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Sagarana PAUSA DI MEZZOGIORNO


Luís Bernardo Honwana


PAUSA DI MEZZOGIORNO



 

Piegato sul ventre e con le mani ciondolanti rivolte a terra, Madala sen­tì l'ultimo dei dodici rintocchi del mezzogiorno. Drizzando la testa, scorse tra le piante di grano il bianco verdastro dei pantaloni del capoccia, a dieci passi di distanza. Non osò sollevarsi di più, perché sapeva che avrebbe dovuto smettere di lavorare solo quando avesse sentito l'ordine tradotto in un grido. Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e attese pazientemente.
II sole era proprio a picco sul suo dorso nudo, ma conveniva soppor­tare un altro po'. Contò il tempo attraverso il numero di gocce che gli colavano dalla punta del naso su un sassolino che brillava a terra, ai suoi piedi, e concluse che il capoccia doveva essere molto arrabbiato. Tornò a osservare le gambe a dieci passi di distanza e le vide ancora nella stessa posizione. Andando oltre con lo sguardo, vide la macchia scura del corpo di Filimone, anche lui piegato sotto la superficie delle foglie più alte delle piante di grano, che aspettava l'ordine di smettere di lavorare.
Il dolore ai reni era insopportabile, e ora che era scoccata l'ora del pranzo era anche peggio. Quando i muscoli del collo cominciarono a fargli male per la torsione a cui erano sottoposti. mantenendo la testa eretta, lasciò cadere le braccia fino a toccare le foglioline carnose e scivolose dell'erba che doveva strappare. In modo meccanico, le toccò per sentire la resistenza dello stelo corto, infilò le dita tra i rametti e tese il corpo. Sebbene la pianta non sopportasse a lungo lo strappo, i tendini della parte posteriore dell'articolazione del ginocchio cominciarono a pulsargli dolorosamente. Poi sollevò la pianta per riprendersi con l'odore forte di terra che saliva dalle radici biancastre.
Mentre aspirava avidamente, con le radici della pianta appiccicate sul labbro superiore, osservò un buco che si era formato nel terreno. Era davvero una giornata molto calda perché da lì non usciva nemmeno un filo di vapore.
All'alba, e durante le prime ore del mattino, ancora umido per la ru­giada notturna, il suolo umifero dei campi fumava persino dalle zolle più piccole e il lavoro non era così faticoso. Ma quando il sole era ormai alto, solo dalle piante appena estirpate usciva ancora un po' di vapore, e anche da lì per un intervallo di tempo sempre più piccolo.
Lasciò cadere la pianta e rimase in ascolto. Niente. Solo la brezza che ululava sulle foglie più alte del grano.
Tese di nuovo il corpo e lo fece pendere all'indietro affinché la pianta che teneva in mano smettesse di opporre resistenza. Così facendo rispar­miava al massimo i movimenti. Lo sforzo di sradicare una pianta risultava dall'applicazione di parte del peso del proprio corpo, e non dalla contra­zione dei muscoli delle braccia, che muoveva solo ogni tanto per contrastare la forza delle zolle che trattenevano le radici.
Quando sradicò la settima pianta da quando aveva udito l'ultimo rin­tocco della pausa, il vecchio osservò di nuovo tra le piante di grano, te­mendo di non aver sentito la voce del capoccia.
Affinò l'udito per un poco, ma sentì solo il mormorio soffocato dell'oscillazione.
Madala si incurvò in avanti, sino a provare un dolore lancinante, ma a quel punto aveva già la pianta ben stretta e si inclinò all'indietro finché quella sì staccò dal suolo. Dalle radici spuntò uno scorpione, ma poiché non gli conveniva drizzarsi e non aveva una vanga a portata di mano, lo lasciò fuggire. Un po' impaurito, Madala pensò che se quello scorpione lo avesse morso avrebbe sofferto terribilmente per tre giorni e forse il quarto sarebbe mono. Sì, ormai non era più così robusto da poter resi­stere al veleno di uno scorpione di quelle dimensioni dopo tre giorni di
sofferenze.
Nelle prime ore del mattino saltavano ancora delle cavallette tra le foglie delle piante che strappava, ma in quelle ore apparivano solo scorpio­ni, tenaglie, lucertole e persino serpenti. Pitarrossi era morto per il morso di un serpente che lo aveva attaccato quando lavorava in quel campo. Ness n altro aveva conosciuto Pitarrossi, ma tutti probabilmente conosceva sua moglie, che dopo l'accaduto aveva cominciato a andare a letto con gli uomini che le pagavano da bere nelle mense. Dapprima diceva che andava a letto solo con chi le dava venti scudi, ma ora le interessava solo bere. Quando c'era qualche magaíça, si ubriacava a tal punto che non era necessario darle niente e allora qualcuno, anche se lavorava nei campi, la portava nell'erba alta dietro le mense. Ma tutti sanno che quando è così, lei si addormenta subito e si sveglia solo quando l'uomo si alza.
Solo lui era così vecchio che non sarebbe mai andato a letto con lei.
Inoltre aveva conosciuto Pitarrossi.
Madala strappò altre due piante e aspettò, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia. Il sole sembrava avvicinarsi sempre più a ogni istante, ma ormai doveva mancare poco all'ordine del capoccia di sospendere il lavoro.
All'improvviso avvertì il violento strappo dei fili della sua malaria. Era il primo nodo.
Nell'attesa dell'ordine del capoccia, Madala non si era accorto che i fili si stavano tendendo, ma ora, dopo aver sentito il primo nodo tra le pieghe dell'intestino, irrigidì il corpo nella vana speranza di contrastare l'annodarsi dei fili con la tensione muscolare. Tuttavia il filo che scende-va attraverso la gola, si increspò in corrispondenza della metà del petto, formando un groviglio che scivolò velocemente verso lo stomaco. Nei secondi di attesa, le vene del collo quasi gli esplosero da quanto pulsavano e il corpo tremò convulsamente. Le foglioline che teneva nelle mani si disfecero emanando una fragranza opprimente. Il secondo nodo quasi gli strappava i reni, ma dalle labbra serrate di Madala non uscì nemmeno un lamento.
– Perché il bianco non dà l'ordine? – mormorò Madala, cercando di raggiungere i rametti di un arbusto.
– Da quando é scoccata l'ora del pranzo, le ombre sono già cresciute di due palmi.
 
