MARIANA Machado de Assis
CAPITOLO I
“Che ne sarà stato di Mariana?” si chiese Evaristo a Largo da Carioca, mentre si congedava da un amico, il quale a sua volta gli aveva fatto ricordare quella vecchia amica.
Correva l’anno 1890. Da alcuni giorni Evaristo era tornato dall’Europa, dopo diciotto anni trascorsi nel vecchio continente. Aveva lasciato Rio de Janeiro nel 1872 e contava di rimanere all’estero fino al 1874 o 1875, dopo aver visitato alcune città celebri e pittoresche, ma il viaggiatore fa i suoi programmi e Parigi per lui ne ha ben altri. Nel 1873, una volta entrato in quel mondo totalmente nuovo, Evaristo si lasciò cullare oltre il termine prefissato; posticipò il viaggio di ritorno di un anno, di un altro anno e alla fine non pensava più di ritornare in patria. Si era disinteressato delle nostre cose, negli ultimi tempi non leggeva più neanche una notizia sul Brasile. A Parigi conosceva uno studente con pochi mezzi che prendeva in prestito dei giornali brasiliani e dopo gli riferiva l’una o l’altra notizia rilevante.
Finché nel novembre 1889 andò a fargli visita un reporter parigino che gli riferì di una vera rivoluzione a Rio de Janeiro[1], chiedendogli informazioni politiche, sociali e biografiche. Evaristo rifletté.
– Caro signore, disse al reporter, queste notizie penso proprio che dovrò andarmele a cercare di persona.
Non avendo né partito né opinione, nemmeno parenti prossimi o interessi di alcun tipo (tutti i suoi averi ormai si trovavano in Europa), mal si poteva capire la sua decisione improvvisa, determinata da semplice curiosità. Tuttavia non ci fu altra ragione. Voleva vedere il nuovo aspetto delle cose. Si informò sulla prossima data di rappresentazione all’Odéon della commedia di un suo amico, calcolò che, partendo con la prossima nave e ritornando tre settimane dopo avrebbe fatto in tempo a comprare i biglietti ed andare a teatro, fece le valigie e si imbarcò.
“Che cosa ne sarà stato di Mariana? ripeteva adesso, scendendo la strada, Rua da Assembleia. Forse sarà morta…se è ancora viva sicuramente è ormai un’altra donna, avrà all’incirca quarantacinque anni…oplà! Quarant’otto! Era più giovane di me di circa cinque anni. Quarant’otto...bella donna! Gran donna! Gran bell’amore!”
Evaristo desiderò vederla. Chiese con discrezione, seppe che abitava nella stessa casa dove l’aveva vista l’ultima volta che si erano incontrati, Rua do Engenho Velho, ma non si faceva vedere da mesi, per via del marito che stava male, in punto di morte.
– Anche lei probabilmente sarà un po’ sciupata, disse Evaristo al conoscente che gli dava quelle informazioni.
– Non creda, sa? L’ultima volta che la vidi era ancora piuttosto avvenente. Non dimostra più di quarant’anni. Le dico una cosa, oggi ci sono in giro delle magnifiche rose, ma come i nostri cedri, nati tra il 1860 e il 1872 sembra non ne nascano più.
– Nascono; sei tu che non li vedi, rispose Evaristo.
Tutto ciò gli aumentò il desiderio di vedere Mariana. Che sguardo avrebbero avuto l’una per l’altro? Quali immagini antiche sarebbero tornate a trasformare la realtà presente? Il reale motivo del viaggio di Evaristo, è bene chiarirlo, non erano state le vacanze, piuttosto la ricerca della guarigione! Adesso che il tempo aveva fatto la sua opera, che effetto avrebbe avuto su di loro, nel momento dell’incontro, lo spettro del 1872, quel triste anno della loro separazione che per poco non fece impazzire l’uno e non causò la morte all’altra?
CAPITOLO II
Qualche giorno dopo lui scese da una carrozza davanti alla porta di Mariana e consegnò un biglietto da visita al domestico, che lo fece accomodare in salotto.
