NELLA CESTA – Brano tratto dal romanzo La strega di Lezzeno – Raffaele Taddeo
(…) Tutta la comunità era in fibrillazione. Tutti si domandavano che cosa stesse succedendo, chi potesse essere l’accusata di stregoneria. Nessuno sapeva se ci fossero stati dei testimoni, né chi fossero.
Arrivarono dei giudici, ciò voleva dire che c’erano stati testimoni, c’erano state deposizioni e che quindi veramente c’era il sospetto di una strega in giro.
La vita nel paese sembrava svolgersi nel modo consueto, ma invece ciascuno era diffidente dell’altro. Ogni uomo guardava con sospetto la sua moglie, ogni padre osservava la sua figlia. Ma l’osservazione era reciproca perché ogni moglie guardava con sospetto il marito sia per avvertire segni di eresia di stregoneria nel suo uomo sfuggitole fino a quel momento, sia perché temeva di una testimonianza di suo marito.
Ciascuno dentro di sé sentiva colpe commesse e non commesse. Ciascuno sentiva il peso del rapporto con gli altri e tutta la precarietà di essi. L’altro, quello che la religione dice il prossimo, è un modo, una misura (diremmo oggi la cartina di tornasole) per capire la nostra colpa.
Non ho mai visto un momento in cui con maggiore frequenza la chiesa del nostro paese sia stata così frequentata e non ho mai visto tante confessioni come in quel momento.
Certamente la condotta di ciascuno sulla religione era impeccabile e non sembrava supporre la presenza di una possibile strega o stregone. Ogni moglie era discreta nei confronti del marito, né chiedeva, né rifiutava. Ogni marito era corretto nei confronti della moglie, né insisteva, né faceva violenza. I rapporti sessuali erano i più naturali possibile perché diversamente ciascuno temeva di finire inquisito.
Un venerdì mattino di quel maggio meraviglioso per colori e temperatura, poco prima della messa, sentii bussare delicatamente alla porta di casa. Io ero già pronta per andare a messa. Ignazio si era alzato qualche ora prima ed era andato a pescare. I bambini dormivano ancora. Chiesi chi fosse e sentii dire: Amici, ci manda il curato. Aprii senza temere alcunché. Entrarono velocemente quattro uomini insieme a padre Stefano e prima che potessi riavermi dalla sorpresa fui improvvisamente afferrata e sollevata da terra di almeno 30 centimetri.
Non ebbi tempo di capire cosa stesse capitando perché quasi subito comparvero altre quattro persone con una grossa cesta. A forza mi introdussero dentro legandomi perché non potessi fuggire e facendo in modo che io non toccassi terra. Non capii cosa stesse succedendo, ma subito un’angoscia profonda si impadronì di me. Compresi che ero io quella che si riteneva una strega.
In un attimo ripassai tutta la mia vita. Che cosa avevo fatto che potesse creare i sospetti di essere una strega? Possibile che io fossi una indemoniata, una posseduta dal demonio? Ero sempre stata osservante dei sacramenti. In tutta la mia vita non avevo perso una festività o il riposo domenicale che due o tre volte, forse, e quando era dipeso da circostanze di forza maggiore. O ero a letto ammalata o mi trovavo fuori casa in montagna e non avevo potuto rientrare in tempo al paese.
Chi poi aveva potuto testimoniare contro di me? Quali potevano essere le prove contro di me per potermi accusare di essere una strega?
Mi facevo tutte queste domande mentre venivo trasportata in un locale della chiesa e sempre tenuta nella cesta ma in modo tale che non potessi in alcun modo toccare terra.
Io, ormai non ero attenta a quanto gli uomini, che mi avevano preso prigioniera, facevano. Pensavo a mio figlio Lazzaro. Cosa ne sarebbe stato di lui?
Pensavo anche ad Ignazio e alla necessità che qualcuno gli volesse bene. Quell’uomo avrebbe potuto diventare un bandito, un assassino a causa della sua infelicità. Pensavo a mio padre, a mia madre e alla vergogna che avrebbero provato nel vedermi sospettata e accusata di stregoneria.
Già mentre ero trasportata, essendo nel cesto, nel locale della chiesa qualche donna del paese aveva subito inveito contro di me chiamandomi strega. Mi riteneva colpevole per il semplice fatto di essere in una cesta, senza aspettare che fossi realmente processata e fosse emessa una sentenza.
Ma molto spesso la violenza dell’accusa che si fa contro un altro deriva dalla liberazione della paura di poter essere incolpati di quello stesso crimine. Chi grida molto forte di fronte al peccato di un altro, accusandolo, molto spesso è anche lui peccatore dello stesso peccato.
Era stata allestita in una stanza all’interno della canonica, non comunicante con l’esterno, una pedana tutta di legno perché io non potessi mai toccare terra.
Mi fornirono di un pitale per i miei bisogni corporali. Mi davano da mangiare una volta la giorno. Non sapevo che cosa mi sarebbe capitato. C’erano state delle streghe nel nostro paese, ma era passato molto tempo da quando ciò si era verificato. Si sapeva che le streghe erano sottoposte a costrizioni fisiche indicibili, ma di preciso nessuno conosceva nulla.
In seguito Luciano mi disse poi che in quella settimana i giudici avevano riesaminato tutte le carte, avevano rinterrogato i testimoni, che avevano confermato tutti quanti la loro precedente testimonianza. Mio padre, era sempre più dubbioso, ma anche lui aveva ridato la stessa testimonianza.
Era passata una settimana, forse qualche giorno di più. Ormai io stavo perdendo la cognizione del tempo.
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(Il capitolo riportato fa parte del romanzo La strega di Lezzeno, pubblicato come libro e-book su Lulu.)
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