Afferrando l'arbusto, Madala non poté evitare che le sue ginocchia si piegassero, e poiché non lasciava la presa, cadde a pancia in giù. Quando arrivò lo spasmo doloroso del nodo, le gambe gli si drizzanono violentemente.
Poco dopo, con il corpo steso sul suolo secco e molle, sentì i fili al­lentarsi lentamente. Chiuse gli occhi con forza e attese che i dolori pas­sassero.
In ginocchio, ripresosi ormai dalla crisi, Madala allungò la mano verso un ciuffo d'erba e lo strappò lentamente.
– Non si può lavorare in ginocchio.. – mormorò mentre lasciava ca­dere l'erba. Afferrò il gambo di un piccolo arbusto, ma prima di strapparlo, separò il mazzo di ciuffi che aveva appena sradicato e lì contò: – Uno, due, tre, quattro, cinque...
Quando finì di contare strappò con violenza la piantina che aveva nella mano sinistra e la unì alle altre:
– Sei...
- Non si può lavorare in ginocchio... – sibilò, mentre spezzava con le dita le foglioline della sesta pianta.
Con un sospiro si lasciò cadere sulla spalla destra e si rannicchiò per terra, avvicinando il mento alle ginocchia. Con un certo sollievo, si ricor­dò dei fili della sua malattia, che si erano allentati intorno ai suoi organi. Portò alla bocca quello che restava della sesta pianta e cominciò a masti­care con gli occhi chiusi.
– Basta ragazzi, andiamo a mangiare!
– Sette! Otto! Nove! Madala si drizzò in modo precipitoso, e strappò le quattro piante. Poi si passò le dita sulla fronte per asciugare le gocce di sudore che scorrendo gli provocavano bruciore agli occhi.
Non si alzò subito. Non conveniva che il capoccia notasse che aveva fretta di smettere di lavorare.
Quando affiorò in superficie sentì un'ultima fitta e una leggera vertigine. N'Guiana e Muthakati erano già in piedi, ma il capoccia stava dicendo loro:
– Quando c'è da cominciare a lavorare vi viene l'allergia da tutte le partì, ma quando c'è da staccare correte, vero caproni? Continuate così e vi spezzo la schiena...
Filimone, che aveva sporto solo la testa, si immerse fino agli occhi
quando udì le urla del capoccia, ma vedendo Madala si fece coraggio e si drizzò con una specie di sfida nello sguardo.
A poco a poco Tandane, Djimo, e Muthambi emersero dalla machamha, fissando il capoccia.
II corpo di Djimo era completamente ricoperto di sudore, ma nonostante ciò Madia poté osservare la bella danza dei suoi muscoli nascosti sotto la pelle color sabbia di fiume.
– Andiamo a mangiare!
Il capoccia iniziò a camminare e gli altri dietro lo seguirono in silen­zio.
Madala guardò intorno a sé, provando un certo piacere nel ferirsi la vista con quelle macchie di sole che spiccavano dalle foglie lisce del grano. La machamba è come il mare.
Gli altri erano già distanti, immersi per metà nel verde spesso della machamba, camminando lentamente come se cercassero di vincere un ambiente liquido. Madala restò immobile – la machamba è come il mare. – insisté mentre seguiva con lo sguardo l'ondeggiare della superfi­cie uniforme della machamba.
Solo in lontananza si dissolveva l'onda in cui viaggiava lo sguardo di Madala, intaccata da mille bagliori argentati, piccoli soli trasformati in comete dal vento.
 