Mentre aspettava gettò uno sguardo intorno e rimase sorpreso. I mobili erano gli stessi di diciotto anni prima. La memoria, incapace di ricostruire da lontano, ora li riconosceva uno a uno, così come la loro disposizione, che non era mai cambiata. Avevano l’aspetto vetusto. Gli stessi fiori artificiali dentro un grande vaso sopra la credenza si erano sbiaditi con il tempo. Tutto si presentava come delle ossa disperse che l’immaginazione poteva ricomporre per creare una figura alla quale mancava soltanto l’anima.
Tuttavia nemmeno l’anima mancava in quel salotto. Sulla parete, sopra il divano, restava appeso il ritratto di Mariana. Era stato dipinto quando lei aveva venticinque anni; la cornice dorata, scrostata in alcuni punti, contrastava con la fresca e sorridente figura del ritratto. Il tempo non aveva rovinato la bellezza. Mariana era lì, vestita alla moda del 1865, con i suoi begli occhi rotondi e innamorati. Era l’unico soffio di vita in quel salotto; di per sé bastava per donare a quell’ambiente decrepito una certa atmosfera di gioventù perduta. Evaristo fu preso da una grande emozione. Davanti al ritratto si trovava una sedia e lui si mise seduto ad ammirare la giovane di un tempo. Gli occhi dipinti fissavano quelli naturali, un po’ sorpresi dall’incontro e dal cambiamento perché gli occhi naturali non avevano la freschezza e la gioia del dipinto. Poco durò questa differenza; la vita passata dell’uomo gli restituì la giovinezza esterna e gli sguardi si inebriarono a vicenda, così come nei loro vecchi peccati.
Di seguito, lentamente, Mariana scese dalla tela e dalla cornice e si mise a sedere davanti ad Evaristo, si chinò, distese le braccia e le appoggiò sulle ginocchia a mani aperte. Evaristo prese le sue mani e le strinse gentilmente. Non si chiesero niente che riguardasse il passato, perché il passato ancora non c’era. Entrambi si trovavano nel presente, le ore si erano fermate istantaneamente ed erano talmente fisse che sembravano aver fatto un provino il giorno prima per questa messa in scena unica ed infinita. Tutte le lancette degli orologi della città e del mondo si fermarono in maniera molto discreta e tutti gli orologiai cambiarono subito mestiere. Addio, vecchio Lago di Lamartine! Evaristo e Mariana si erano ancorati nell’oceano dei tempi. E lì vennero le parole più dolci e anche quelle più calde che mai si erano dette le labbra di un uomo e una donna e parole mute, folli, morenti, di gelosia e di perdono.
– Come stai?
– Bene e tu?
– Morivo per te. È un’ora che ti aspetto con ansia quasi piangendo; ma ora mi vedi allegra e sorridente, tutto perché è appena entrato in questo salotto il migliore degli uomini. Perché hai fatto tardi?
– Se tu mi amassi come dici, non avresti perso più di due minuti ognuna delle volte e saresti qui da tre quarti d’ora. Perché sorridi?
– La seconda volta è stato tuo marito a trattenermi.
Mariana tremò.
– Eravamo qui vicino, continuò Evaristo; abbiamo parlato di te, lui per primo a proposito di qualcosa che non ricordo bene e ha parlato con affetto, con parole amorevoli. Sono quasi arrivato a credere che ciò significasse un legame tra me e lui, un modo per conquistare la mia fiducia. Alla fine ci siamo congedati ed io sono rimasto ancora un po’ a assicurami che lui non sarebbe tornato indietro. Ecco perché ho fatto tardi ed ecco la causa delle mie inquietudini.
– Non venire ancora una volta con la tua eterna diffidenza, replicò Mariana con un sorriso, proprio come nella tela poco prima. Cosa posso fare? Xavier è mio marito; non posso mandarlo via, nemmeno punirlo, né ammazzarlo soltanto perché tu e io ci amiamo.
– Ma tu lo ami, Mariana.
– Amo te e nessun’altro, rispose lei, evitando così la risposta negativa, che le sembrava troppo cruda.
