UN ALTRO GIRONE – Brano tratto dal capitolo Un altro girone del saggio Affronti, Tracce d’Africa - Raffaella Cuccia
Ho incontrato una bimba. Sì, una bimba. Era per strada. Dalle spalle le pendeva un vestitino rosa, scolorito e troppo grande. Tra i denti stringeva un disegno sgualcito e, ferma, mi guardava: una bizzarra alchimia improvvisa. Un piccolo straordinario magnetismo. Poi ho visto un bambino, rannicchiato e scontroso, grandi occhi aperti sul nulla, un tepore di glicine caldo nelle mie vene. Ci siamo guardati. Lui era il mondo. Ho detto “vi vengo a trovare” e sono entrata.
Questo è un campo profughi. Nel Nord Uganda.
Si parla delle porte dell’inferno, si dice “è come essere all’inferno”, si leggono bolge e canti dell’Inferno, si manda qualcuno all’inferno, si fantastica e si tratteggia l’inferno: lingue di fuoco, urla, grida, maledizioni, bestemmie…Ma no, qui c’è il silenzio, il silenzio dei senza tempo e dei senza luogo, il silenzio della privazione di emozioni, degli anaffettivi, il silenzio dei senza sogni, il silenzio scomposto e narcotizzato della desolata rinuncia a se stessi. È questo l’inferno. Nessuna porta mirabilmente scolpita a vagheggiare tormenti ma un viottolo, una piccola pista, un accesso angusto, un passaggio sfibrante dalle cromie più vive al nulla. Sì, improvvisamente scompaiono i colori e tutto si smorza in un appannato incubo glassato. Terreo. Nell’entrare lì ogni passo segnava profondamente la percezione e diveniva uno sforzo superiore alla capacità di sopportarlo, i piedi mancavano della loro fisicità dinamica per essere solo un traino pesante. Avanzavamo in una bolla rarefatta, di spessa e inviolabile consistenza. Una bolla o forse una nuvola o un cuscino di piume perse da un falco accecato. A mezz’aria. Tutto fermo intorno. Solo il nostro incedere aveva una cadenza, quella di una caduta in un grande risucchio, in un grande buco nero dove i sensi non si riconoscono più e perdono la loro individualità per diventare un ammasso di disgusto, paura, ripugnanza, dolore, vergogna, rabbia, nel tentativo di arginare tutto questo in un blocco isolato di vita. Che deve restare qui perché…“perché non posso portarti con me, piccolo, tu resti qui con la tua pancia spropositata, con la tua rogna che ti tormenta tra graffi e sangue, con i tuoi piedi a mollo nel rigagnolo di escrementi, con i tuoi capelli imbrattati di pidocchi e fango, con la disperazione di tua madre che finge, inventa, abbozza accozzaglie di quotidianità domestiche a coprire la desolazione del nulla, no casa, no letto, no piatti, no acqua, no cibo, no, no, no, no…Tutto un grande no.” Qui non c’è neppure il tempo. Dove ritrovarlo? In questo cielo che con il suo splendore esalta l’ingiustizia di un luogo? O delle nuvole? Come ci appaiono diverse qui le nuvole! Forse domani torneranno a coprire i pensieri, ma oggi restano lontane. Possiamo mangiare la spuma nivea e dolce di un sogno, ma in questo luogo non riusciamo a toccare o a farci scorrere tra le dita l’idea rappresa di una nuvola benigna che pietosamente venga a coprire o a sottrarre alla vista. Cerco l’utopia di un luogo che alleggerisca questo brandello ingiusto di mondo da cui noi, solo noi, tra poco usciremo. Ma ne usciremo? Ne usciremo davvero?
Non come la ragazza dai capelli viola. Sguardo sfacciato e irridente da femmina già cresciuta, movenze sforzate e ambigue in richiami passati o futuri per uomini senza senso. E senza sesso. Un misfatto. Qui ancora più scellerato. Mi guarda mentre passa e il suo sguardo sconfina in plaghe ignote o ignorate, qualcosa che ha a che fare con la dignità, la fierezza, l’orgoglio. O forse l’invidia. E se invece fosse il richiamo della foresta incantata degli antichi miti? Si allontana. Scompare lasciando un equivoco sospeso tra le capanne di fango e paglia. E’ strano come questo boccone di vita antica e nota sia riuscita a far apparire per un attimo normale tutta questa anormalità, un contagio che allinea l’assurdo e il vero in un unico atto. Fuori dal tempo. Tratto da: Raffaella Cuccia, Affronti - Tracce d’Africa, Milano, Edizioni Italia Press, Collana Documenti 2009, pp. 69-70 Dopo gli studi di Giurisprudenza all’Università di Padova, sua città natale, Raffaella Cuccia si è dedicata a molteplici attività, tranne che a quella di avvocato, seguendo i suoi variegati e molteplici interessi. L’amore per i libri assieme a quello per la medicina l’hanno portata a svolgere l’attività di imprenditore nel settore dell’editoria scientifica fino però all’arrivo nella sua vita dell’Africa. Da questo momento Raffaella vede cambiare la scala dei suoi valori: un cambiamento destinato a divenire pregnante e definitivo, dopo il suo viaggio in Africa con AMREF, il primo di una lunga serie. Della stessa autrice è il libro Random, edito sempre dalle Edizioni Italia Press nella collana Poesia e Musica.
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