Quando Madala arrivò alle baracche, gli altri erano già arrivati. Alcuni avevano già pranzato. Il gruppo addetto al dissodamento, che era sem­pre il primo ad arrivare, era ora disperso all'ombra. La maggior parte di loro dormiva, per riprendersi dallo sforzo compiuto durante il mattino. Il gruppo degli orti doveva aver ritardato, perché José, il suo kuka, era ancora intorno al fuoco a cuocere la botwa di farina.
Madala si diresse verso uno dei vecchi granai e si sedette all'ombra, scegliendo un posto tra gli uomini del gruppo della stalla che come lo videro avvicinarsi, smisero di parlare di donne e assunsero un atteggiamento più rispettoso.
– Madala, come vanno le cose nel tuo gruppo? – chiese una voce. Ma­dala non rispose subito, perché prima di esprimere qualunque opinione, doveva ripetersi la domanda interiormente e ascoltare la risposta dal suo intimo.– C'è molto sole nella machamba... – sì scusò la voce dì fronte al mutismo di Madala.
– Sì, c'è molto sole nella machamba...
Sentendosi in dovere di continuare a farsi sentire, la voce osò: – E il bianco vi sta sempre addosso...
Madala fissò il volto giovane del suo interlocutore e cercò di ricordare qualcosa da poter dire, in modo da fargli capire che non era necessario che continuasse a mostrarsi interessato.
– Il bianco è cattivo... – continuava il ragazzo.
– Ci mette molto a dare l'ordine di smettere.. Io vedevo quando la­voravo nella machamba... non permette neanche che la gente si drizzi un po' per riposare la schiena...l'ho visto una volta... – improvvisamente ispirato, il giovane si voltò verso gli altri – non è una bugia, giuro che non è una bugia... Una volta stavamo lavorando nella machamba con il bian­co. C'era molto sole... lo sanno tutti che c'è molto sole nella machamba... Ora capirete perché dico che il capoccia è cattivo. Stavamo lavorando nella machamba... c'era molto sole nella machamba...– il giovane continuò il racconto sempre più preso dall'entusiasmo, facendosi ascoltare ora non più solo da Madala, ma anche da tutti i suoi compagni.
 
