SAN VALENTINO Rubem Fonseca Se c’è una cosa che proprio non mi va giù sono i ricattatori. Sennò di certo non sarei uscito di casa quel sabato, nemmeno per tutto l’oro del mondo.
L’avvocato Medeiros mi ha chiamato e mi ha detto, è un ricatto, e il mio cliente paga bene. Il suo cliente era J.J. Santos, il banchiere. Mandrake, ha continuato Medeiros, la faccenda deve essere risolta senza lasciare traccia, capito? Capito, ma costerà una barca di soldi, ho detto, guardando la principessa bionda che era con me. Lo so, lo so, ha detto Medeiros. Lo sapeva davvero, era stato politico, era passato per il governo, si era fatto una pensione da ministro, sapeva bene come giravano le cose. Quel sabato era iniziato male. Mi svegliai nervoso, col mal di testa. Postumi di una notte di baldoria. Vagai per casa, ascoltai Nelson Gonçalves, aprii il frigorifero e mangiai un pezzo di caciocavallo.
Presi la macchina e andai a Itanhangá, dove i ricconi giocano a polo. Mi piace vedere i ricchi che sudano. È lì che incontrai la bionda. Sembrava un fiore ricoperto di rugiada, la pelle sana e pulita, gli occhi luccicanti di salute. I giocatori di polo finiranno tutti all’inferno, dissi. Come? Chiese lei. Il giorno del giudizio i ricchi andranno a farsi fottere, risposi. Un socialista romantico! Rise lei, con disprezzo. Era quella bionda che stava nel mio appartamento quando l’avvocato Medeiros ha chiamato. J.J. Santos il banchiere di Minas Gerais, quello stesso sabato, stava discutendo con sua moglie se andare o no al matrimonio della figlia di uno dei suoi soci.
Non ci vado, disse la moglie di J.J. Santos, vacci tu. Lei preferiva restare a guardare la tivù e mangiare biscottini. Sposati da dieci anni, erano arrivati al punto in cui o ti rassegni e muori ingabbiato o mandi al diavolo tua moglie e sei libero. J.J. Santos si mise un abito scuro, camicia bianca, cravatta argentata. Io presi la principessa bionda e dissi, vieni con me. Era il giorno di San Valentino. Hai mai letto un libro di poesie? Mi chiese lei. Guarda, risposi, non ho mai letto nessun libro, tranne quelli di diritto. Lei rise. Ce li hai tutti i denti? Chiesi. Ce li aveva tutti. Aprì la bocca e vidi le due fila, sopra e sotto. Roba da ricchi. Arrivammo al mio appartamento. Dissi quello che succederà qui, tra noi due, sarà diverso da tutto quello che ti è già successo, principessa mia. Fammi il trailer, disse lei. Quando sono nato mi hanno chiamato Paulo, che è un nome da papa, ma sono diventato Mandrake, una persona che non prega, e parla poco, ma che fa le mosse giuste. Preparati principessa, per una cosa mai vista. In quel momento squillò il telefono. Era l’avvocato Medeiros. L’altare era coperto di fiori. La sposa, accompagnata dal padre, sfilava silenziosamente per la navata della chiesa, al suono di un coro intonato. Lo sposo, come sempre, aveva una faccia da culo mentre aspettava la sposa sull’altare.