Fu quello che pensò Evaristo; ma non accettò la delicatezza della forma indiretta. Soltanto la negazione vera e propria avrebbe potuto accontentarlo.
– Tu lo ami, insistette.
Mariana rifletté per un attimo.
– Perché devi capovolgere così la mia anima e il mio passato? disse lei. Per noi il mondo è iniziato da quattro mesi e non finirà più, o finirà quando ti sarai stancato di me, perché io non cambierò mai…
Evaristo si mise in ginocchio, le prese le braccia, le baciò le mani e ci appoggiò il viso; alla fine fece cadere la testa sulle ginocchia di Mariana. Rimasero così per alcuni istanti, finché lei non sentì le dita bagnate, sollevò la testa e vide i suoi occhi gonfi di lacrime. Che era successo?
– Niente, rispose lui. Addio.
– Ma che è successo?
– Tu lo ami, ripeté Evaristo, e la sola idea mi sconvolge e mi spaventa, perché io sarei capace di ucciderlo, se fossi sicuro che ancora lo ami.
– Tu sei un uomo singolare, ribatté Mariana, dopo avergli asciugato gli occhi con i capelli che aveva sciolto velocemente per offrirgli il migliore fazzoletto al mondo. Se lo amo? No, non lo amo ormai, ecco la risposta che ti aspettavi. Adesso, però, lascia che ti dica tutto, perché la mia indole non mi permette mezze confessioni.
Stavolta fu Evaristo a tremare; ma la curiosità gli mordeva il cuore, di modo che non poté fare altro che aspettare ed ascoltare. Appoggiato alle ginocchia di Mariana udì il suo breve racconto. Mariana parlò del suo matrimonio, della resistenza del padre, del dispiacere della madre, e della loro persistenza, sua e di Xavier. Aspettarono dieci mesi, ben decisi, lei meno paziente di lui, perché la passione che la pervadeva era sufficientemente forte da farle prendere una decisione intempestiva. Parlò delle lacrime che aveva versato per il promesso sposo, delle maledizioni contro i propri genitori che aveva soffocato nel cuore, lei che era una timorata di Dio e che non voleva che quelle parole, come armi di parricidio, finissero per condannarla, non all’inferno, ma peggio: alla separazione dall’uomo che amava. Alla fine la costanza vinse, il tempo si occupò di disarmare i vecchi, il matrimonio si era consumato da ormai sette anni. La passione degli sposi si era prolungata nella vita coniugale. Con il tempo venne la pace e con essa la stima. I cuori erano in armonia, i ricordi della lotta, un tempo pungenti e ora dolci. Una felicità serena venne a fargli compagnia. Ma quando questa si esaurì non diede posto né alla disgrazia né alla noia, ma all’apatia, una figura pallida, priva di movimento, che a malapena sorrideva e che non le faceva ricordare più niente. Fu in quel periodo che Evaristo apparve nella sua vita. Non la rubò all’amore di nessuno e per questo niente aveva a che vedere con il passato, niente che fosse un mistero e nemmeno che potesse portare a pentimenti.
– Pentimenti? Interruppe lui.
– Potresti supporre che io li abbia, ma non li ho né li avrò mai.
– Grazie! Disse Evaristo dopo qualche secondo, ti ringrazio per l’onestà. Non parlerò più di tale argomento. Non lo ami e questo mi basta. Che bella sei quando lo giuri e mi parli del nostro futuro. Sì! Basta. Ci sono io qui davanti a te!
– Amo solo te, caro.
– Soltanto me? Giura ancora una volta!
– Per questi occhi, rispose lei, baciandogli gli occhi, per queste labbra, baciandogli la bocca. Per la mia vita e per la tua!
Evaristo ripeté le stesse formule, con gli stessi gesti. In seguito, si mise a sedere davanti a Mariana, come prima. Lei si alzò e subito dopo si inginocchiò davanti a lui. I capelli sciolti le stavano benissimo e a lui dispiacque non essere un artista per ritrarla e immortalarla così al mondo. Glielo disse ma lei non proferì parola; aveva gli occhi supplicanti fissi su di lui. Evaristo si inchinò, guardandola negli occhi e così rimasero una, due, tre ore finché qualcuno non venne a svegliarli.
