempre questi skinheads. Non ho mai conosciuto tempi come questi. Le donne Rom si devono prostituire per mantenere le loro famiglie e i loro bambini. I giovani si drogano e distruggono le loro vite.
Davvero non vedo un futuro per i Rom. Non c'è lavoro e tutto è costoso; ci è andata molto meglio sotto i comunisti: almeno allora riuscivo a mettere da parte qualche soldo; oggi, invece, non posso pagare neanche le bollette.
Il Comune ogni mese mi aumenta l'affitto. Ora l'affitto è più alto della pensione e dicono che se non mi posso comprare l'appartamento presto ce ne dovremo andare. Ho settantotto anni e non ho i soldi per comprarmi un appartamento. Dove devo andare?
Quando lavoravo in Germania negli anni `40, i Tedeschi mi trattavano meglio di così. Sapevano che ero uno Zingaro e mi prendevano in giro per questo. Ma non mi hanno mai minacciato. Andavo sempre a casa con un operaio tedesco per ascoltare la sua radio. Ho anche ascoltato il Dr. Benes che faceva i suoi discorsi da Londra. I Tedeschi mi avvisarono di non tornare al Protettorato, perché i Cechi stavano prendendo tutti i Rom. I Tedeschi erano buoni con me: mi hanno dato una stanza calda e tanto cibo. Solo dopo la guerra ho capito quanto fossero cattivi i Cechi. Quando i Tedeschi Sudeti furono cacciati via, gli fu concesso di portarsi dietro trenta chili di roba. Uno di loro mi ingaggiò per portare i suoi bagagli nel mio carro. Portai la sua famiglia al confine, ma una volta arrivati le guardie ceche costrinsero sua figlia a dar loro tutti gli anelli e poi la stuprarono. Frantiska mi ha detto che le guardie portavano tutto l'oro a Lety. Dov'è quell'oro oggi? Sento che il governo attuale è pessimo per tutti, per tutti i Cechi. Il primo ministro non va bene, il presidente neanche. Il presidente dice che i Rom sono tutti criminali perché è stato in carcere con loro. E una bugia. Non conosce i Rom. E’ solo un materialista che mente a tutti. Scommetto che entrambi hanno conti segreti in Svizzera. Sono sicuro che non gli importa nulla dei propri concittadini.
Rudolf ci mostrò una foto del loro matrimonio. Frantiska indossava una specie di cappellino di Pasqua. I suoi capelli erano ancora corti e aveva ancora le labbra serrate. Non sembrava né felice né infelice. Solo determinata, come a dire "Sono sopravvissuta e continuerò a farlo". Rudolf mi lasciò fare una foto alla loro foto delle nozze ed anche una copia del certificato di nascita di Frantiska. Indicava la nazionalità cecoslovacca. Suo padre era registrato come Vaclav, invalido, nato tra il 1878 e il 1887, figlio di padre ignoto e madre ignota ed illegittima. La madre di Frantiska era registrata come Barbora nee Ruzickova, nata a Knezicky, distretto di Podebrady, figlia illegittima di Johann e Josefa, provenienti da Jammy.
Mi stupii del fatto che i Cechi rifiutassero di riconoscere che gli Zingari si sposassero; da qui derivava il fatto che i loro figli erano sempre registrati come illegittimi. Lasciammo Rudolf che fissava la foto di Frantiska che io gli avevo lasciato. Stava ancora borbottando che forse era stato meglio che Frantiska fosse morta quando è morta. La giovane coppia di Rom se ne era andata molto prima di noi. Non volevano saperne nulla del passato. Al piano terra vidi diversi topi, grossi quasi quanto gatti, che scorrazzavano per l'androne. Lubo prese un pezzo di intonaco caduto e glielo tirò.
Qualche minuto dopo Lubo ed io andammo via da Luberec in macchina. Una neve leggera copriva le macchine parcheggiate. Lubo tirò fuori dalla tasca interna della sua giacca di pelle una piccola bottiglia di brandy alla prugna.
"Non si può bere mentre si guida" disse. "Ma io posso". Lubo sollevò la bottiglia per vedere quanto ne era rimasto. Dopo che ascoltava le storie dei sopravvissuti all'Olocausto, aveva sempre bisogno di mandar giù diversi sorsi. "Dammene un goccio", dissi afferrando la bottiglia.