Alle 8 J.J. Santos uscì dalla chiesa, prese il suo Mercedes per andare a casa dei genitori della sposa a Ipanema. L’appartamento era pieno, J.J. Santos salutò tutti, scherzò con gli sposi e mezz’ora dopo uscì senza dare nell’occhio. Non sapeva bene cosa volesse fare. Di certo non tornare a casa a guardare vecchi film doppiati sulla tivù a colori. Prese la macchina e guidò lungo la spiaggia di Ipanema, verso Barra da Tijuca. Viveva a Rio soltanto da un anno, trovava la città affascinante. Cinquecento metri più avanti, J.J. Santos vide la ragazza ferma sul marciapiede. Le casse della macchina trasmettevano musica in stereo e J.J. Santos era emozionalmente predisposto. Non aveva mai visto una ragazza così bella. Aveva creduto che lei lo avesse guardato, ma forse si sbagliava, lei non era il tipo di zoccola da spiaggia, di quelle che stanno lì ad adescare i clienti che passano in macchina. Era già alla fine di Leblon quando decise di tornare indietro, forse la ragazza era ancora lì, voleva vederla di nuovo. La ragazza era lì, certo, curva sul finestrino di una vecchia Volkswagen – discuteva il prezzo? J.J. Santos si fermò una ventina di metri indietro, lampeggiando gli abbaglianti della sua macchina. La ragazza si girò, vide il Mercedes e lasciò il tipo della Volks a parlare da solo. Si avvicinò camminando lentamente, con perfetto equilibrio fisico, sapendo posare il piede a terra e distribuire il peso sui muscoli del corpo mentre si muoveva. Infilò la testa nel finestrino e disse ciao. Il suo volto era molto giovane, ma la voce sembrava più matura. Ciao, rispose J.J. Santos, guardandosi intorno preoccupato che qualcuno lo vedesse lì fermo, entra. La ragazza entrò e J.J. Santos mise in moto la macchina. Quanti anni hai? Chiese J.J. Santos. Sedici, rispose la ragazza. Sedici! Disse J.J. Santos. Dai, scemo, che c’è? Se non vengo con te, vado con un altro. Come ti chiami? Chiese J.J. Santos con la coscienza più leggera. Viveca. Dall’altra parte della città, dove stavo io.
Mi chiamo Maria Amélia, non chiamarmi principessa, che cosa ridicola! Disse la bionda. Ma che cazzo, risposi. Sei volgare, grezzo e ignorante. Vabbè. La chiudiamo qui? Ma che vuol dire? Vuoi andartene? Vai pure. Ma non sai nemmeno parlare, tu? Già. Sei un deficiente! La bionda scoppiò a ridere divertita, tutti i denti che scintillavano. Anch’io risi. Eravamo entrambi molto interessati uno all’altro. Ho la fissa per le donne ricche. Insomma, come ti chiami? Paulo, Mandrake, Picasso? La domanda non è giusta. Devi chiedermi insomma, chi sei? Insomma, chi sei? Non lo so, risposi. La paranoia ora colpisce anche i poveri! Disse la bionda. J.J. Santos sapeva che Barra era piena di alberghetti. Non ne aveva mai frequentato nessuno, ma aveva sentito le storie. Si diresse al più famoso.
Scelse la suite presidenziale. La suite presidenziale aveva la piscina, tivù a colori, radio, sala da pranzo e la camera era piena di lampadari e tutto era ricoperto di specchi. J.J. Santos era emozionato. Vuoi bere qualcosa? Chiese alla ragazza. Un guaranà, rispose lei modestamente. Il cameriere portò guaranà e Chivas Regal. J.J. Santos bevve un sorso, si tolse la giacca e disse, vado in bagno, fa come se fossi a casa tua. Quando tornò dal bagno, la ragazza era nuda, sdraiata sul letto a pancia in giù. J.J. Santos si tolse i vestiti e si coricò al suo lato, facendogli qualche carezza, guardandosi negli specchi. Poi la ragazza si voltò a pancia in su, un sorriso sulle labbra. Non era una ragazza. Era un uomo, il pene che si rifletteva, minacciosamente duro, nei moltissimi specchi. J.J. Santos balzò sul letto. Viveca si rigirò a pancia in giù. Voltandosi, guardò negli occhi J.J. Santos e chiese dolcemente, non mi vuoi? B-brutto pe-pederasta sve-svergognato, disse J.J. Santos. Raccolse i suoi vestiti e corse in bagno dove si rivestì in fretta. Non mi vuoi? Disse Viveca, ancora nella stessa posizione quando J.J. Santos tornò in camera. J.J. Santos, turbato, si mise la giacca e tirò fuori il portafoglio dalla tasca. Portava sempre un sacco di soldi con sè. Quel giorno aveva duemila cruzeiros in banconote da cinquecento. Roba da provinciali. I documenti erano nel portafoglio. I soldi scomparsi. E oltretutto mi hai rubato i soldi! Cosa? Cosa? Mi dai del ladro? Io non sono un ladro! Gridò Viveca, saltando sul letto. All’improvviso una lametta comparse fra le sue dita. Mi dai del ladro! Con un gesto rapido Viveca sferzò il primo colpo sul proprio braccio, e un filo di sangue gorgogliò sulla pelle. J.J. Santos, impietrito, fece un gesto di disgusto e paura.