– Prego, si accomodi.
CAPITOLO III
Evaristo ebbe un soprassalto. Davanti a lui si trovava lo stesso uomo che gli aveva aperto la porta e lo aveva fatto accomodare in salotto. Si alzò in fretta; Mariana rientrò nella tela appesa sulla parete, dove lui ancora una volta la vide vestita alla moda del 1865, acconciata e tranquilla. Come nei sogni, i pensieri, i gesti e gli atti si misurarono con un altro tempo, oltre il tempo stesso, tutto durò cinque o sei minuti, quelli impiegati dall’inserviente per consegnare il biglietto da visita di Evaristo e tornare a chiamarlo. Evaristo provava ancora la sensazione delle carezze della giovane donna, e sembrava veramente essere tornato tra il 1869 e 1872, perché le tre ore della sua immaginazione furono una concessione del tempo. Tutta la storia riaffiorò con la gelosia che lui provava verso Xavier, il loro perdonarsi e le carezze reciproche. Gli mancò soltanto la crisi finale, quando la mamma di Mariana, avendo saputo tutta la storia, si mise fra loro in maniera coraggiosa e li separò. Mariana decise di morire, arrivò ad ingerire veleno e fu necessaria la disperazione della madre per farla tornare in vita. Xavier, che allora non si trovava a Rio, niente seppe di quella tragedia, se non che la moglie per poco non moriva a causa di uno scambio di certi medicinali. Evaristo volle ancora vederla una volta prima di partire ma non gli fu concesso.
– Sono pronto, disse lui al domestico, che lo aspettava.
Xavier si trovava nel salotto contiguo, sdraiato su un divano, con la moglie e alcuni amici accanto. Evaristo entrò emozionato. La luce era fiacca e il silenzio profondo. Mariana teneva tra le sue una delle mani dell’infermo, fissa ad osservarlo, temendo la morte o una nuova crisi. A malapena alzò gli occhi verso Evaristo e gli porse la mano; tornò subito a guardare il marito, il cui viso mostrava la lunga sofferenza e la cui agonia sembrava il preludio della grande opera infinita. Evaristo vide appena il viso di Mariana e si ritirò in un angolo, senza osare fissare la figura della donna o seguirne i movimenti. Il medico arrivò, esaminò l’infermo, confermò le prescrizioni già fatte e si ritirò per ritornare soltanto la sera. Mariana lo accompagnò fino all’uscio, interrogandolo a bassa voce e cercando di leggere nel suo viso le verità che le parole nascondevano. In quel momento Evaristo poté osservarla; il dolore sembrava maltrattarla più degli anni. Riconobbe le sue forme. Lei non scendeva dalla tela, come poco prima, ma schizzava fuori dal tempo. Prima che Mariana fosse tornata verso il letto del marito, Evaristo decise di andar via e si indirizzò alla porta.
– Mi scusi…mi dispiace non poter parlare adesso con suo marito.
– Adesso non è possibile; il dottore raccomanda riposo assoluto e silenzio. Sarà per un’altra volta.
– Non sono venuto prima perché ho saputo da poco… non sono a Rio da molto.
– Grazie.
Evaristo le tese la mano e uscì in fretta, mentre lei tornava a sedersi accanto al marito. Né gli occhi né la mano di Mariana dimostrarono alcuna emozione nei confronti di lui. Si congedarono come due estranei.
Certo, l’amore era finito, il tempo era trascorso, il cuore era invecchiato con gli anni, il marito era sul punto di morte, ma si domandò, come dopo diciotto anni che si erano lasciati, Mariana nonostante avesse davanti a sé un uomo così importante della sua vita, non provasse un minimo tremore, spavento o nemmeno arrossisse? Non riusciva a capire. Per lui tutto ciò era un “mistero”. Nel momento di congedarsi, lui si sentì stringere il cuore, una sensazione che lo fece balbettare, che gli fece mancare le idee e non gli permise di esprimere persino le formule più banali di speranza e dispiacere per l’infermo. Tuttavia, lei non percepì in lui la minima commozione. Pensando al ritratto in salotto, Evaristo concluse che l’arte era superiore alla Natura; la tela aveva trattenuto il corpo e l’anima…con uno spruzzo di lieve, amaro rancore.
