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Sagarana IL CAMPO MINATO


– Brano tratto dal romanzo Trilogia della città di K.


Agota Kristof


IL CAMPO MINATO



 

Nostro Padre ritorna.
Non rivedremo nostro Padre che molti anni dopo.
Nel frattempo Nonna ha avuto un nuovo attacco e noi l’abbiamo aiutata a morire come ci aveva chiesto. Ora è sepolta nella stessa tomba di Nonno. Prima che aprissero la tomba, abbiamo recuperato il tesoro e l’abbiamo nascosto sotto la panca davanti alla nostra finestra, dove ci sono ancora il fucile, le cartucce, le bombe.
Una sera arriva Padre, domanda:
Dov’è vostra Nonna?
E’ morta.
Vivete tutti soli? Come ve la cavate?
Molto bene, Padre.
Dice:
Sono venuto qui di nascosto. Bisogna che mi aiutiate.
Diciamo:
Sono anni che non abbiamo vostre notizie.
Ci fa vedere le mani. Non ha più unghie. Gli sono state strappate alla radice.
Sono appena uscito di prigione. Mi hanno torturato.
Perché?
Non lo so. Per niente. Sono un individuo politicamente sospetto. Non mi è permesso esercitare la mia professione. Sono costantemente sorvegliato. Frugano nel mio appartamento regolarmente. Non potrò vivere ancora a lungo in questo paese.
Diciamo:
Volete attraversare la frontiera.
Dice:
Sì. Voi che vivete qui dovete conoscere, sapere...
Sì, noi conosciamo, sappiamo. La frontiera è invalicabile.
Padre abbassa la testa, si guarda le mani per un istante, poi dice:
Ci deve essere un punto debole. Ci deve ben essere un modo per passare.
Sì, a rischio della vita.
Preferisco morire piuttosto che restare qui.
Bisogna che vi decidiate con cognizione di causa, Padre.
Dice:
Vi ascolto.
Spieghiamo:
La prima difficoltà è arrivare al primo reticolato senza incontrare una pattuglia, senza essere visti da una torretta di guardia. E’ fattibile. Noi conosciamo gli orari delle pattuglie e l’ubicazione delle torrette. La barriera ha un metro e cinquanta di altezza e un metro di larghezza. Ci vogliono due assi. Una per arrampicarsi sulla barriera, l’altra bisogna appoggiarla sopra per riuscire a stare in piedi. Se perdete l’equilibrio finite in mezzo ai fili e non potete più uscire.
Padre dice:
Non perderò l’equilibrio.
Proseguiamo:
Bisogna recuperare le due assi per passare nello stesso modo l’altra barriera che si trova sette metri più in là.
Padre ride:
E’ un gioco da ragazzi.
Sì, ma il terreno tra le due barriere è minato.
Padre impallidisce:
Allora è impossibile.
No. E’ questione di fortuna. Le mine sono disposte a zigzag, a W. Seguendo una linea diritta si rischia di camminare su di una sola mina. Facendo grandi passi si ha pressappoco una probabilità su sette di evitarla.
Padre riflette un istante, poi dice:
Accetto il rischio.
Diciamo:
In questo caso vogliamo proprio aiutarvi. Vi accompagneremo fino alla prima barriera.
Padre dice:
D’accordo. Vi ringrazio. Non avreste per caso qualcosa da mangiare?
Gli serviamo del pane con del formaggio di capra. Gli offriamo anche del vino proveniente dalla vecchia vigna di Nonna. Versiamo nel suo bicchiere qualche goccia del sonnifero che Nonna sapeva preparare così bene con le erbe.
Conduciamo nostro Padre in camera nostra, diciamo:
Buonanotte, Padre. Dormite bene. Vi sveglieremo noi domani.
Andiamo a coricarci sulla panca ad angolo della cucina.
La separazione.
L’indomani mattina ci alziamo molto presto. Ci assicuriamo che nostro Padre dorma ancora profondamente.
Prepariamo quattro assi.
Dissotterriamo il tesoro di Nonna: monete d’oro e d’argento, molti gioielli. Ne mettiamo la maggior parte in un sacco di tela. Prendiamo anche una bomba a testa, nel caso fossimo sorpresi da una pattuglia. Uccidendoli possiamo guadagnare tempo.