Il vecchio osservò il capoccia che, seduto su una cassa, all'ombra non lontano da lì, consumava il suo pranzo. Davanti a lui le marmitte si impilavano su un'altra cassa che fungeva da tavolo. Mangiava di gusto e beveva il vino a garganella.
Quando Madala andava alla mensa, a fine mese, offriva un po' del suo vino agli amici, mentre il capoccia non offriva mai il suo a nessuno anche se non sempre finiva le bottiglie che la moglie gli mandava per pranzo.
Il vino era di un giallo sporco e la bottiglia trasudava. Quando il bianco beveva, chiudeva persino gli occhi.
- Madala! - era Djimo - Madala, andiamo a mangiare...
All’ombra, gli uomini dei vari gruppi della tenuta si riposavano e man­giavano. Ce n'erano molti che Madala non conosceva nemmeno, ma tutti conoscevano lui e lo salutavano quando passava.
- Madala, non te l'ho detto subito, ma solo perché c'era il bianco. C'è tua figlia là.
Maria li stava già raggiungendo:
- Buongiorno papà!
- Buongiorno figlia mia.
Djimo si avvicinò a Maria:
- Maria sono andato a cercare tuo padre perché tu lo vedessi, ma gli ho detto che sei qui solo ora perché il bianco stava mangiando in un posto lì vicino a dove era seduto lui...
- Maria, come stanno a casa?
- Madala, è meglio se vai a parlare con tua figlia là all'ombra là non c'é il sole. È meglio... Maria, vai laggiù e porta tuo padre con te per parlare. Là non c'è il sole...
Sembrava che a Djimo piacesse molto Maria, ma il vecchio sapeva che siccome lei andava a letto con molti uomini, nessuno voleva sposarla. - Maria, come stanno a casa?
- A casa stanno tutti bene, papà. Sono venuta a trovarti...
- Io sto bene, figlia mia...
Tutti gli uomini dell'accampamento guardavano Maria, percorrendo con lo sguardo le forme appetitose da sopra la capulana.
- Buongiorno Maria!... - tutti la salutavano in cerca di uno sguardo, ma lei rispondeva senza staccare gli occhi da terra.
Madala e Maria restarono in silenzio per un po'. Maria era imbarazzata per gli sguardi che le lanciavano gli uomini.
- Madala, non vuoi venire a mangiare? - era di nuovo Djimo. - Ora è il momento migliore perché N'Guiana e Muthakati hanno appena finito di preparare il pranzo. Ora non è una scusa perché il bianco non si accorga che è venuta a trovarti tua figlia... è proprio per mangiare.
- Io resto qui con mia figlia, Djimo. Il capoccia spuntò da un angolo del granaio e si avvicinò con una sigaretta in mano:
- Ciao Maria! Che ci fai qui? Stai rimorchiando Madala? Non credo che tu sia qui per lui, lui è un cocuana... Devi essere qui per Djimo... Maria, stai rimorchiando Djimo?
- No, io non sta rimorchiando Djimo... — rispose Maria, cercando di parlare in portoghese.
Divertito, il capoccia interruppe il gesto di portarsi la sigaretta alla bocca.
- Ma a te non piacerebbe andare a letto con lui?
Con lo sguardo rivolto a terra, Maria non rispose.
- Madala, andiamo a mangiare... Chi lavora nella machamba o in qualunque altro posto deve mangiare durante la pausa!
Madala non poté pronunciarsi subito. In quel momento stava guardando la figlia, cercando di capire cosa avesse provato quando il capoccia le aveva rivolto la parola. Maria sviò lo sguardo.
- Papà, penso sia meglio che tu vada a mangiare.
Maria raspava il suolo con un piede.
Quando si accorse che suo padre aveva intuito il suo nervosismo, fermò immediatamente il piede. Incrociò le braccia al petto e si strinse le spalle con le mani.
Madala si avvicinò ancora un po' alla figlia nel tentativo di osservare i suoi occhi adombrati dalle ciglia abbassate. - Perché pensi questo?
Nell'udire la voce profonda proprio vicino al suo volto, Maria si ritras­se ancora di più, voltando quasi le spalle al padre.
- Beh, io non ho niente... non c'è niente che mi faccia pensare que­sto... - tacque per un po', ma riprese subito con un po' più d'animo - non Io so, papà, ma penso che tu debba andare a mangiare...
Madala le girò intorno e poi si fermò di fronte a lei, con le ginocchia esageratamente piegate, cercando di vederle gli occhi completamente na­scosti dietro le palpebre.
- Pensi questo?
- Devi andare a mangiare, papà... - con gli occhi chiusi, Maria parlava in modo più coraggioso.
- Ma io non ho nessuna fame nella mia pancia... - Madala allargò le braccia in segno di stupore. - Devi capire che non ho nessuna fame nella mia pancia...
Maria non replicò.
- E tu non vuoi mangiare, figlia mia?
- Ho già mangiato alla mensa, prima di venire a trovarti. Quando sono passata lì davanti un amico mi ha visto e mi ha chiamato dentro. Questo mio amico mi ha comprato qualcosa e mi ha detto "tieni, mangia" e io ho cominciato a mangiare. - Maria aprì gli occhi ma lì richiuse immediatamente.
- E ora non hai più fame? Non vuoi venire a mangiare con il mio grup­po? - la voce di Madala era ansiosa.
- No, papà, quello che mi ha offerto il mio amico mi ha riempito abba­stanza e ora non ho più fame. Ti aspetto qui mentre tu mangi. Djimo richiamò Madala:
- Madala, tua figlia ha detto delle cose vere...
Madala si arrese.
- Va bene, vado a mangiare e tu mi aspetti qui...Maria apri gli occhi quando senti che suo padre si era allontanato.
Il vecchio tagliò un pezzo di coi, lo bagnò nella pentola del m'tchovelo e lo portò alla bocca. Gli altri lo imitarono. Mangiavano in silenzio. Lo m'tchovelo era delizioso con tutto quel grasso.
 