Xavier visse ancora una settimana. In occasione della sua seconda visita, Evaristo assisté alla morte dell’infermo e non riuscì ad evitare la naturale commozione del momento, del luogo e delle circostanze. Mariana, spettinata vicina al letto di morte, aveva gli occhi spenti dalla veglia e dalle lacrime. Quando Xavier spirò, dopo una lunga agonia, a malapena si udì il pianto di alcuni parenti e amici; il grido acuto di Mariana chiamò l’attenzione di tutti e di seguito il corpo della vedova cadde svenuto per terra. Per qualche secondo rimase priva di sensi, poi, ripresasi, si alzò e corse verso il cadavere, lo strinse forte in un abbraccio, singhiozzando disperatamente e gli disse le più dolci e care parole. Siccome si erano dimenticati di chiudere gli occhi al cadavere, accadde un fatto spaventoso nonché triste; dopo averlo baciato, lei ebbe un’allucinazione e cominciò a gridare che Xavier era ancora vivo, che era salvo. A quelli che provavano a strapparla di lì Mariana rispondeva con una spinta, liberandosene e lamentandosi che le volevano togliere il marito. Dopo una nuova crisi, fu portata di corsa in camera da letto.
Quando il corteo uscì il giorno dopo, la vedova non era presente. Anche se ripeteva insistentemente che voleva dare l’ultimo addio al marito, non ebbe le forze fisiche per farlo. Evaristo seguì i funerali. Accompagnando da vicino il carro funebre, mal riusciva a credere a quel che faceva e dove si trovava. Nel cimitero, parlò ad uno dei parenti di Xavier, confidandogli la tenerezza che Mariana gli aveva provocato.
– È evidente l’amore che provavano l’una per l’altro.
– Ah sì! – rispose il parente. Si sposarono innamorati. Io non ero presente al matrimonio perché arrivai a Rio molti anni dopo, nel 1874, ma li trovai ancora come due sposini e fui testimone della loro unione e del loro amore per tutti questi anni. Vivevano uno per l’altra. A dirle la verità, non so se Mariana rimarrà ancora tanto tempo tra di noi, in questo mondo.
“1874,” pensò Evaristo. “Soltanto due anni dopo”.
Mariana non fu presente neanche alla messa celebrata dopo sette giorni della morte di Xavier.[2] Quello stesso parente con cui Evaristo parlò al cimitero rappresentava Mariana in chiesa. In quella triste occasione, Evaristo seppe che lo stato fisico e morale della vedova non le permetteva di affrontare l’emozione di tali circostanze. Evaristo aspettò qualche giorno prima di decidere di presentarsi a casa della vedova per le condoglianze e venne a sapere dal domestico che Mariana non avrebbe ricevuto nessuno in quei giorni. Evaristo partì per São Paulo e tornò dopo cinque, sei settimane. Cominciò a prepararsi per fare ritorno in Europa. Prima di partire pensò ancora di andare a trovare Mariana, non tanto per educazione e gentilezza, quanto per portare con sé l’immagine – anche se un poco deteriorata – di quella passione che era durata quattro anni.
Non la trovò a casa. Ritornò arrabbiato, prendendosela con sé stesso, ritenendosi inopportuno. Pochi metri avanti vide uscire dalla chiesa dello Espírito Santo una signora in lutto, che gli sembrò Mariana. Sì, era Mariana e veniva a piedi, passando accanto al carro, lo guardò, fece come se non lo conoscesse e continuò a camminare, lasciando il suo saluto senza risposta. Evaristo pensò ancora di far fermare la carrozza e per congedarsi da lei, anche lì per strada, giusto per un minuto, anche solo per scambiare tre parole. Fece tardi a decidersi e scese soltanto quando la chiesa era già passata e Mariana era già lontana. Si incamminò per la strada, come per raggiungerla, ma, non si sa se per rispetto o per dispetto, cambiò idea un’altra volta, salì di nuovo sulla carrozza e partì.