Facciamo un giro di ricognizione vicino alla frontiera per scegliere il luogo più adatto: un angolo morto tra due posti di osservazione. Lì, ai piedi di un grosso albero, nascondiamo il sacco di tela e due assi.
Rientriamo e mangiamo. Più tardi portiamo la colazione a nostro Padre. Dobbiamo scuoterlo perché si svegli. Si frega gli occhi e dice:
Da molto tempo non dormivo così bene.
Posiamo il vassoio sulle sue ginocchia. Dice:
Che banchetto! Latte, caffè, uova, prosciutto, burro, marmellata! Queste cose sono introvabili nella Grande Città. Come avete fatto?
Lavoriamo. Mangiate, Padre. Non avremo il tempo di offrirvi un altro pasto prima della vostra partenza.
Domanda:
E’ per stasera?
Diciamo:
E’ per subito. Appena sarete pronto.
Dice:
Siete matti? Mi rifiuto di passare questa frontiera di merda in pieno giorno! Ci vedranno.
Diciamo:
Anche noi abbiamo bisogno di vedere, Padre. Solo le persone stupide cercano di passare la frontiera di notte. La notte, la frequenza delle pattuglie è moltiplicata per quattro e la zona è continuamente spazzata dai proiettori. Al contrario la sorveglianza è più debole verso le undici del mattino. Le guardie di frontiera pensano che nessuno sia così matto da cercare di passare in quel momento.
Padre dice:
Avete certamente ragione. Mi fido di voi.
Domandiamo:
Permettete che frughiamo nelle vostre tasche mentre mangiate?
Le mie tasche? Perché?
Bisogna che non possano identificarvi. Se vi capita qualcosa e si viene a sapere che siete nostro padre saremo accusati di complicità.
Padre dice:
Pensate proprio a tutto.
Diciamo:
Dobbiamo pensare alla nostra sicurezza.
Frughiamo i suoi abiti. Prendiamo i suoi documenti, la sua carta d’identità, la sua agendina degli indirizzi, un biglietto del treno, delle fatture e una fotografia di nostra Madre. Bruciamo tutto nel fornello della cucina, salvo la foto.
Alle undici partiamo. Ognuno di noi porta un’asse.
Nostro Padre non porta niente. Gli domandiamo solo di seguirci facendo meno rumore possibile.
Arriviamo vicino alla frontiera. Diciamo a nostro Padre di coricarsi dietro il grosso albero e di non muoversi.
Ben presto, a qualche metro da noi, passa una pattuglia di due uomini. Li sentiamo parlare:
Mi chiedo cosa ci sarà da mettere sotto i denti.
La solita merda.
C’è merda e merda. Ieri faceva schifo, ma qualche volta è mica male.
Mica male? Non lo diresti se avessi assaggiato la minestra di mia madre.
Non ho mai assaggiato la minestra di tua madre. Io una madre non ce l’ho mai avuta. E non ho mangiato altro che merda. Nell’esercito, almeno, qualche volta riesco a mangiare bene.
La pattuglia si allontana. Diciamo:
Avanti, Padre. Abbiamo venti minuti prima dell’arrivo dell’altra pattuglia.
Padre prende le due assi sotto le braccia; avanza, posa una delle assi contro la barriera, sale.
Ci corichiamo pancia a terra dietro il grosso albero, ci tappiamo le orecchie con le mani, apriamo la bocca.
C’è un’esplosione.
Corriamo fino al reticolato con le altre due assi e il sacco di tela.
Nostro Padre è coricato vicino alla seconda barriera.
Sì, c’è un solo mezzo per attraversare la frontiera: consiste nel far passare qualcuno davanti a sé.
Prendendo il sacco di tela, camminando sulle tracce dei passi, poi sul corpo inerte di nostro Padre, uno di noi se ne va nell’altro paese.
Quello che resta torna in casa di Nonna.






Brano tratto dal romanzo Trilogia della città di K., Il grande quaderno, La prova e La terza menzogna, Einaudi editore, Torino, 1998. «Il grande quaderno»: traduzione di Armando Marchi, «La prova»: traduzione di Virginia Ripa di Meana, «La terza menzogna»: traduzione di Giovanni Bogliolo.




Agota Kristof
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