"Per festeggiare il fatto di aver trovato Frantiska?" chiese Lubo, passandomela.
"Per dimenticarla", dissi io, mandando giù una lunga sorsata. Il brandy mi bruciò la gola. Gli occhi mi si riempirono di lacrime.
Lubo mi passò il suo fazzoletto. "Alle tue lacrime", disse. "Perché non potrai mai dimenticarla".
E questa é la storia di come ho iniziato ad occuparmi degli Zingari. Le mie interviste con i sopravvissuti di Lety hanno avuto come risultato due libri di poesie, un romanzo e, ovviamente, la pubblicazione di tutte le loro storie orali. Tutti i libri sono stati pubblicati a Praga da Fedor Gal, un ebreo attivista per i diritti umani. Sfortunatamente i miei libri non ebbero molto successo nella Repubblica Ceca. Fui accusato di aver riaperto vecchie ferite, di aver diffamato i Cechi che, a loro volta, erano vittime dei nazisti.
Alcuni gruppi di attivisti per i diritti umani chiesero di istituire un procedimento legale contro le guardie ceche ancora in vita, ma il Ministero della Giustizia affermò che erano troppo vecchi per essere perseguiti. L'unico reale risultato del mio lavoro e dell'aver reso pubblica la tragedia di Lety, fu che gli attacchi degli skinhead contro i Rom aumentarono fortemente.
Fino al 1999, anno in cui ho lasciato la Repubblica Ceca, ho fatto pressioni sul governo affinché rimuovesse l'allevamento statale di maiali situato sul luogo dell'Olocausto. Nel 1994 il governo promise di farlo, ma poi se ne lavò le mani vendendolo ad un ente privato. Prima che la vendita fosse conclusa, anche ad un prezzo ridicolmente basso, avevo avvertito i nuovi proprietari che stavano per comprare il posto in cui c'era stato un Olocausto, per cui presto o tardi sarebbe stato espropriato dal governo per adempiere all'accordo di Helsinki, che lo stesso governo aveva firmato e, secondo il quale, tutti i luoghi in cui c'erano stati olocausti avrebbero dovuto rimanere nello stato originale, come monumenti nazionali. Qualche giorno dopo i nuovi proprietari mi dissero che, secondo il loro avvocato, comprare il luogo in cui c'era stato un Olocausto era stato il miglior investimento che avessero potuto fare.
Un giorno il governo ceco lo avrebbe dovuto ricomprare a qualunque cifra loro avessero chiesto. Lo scorso anno (2009), il governo ceco (dopo le pressioni dell'UE per chiudere l'allevamento di maiali che, nel frattempo, era passato dai cinquemila maiali nel 1995 fino a oltre ventimila) dichiarò che gli sarebbe costato ottocento milioni di corone ceche (circa ventisette milioni di euro) per ricomprarlo. Sapevo che era una cifra troppo esagerata, detta solo per avere una buona scusa per non rimuovere l'allevamento di maiali dal luogo dell'Olocausto degli Zingari.
(Brano tratto dal saggio La mia vita con i zingari – origine e memoria degli zingari d’Europa, Datanews editrice, Roma, 2011.) Paul Polanski, nato a Mason City, Iowa (USA) nel 1942. Ha lavorato come giornalista ed ha pubblicato romanzi e saggi, ma è meglio conosciuto come poeta (16 libri) e come attivista per i diritti umani. Nel 2004 è stato insignito all'unanimità del Premio Per I Diritti Umani della città di Weimar dopo essere stato nominato da Günter Grass, Premio Nobel per la letteratura nel 1999. Basato sulla sua esperienza di campione amatoriale di pugilato degli Stati Uniti e poi sparring partner di alcuni combattenti professionisti, la collezione di poesie sul pugilato di Polanski fu pubblicata per la prima volta a Praga, nel 1999 in un'edizione bilingue, in ceco e inglese. Alcune di queste poesie sono apparse in italiano nella sua antologia l'Imbattuto pubblicata da Multimedia Edizioni nel 2009.
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