Dal punto in cui era seduto, Madala poteva vedere Maria, seminasco­sta, all'ombra di un granaio. Sebbene avesse guardato in quella direzione per tutto il tempo, non vide arrivare il capoccia.
Maria rispose alle domande del bianco senza alzare lo sguardo da ter­ra.
Madala era dispiaciuto di non poter udire cosa si dicevano e perciò chiese al suo intimo cos'è che un uomo dice a una donna quando vuole andarci a letto. Il suo intimo era addormentato
Il capoccia sembrava arrabbiato con Maria, ma ogni tanto parlava dol­cemente. Estrasse un pacchetto dì sigarette dalla tasca, lo aprì, ne prese una, l'accese e spense il fiammifero soffiandovi una nuvola di fumo. Rimase con la mano in aria, brandendo il fiammifero bruciato mentre parlava.
Quando finì di fumare la sigaretta, voltò le spalle a Maria e sparì dietro un angolo del granaio. Poco dopo Maria prendeva la stessa direzione.
Il coi era quasi finito, ma Madala era sicuro che nessuno fosse sazio. L'ultimo boccone spettava a N'Guiana e a Muthakati, i kuka del gruppo. Anche i resti del m'tchovelo erano per loro.
Dopo essersi succhiato le mani degli ultimi resti di cibo, Madala se le sfregò insieme e le passò tra i capelli. Considerando il pranzo terminato, si alzò e gli altri lo imitarono.
Mancava ancora un po' al momento dì tornare a immergersi nella ma­chamba, e per questo Madala si guardò intorno in cerca di un posto per riposarsi.
Gli uomini del gruppo della stalla si allontanarono e il vecchio tornò nello stesso posto in cui era prima. II giovane che gli aveva rivolto la parola lo fissava ora con uno sguardo volutamente ironico:
- Madala, tua figlia è la dietro a parlare con il bianco...
Elias, il responsabile del gruppo della stalla, non gradì la provocazio­ne
- Quando la gente non capisce certe cose, deve stare zitta.
Il silenzio si fece pesante. Madala cercò con la mano una pianta che sentiva vicino alla sua gamba sinistra. Afferrandone i rametti tra le dita, arrotolò una buona parte del piccolo gambo morbido attorno al polso e strinse con determinazione. L'arbusto si staccò da terra con uno scoppio sordo.
Djimo si avvicinò:
- Madala, vuoi che faccia qualcosa?
Madala non rispose. Alle spalle di Djimo, sulla strada che portava alla machamba, il capoccia avanzava. Dieci passi più indietro, Maria lo seguiva.
Il vecchio seguì l'uomo con lo sguardo. Cercò per terra qualcosa che non trovò. Le dita si chiusero attorno a una pianta immateriale.
 