Sono un viado, sì, sono un VI-III-ADO! L’urlo di Viveca sembrava voler rompere tutti gli specchi e i lampadari. Non farlo, supplicò J.J. Santos spaventato. Sapevi benissimo cos’ero, mi hai portato qui sapendo tutto, e ora mi disprezzi come se fossi spazzatura, singhiozzò Viveca, mentre colpiva di nuovo il braccio con la lametta. Non sapevo proprio niente, sembri una ragazza, truccata, con questa parrucca. Questa non è una parrucca, sono i miei capelli, vedi come mi tratti? Altro colpo sul braccio, a questo punto coperto di sangue. Smettila! Chiese J.J. Santos. Non la smetto! Non la smetto! Mi hai dato del ladro, ladro, ladro! Sono povero ma sono onesto. Tu hai i soldi e pensi che gli altri siano spazzatura! Ho sempre voluto morire distruggendo un potente, come nel film La Vedova Nera! L’hai visto La Vedova Nera? Chiese Viveca, avvicinando la lametta al collo, sopra la carotide, gonfia per lo sforzo delle grida. Perdonami, chiese J.J. Ora è tardi, disse Viveca. Nel frattempo io arrivavo a casa con la riccona.
Lei si era seduta sulla poltrona con quell’aura che cresceva tra noi due, due esseri sovrani, in transito tranquillamente uno verso l’altro. Fammi il trailer, aveva detto lei. Preparati, principessa, per una cosa mai vista. In quel momento chiamò l’avvocato Medeiros. Il mio cliente, il banchiere J.J. ha preso una donna per strada, l’ha portata in un alberghetto e, arrivato là, ha scoperto che era un travestito. Il travestito ha rubato duemila cruzeiros al mio cliente. Hanno litigato e il travestito, armato di lametta, ora minaccia di suicidarsi se non riceverà diecimila cruzeiros in contanti. Il mio cliente mi ha chiesto i soldi; ce li ho qui. Noi vogliamo dare i soldi e chiudere la faccenda. Tu che hai esperienza di casi di questo genere, vorremmo che ti facessi carico della cosa. Niente polizia, diamo i soldi e facciamo in modo che venga tutto insabbiato. La faccenda deve essere risolta senza lasciare traccia, capito? Capito, ma costerà una barca di soldi, ho detto io, guardando la principessa bionda al mio fianco. Lo so, lo so, ha detto Medeiros, soldi non mancano. J.J. e Viveca stavano dentro al Mercedes, fermi sulla spiaggia. (Traduzione di Julio Monteiro Martins insieme ai suoi allievi dell’Università di Pisa: Serena Cacchioli, Julia Seebach, Martina Ricci, Laura Sabrina Domingues, Luca Roccioletti, Pamela Marcano e Giuseppina Amico. Il racconto “San Valentino” – titolo originale “Dia Dos Namorados”, è apparso nella raccolta “Feliz Ano Novo”. del 1975, 2° edizione: Editora Companhia das Letras, São Paulo, 1999.) Rubem Fonseca è considerato il più importante scrittore brasiliano di narrativa vivente.
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