– Per tre volte fu sincera, concluse, dopo aver riflettuto per qualche minuto.
Meno di un mese dopo lui era già a Parigi. Non si era dimenticato della commedia del suo amico all’Odéon. Appena arrivato corse ad informarsi sulla commedia e seppe che era stato un disastro totale.
– Cose di teatro, disse Evaristo all’autore per consolarlo. Alcune pièces sono un fallimento, altre riescono bene e rimangono in piedi.
[1] Trattasi del movimento che culminò con la caduta della Monarchia e la proclamazione della Repubblica brasiliana. Rio de Janeiro all’epoca era la capitale del Brasile.
[2] In Brasile è abitudine far celebrare una messa dopo sette giorni della morte, per ricordare il deceduto. Tale messa è conosciuta come “messa del settimo giorno”.
Traduzione dal Portoghese di Tatiana Ribeiro. Joaquim Maria Machado de Assis nasce nel 1839 a Rio de Janeiro, da famiglia umile, figlio di ex schiavi. Spinto da una grande curiosità intellettuale, studia fino a diventare un uomo di Lettere, nonché uno dei più celebri scrittori brasiliani. Pur essendo un mulatto, non prende parte alle questioni sull’abolizione della schiavitù in Brasile, scegliendo di non fare dei suoi testi una bandiera per la causa degli schiavi. Tuttavia la vena critica verso la società carioca dei salotti dell’Ottocento si fa subito notare nelle sue cronache – scritte per importanti giornali del periodo – , nei suoi romanzi e racconti. Non gli sfuggono le peculiarità della società borghese della Rio de Janeiro imperiale e ne parlerà meglio di qualsiasi saggista o scrittore dell’epoca. La città di Rio de Janeiro è di fondamentale importanza nell’opera di Machado di Assis. Ogni luogo, ogni strada o vicolo della città svolge un ruolo essenziale nella sua narrativa, tale e quale a un vero personaggio. Anche l’anima femminile non si sottrae al suo sguardo critico e realistico. La sua opera è stata studiata molto sia in Brasile che all’estero (numerose sono le tesine e gli studi su Machado de Assis, per esempio in Inghilterra, dove John Gledson è uno dei suoi studiosi più appassionati). Spesso si parla di Machado come di uno scrittore non classificabile né come romantico né come realista, avendo delle caratteristiche proprie che “dialogano” con entrambe le correnti letterarie. È comune anche parlare di due fasi della produzione letteraria di Machado. La prima presenta ancora tracce di Romanticismo e la seconda è molto più “cruda” e realista. È curioso pensare che il racconto “Mariana” includa chiare allusioni al linguaggio romantico, ma con l’ironia sottile tipica dello scrittore. Alla fine del racconto prevale però l’atmosfera realista, quotidiana, sprovvista di qualsiasi sfumatura romantica. Quasi come se questo racconto volesse abbracciare tutte e due le fasi di Machado, la prima, più romantica, che lascia poi il posto ad una più matura e sobria. L’altra ipotesi è che lui volesse ironizzare quasi beffarsi dello stile romantico. I testi per il teatro e le poesie scritte da Machado de Assis non sono in generale rappresentativi della sua opera letteraria come lo sono i romanzi, i racconti e le cronache. Senza dubbio uno dei più bravi e riconosciuti scrittori brasiliani, tutt’ora ritenuto attuale, Machado, oltre a 3 testi di teatro e alcune poesie, ha lasciato 9 (nove) romanzi e centinaia di racconti e cronache, riuniti e pubblicati lungo la sua vita. Tutt’oggi, dopo la sua morte avvenuta nel 1908, si continuano ad organizzare raccolte dei testi della sua opera letteraria.
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