Maria affondò i piedi nel mare verde, e sguazzò qua e là tra i germogli teneri del grano più esterno, cercando di mettere i piedi sulle orme dell'uomo.
Quel verde così denso le inzuppava ormai le ginocchia, ma lei conti­nuò. Tuttavia procedeva più lentamente, anche se determinata a vincere la corrente.
Addentratisi per un bel po' nella machamba, il capoccia si fermò e si girò verso Maria. Anche lei si fermò, ad alcuni metri di distanza.
- Madala , davvero non ti viene in mente niente che io possa fare per te?
Madala vide il capoccia che cercava di retrocedere fin dove si trovava Maria, soffermandosi come se avesse cambiato idea dopo pochi passi. Avanzava come se stesse attraversando un fiume.
Madala pensò di dover dire qualcosa a Djimo, ma non si ricordò di ripetere la domanda a se stesso e perciò non seppe cosa dire. II capoccia faceva dei cenni a Maria, ma lei sembrava non capire.
La pianta che Madala stringeva in mano opponeva al suo sforzo una resistenza eccessiva. Per questo il suo pugno tremava.
L'uomo si immerse nella machamba. Negli attimi successivi, Maria agitò le braccia, si appoggiò alle fragili piante di grano e alla fine scom­parve anche lei. Nel punto in cui sì era immersa, le foglie del grano si agitarono per un po', ma poi l'ondulazione scomparve.
Il tono della voce di Djimo rivelava un certo nervosismo:
- Madala...
Ma il nervosismo scomparve subito. Djimo ordinò:
- Madala, non guardare laggiù!
Dentro Madala, qualcosa si contrasse. Ma non erano i fili della sua malattia.
Nella confusione verde del fondale della machamba, Maria non vide subito il capoccia. Agitò le braccia disperata, cercando di liberare le gambe. Un braccio le cinse le spalle duramente.
L'alito caldo e acido dell'uomo si avvicinò al suo volto.
La capulana di Maria sì sciolse durante la breve lotta e la sensazione fredda di acqua si fece più vivida. Un brivido la fece sussultare.
Avvertì tra le cosce nude la carezza aspra e tiepida delle dita callose dell'uomo.
Madala si guardò intorno. Nessuno lo guardava dritto negli occhi, ma tutti gli uomini dell'accampamento si erano messi all'ombra in modo tale da poterlo controllare. Solo il giovane del gruppo della stalla, che poco prima gli aveva rivolto la parola, manteneva la sua espressione irriveren­te.
Il silenzio si fece oppressivo. José, il kuka del gruppo degli orti, tossì insistentemente, ma il silenzio continuò a regnare. Nella penombra del fondale della machamba, la pelle esangue del capoccia aveva assunto un tono verdastro. II volto duro, contratto per il desiderio, riempì per un atti­mo gli occhi di Maria. L'alito di fuoco dell'uomo entrò attraverso le labbra semiaperte ubriacandola all'istante. Maria chiuse gli occhi senza rabbia e si abbandonò all'oscillazione.
Un calore leggero giunse con le onde sottomarine, si mescolò alle alghe increspate del fondale della machamba e zampillò dolcemente nel ventre di Maria.
Una a una, Madala strappò le foglioline della robusta pianta imma­ginaria che aveva in mano. Gli sfuggì una specie di singhiozzo quando sì avvide che i fili della sua malattia avevano minato i suoi organi a tal punto che non gli erano rimaste nemmeno le forze per sradicare una pianta che fosse più attaccata alla terra rispetto a quelle che strappava nella machamba.
- Non piangere Madala... - era Djimo.
N'Guiana e Filimone erano stati i primi del gruppo dei raccoglitori. Seguirono José e Maleisse che, sebbene ora lavorassero al dissodamento, in precedenza avevano fatto parte del gruppo di Madala. In un attimo tutti gli uomini del gruppo dei raccoglitori e molti degli altri gruppi erano intorno a Madala.
Madala prese ad accarezzare i rametti ora nudi della pianta immagi­naria.
 
- Maria, che sei venuta a fare qui? - la voce del capoccia era roca.
Schiacciato dal peso dell'uomo, il petto di Maria si muoveva con un affanno morbido e cadenzato. la voce del capoccia le giungeva mescolata a un rumore lontano di onde.
- Perché lo hai fatto? - mormorò.
- Eh?
- Perché? - Maria scosse l'uomo rudemente.
- Eh? - la mano del capoccia si chiuse indolente sul seno dì Maria. - Non ti è piaciuto? - l'uomo. si spostò di lato. - Eh, non ti è piaciuto? - si ricompose i vestiti e si girò verso Maria, - Ehi! È finita, sveglia!
Gli occhi di Maria brillavano nella penombra del fondale della machamha:
- Così non è buono... Di notte è più meglio! - e c'era del panico nella sua voce. - Ora Madala ha visto... Madala ha visto... - piagnucolò. - Ma lei hai detto era solo per mettere d'accordo per contrarci di sera...
- Andiamo, ragazzina, la festa è finita. Dopo ti do i soldi...
Maria sentì il suolo duro della machamba contro la sua schiena.
II capoccia fu il primo a riafforare alla superficie del mare verde. Si sbracciò per vincere il senso dì quella marea e si diresse verso le baracche.
Quando Maria emerse in superficie fu improvvisamente avvolta dal soffio prolungato dell'esclamazione del mare. Scosse via dalla capulana i grumi di sabbia e tornò alle baracche. Durante il cammino doveva alzare le mani ogni tanto per difendersi dall'ondulazione che il capoccia aveva provocato al suo passaggio.
Gli uomini del gruppo della stalla si fecero da parte per far passare Maria.
La ragazza odorava di salsedine.
L'espressione del volto del giovane del gruppo della stalla che si era preso con Madala era completamente cambiata. Ai tratti di odio si era sostituito lo sguardo cinico di poco prima. Al quarto tentativo riuscì a emettere alcuni suoni:
- Madala... c'è molto sole... dove lavori tu...
Madala pensò che prima di trovare le parole giuste, doveva dire qualcosa:
- Sì, ragazzo mio. Nella machamba c'è molto sole...
Ma il silenzio non fu rotto del tutto. Maria non alzava lo sguardo. In piedi, tutti gli uomini dell'accampamento guardavano per terra, fermi come pali.
- Madala. - la voce del giovane era più contenuta - Madala... dicci cosa dobbiamo fare! Parla e noi la faremo finita con tutto questo! Loro possono anche ucciderci ma noi non abbiamo paura di morire!
Un grido di approvazione si sollevò dalla massa compatta degli uomini dell'accampamento.
Madala alzò gli occhi e guardò uno a uno i suoi compagni.
- Madala, tutti noi abbiamo visto cosa ha fatto a tua figlia, proprio davanti a te! Di qualcosa, dilla Madala! - gli occhi supplichevoli del giovane cercavano avidamente una traccia di rivolta negli occhi di Madala.
L'intimo di Madala era addormentato.
Il capoccia spuntò da un angolo del vecchio granaio e con lo sguardo cercò Maria. Quando la individuò, le lanciò una moneta d'argento:
- Ecco quanto ti devo... — aveva tra le labbra una sigaretta accesa e un sorriso soddisfatto.
Maria liberò un braccio dalla capulana. Qualcuno tossi. Maria ritrasse la mano nervosamente. Incrociò le braccia al petto e si strinse le spalle con le mani.
- Allora Maria?! - gli occhi del capoccia erano pieni di sorpresa. Maria protese il corpo contro la parete del granaio e sviò lo sguardo. Madala la osservava tristemente. Lei chiuse gli occhi.
- Perché lo hai fatto? - sibilò sordamente.
Il capoccia appoggiò le mani sui fianchi e scoppiò in una breve risata:
- Ma si può sapere che hai, ragazzina? Non li vuoi i soldi? Hai paura a prenderli? - e tacque, aspettando la risposta di Maria. Ma poi riprese: - Hai paura che i ragazzi scoprano che sei una puttana?
Maria si strinse ancora di più nelle spalle e affondando le unghie nella schiena, piagnucolò:
- Madala ha visto noi... Madala ha visto...
- E questo che c'entra? - il capoccia allargò le braccia in segno di stupore, e poi le incrociò al petto.
- Madala è mio padre!
- Cosa?: - disse alla fine il capoccia.
Il volto giallo gli si tinse rapidamente di sangue.
- Io non sapevo che eri figlia di Madala... - gesticolò sgomento. - Io non lo sapevo... parola d'onore, Madala, parola che non lo sapevo... io non lo sapevo che hai una figlia... così bella... io... sono suo amico...
Il silenzio tra gli uomini era carico di tensione.
- Madala... - il capoccia si avvicinò a Madala - Madala, se vuoi puoi non lavorare oggi pomeriggio... resta qui all'accampamento a chiacchie­rare con tua figlia...
Madala nascose a terra il suo sguardo triste. Le sue dita. ignorando il volume della pianta invisibile, si chiusero con forza.
II silenzio sembrava disperare il capoccia. Balbettando con fare amichevole, esordì poi:
- Merda! Come facevo a saperlo? - si voltò verso gli uomini dell'accampamento, estendendo la domanda anche a loro. Muti, gli uomini re­starono fermi nella loro cupa rigidità.
- Merda! - ruggì il capoccia, pervaso dal terrore. - Madala, ti do un po' di soldi e vai con tua figlia alla mensa... - il capoccia cercava con ansia qualunque traccia di animosità nell'espressione velata di Madala. Il vecchio si incurvò ancora di più.
- Madala - balbettò il capoccia. La mano gli si interruppe a metà gesto e cadde. - Merda! - e si voltò fino a sparire dietro l'angolo di un granaio.
Il giovane del gruppo della stalla alzò la voce:
- Madala, tutti noi abbiamo visto cosa ha fatto a tua figlia proprio davanti a te!
Maria si portò le mani sulle spalle e singhiozzò.
Il capoccia spuntò dall'angolo del granaio con una bottiglia dì vino in mano:
- Ehi ragazzi - la sua voce era ferma. Guardò l'accampamento e urlò: - Andiamo a lavorare che è l'ora! Andiamo che è già passata l'una e mez­za! Dissodamento! Maleísse! Elias! Alberto! Gli uomini del dissodamento? Dissodamento, forza! Finire la foresta dal lato del fiume! Orti! Via orti! Morte agli insetti dei cavoli! Stalla! Gruppo della stalla, portate la mandria a bere! Raccoglitori! Con me! Via raccoglitori, via nella machamba!
Tutti in piedi, gli uomini dell'accampamento restarono immobili.
Le dita di Madala presero improvvisamente coscienza della pianta im­maginaria. Si aprirono e ripresero ad accarezzarla.
- Allora ragazzi? Non avete sentito? È suonata! la pausa è finita! - il capoccia gridava con crescente irritazione. Guardò la bottiglia che aveva in mano: - Madala!
Madala si alzò,
- Non avete sentito? Via ho detto! Via caproni!
Madala prese la bottiglia che gli aveva passato.
- Caproni! Cani! Al lavoro, cani!
Tutto l'accampamento guardava Madala. Il giovane del gruppo della stalla fece un passo:
- Madala!
Con un'espressione molto dura, Madala gettò uno sguardo ai volti an­siosi che lo circondavano.
La bottiglia era sudata e il vino era di un giallo sporco, rossastro. Madala bevve d'un fiato, lasciando che una buona parte gli bagnasse la barba e gli scorresse giù per il collo. Poi restituì la bottiglia al capoccia. — Figli di puttana! A lavorare, ho detto!
I pali oscillarono, debolmente.
Il silenzio era segno di disfatta.
Maria osservava tutto, in apprensione.
Il capoccia brandiva la bottiglia vuota, tenendola per il collo. - Figli di puttana!
Il giovane del gruppo della stalla sputò ai piedi di Madala:
- Cane!
Il vecchio ignorò l'insulto. Gli voltò le spalle e si avviò verso la machamba. N'Guiana e Filimone Io seguirono.
Djimo si voltò verso gli altri compagni:
- Andiamo...
- Svelti! Svelti! - ruggiva il capoccia. - Svelti, cani!
Gli uomini dell'accampamento, guidati da Djimo, iniziarono la marcia di ritorno al lavoro.
- Svelti! - il capoccia riprese.
La bottiglia si ruppe al primo colpo, ma il giovane del gruppo della stalla non si mosse. Il secondo colpo gli squarciò il cuoio capelluto. I piedi del capoccia gli pestarono il volto con rabbia:
- Fi-glio-di-put-ta-na!
 
Madala si inclinò in avanti e arrotolò il gambo di un arbusto intorno al polso. Tirò leggermente per vedere che la presa fosse buona. Poi lasciò pendere il corpo all'indietro fino allo strappo. Con cura mise la pianta per terra insieme al mazzo di quelle che aveva già strappato intorno. Allungò lo sguardo tra le piante di grano fino a distinguere il volto di Djimo. Anche Filimone, N'Guiana, Muthakati, Tandane e Muthambi erano vicini, Madala riusciva a vederli. Con un sospiro roco riprese il lavoro.
Al di sopra dei suoi strani pesci, la superficie del mare verde era percorsa da una brezza leggera. La lieve ondulazione provocata si disfaceva, avan­zava e di nuovo si disfaceva, mormorando il segreto delle conchiglie.
 
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Note:
            magaíça – lavoratore que ritorna dalle miniere del Sud Africa.
 
            machamba – terreno coltivato
 
            kuka – cuoco
 
            botwa – piatto tipico a base di farina e legumi
 
            capulana – tessuto di cotone che le donne mozambicane usano per colpirsi dalla vita fin             sotto le ginocchia
 
            cocuana – persona di una certa età, molto rispettabile, nonno
 
            m’tchovelo – piatto tipico a base di farina e legumi




(Brano tratto dalla raccolta di racconti Abbiamo ucciso il cane rognoso, Edizione Gorée, Siena, 2008. A cura di Roberto Francavilla. Traduzione di Sara Favilla.)




Luís Bernardo Honwana nasce a Maputo, l’allora Lourenço Marques, nel 1942, figlio di un interprete ronga-portoghese e dunque di quella classe di “traduttori” i quali, collocati nello spazio intermédio fra la casta dei funzionari portoghesi e il popolo, trasportano e decodificano il testo coloniale in tutte le sue sfaccettature: gli ordini, le consuetudini, le leggi, i modelli. Spostatosi a Lisbona, dove studia Diritto, collabora, ancora studente alle pagine di Notícias e poi alla rivista Mensagem, voce della Casa dos Estudantes do Império di Lisbona e vera e propria fucina della militanza politica e intellettuale africana. Tornato in Mozambico, intraprende la militanza aderendo al FRELIMO. Arrestato nel 1964, trascorre tre anni in carcere e viene in seguito costretto all’esilio. Ritornato in Mozambico solo dopo l’Indipendenza (1975), riveste incarichi politici sotto la presidenza di Samora Machel, svolgendo inoltre un’intensa attività diplomatica e divenendo membro del Consiglio Esecutivo dell’UNESCO. Nós matámos o cão tinhoso resta, purtroppo, la sua unica opera letteraria.




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