COME SVANITO TRENO a cura di Tomaso Pieragnolo e Rosa Gallitelli
Sai dirmi l’età di questo treno, il suo rumore di velocità inafferrabile, tutto il metallo che dal fondo delle miniere viaggiò sui suoi carri, il grano che giunse dai paesi senza nome, il bestiame ammassato e l’uomo con lui sotto qualunque cielo.
Sai dirmi il primo legno trasportato, le regioni innevate e la borsa d’acqua calda per ogni viaggiatore, l’olio delle lampade appese al soffitto dei vagoni, il primo letto che volò sulle rotaie, il primo ristorante che fuggì ad Oriente.
Sai dirmi a che ora giunse nelle capitali nebbiose, o sulla costa trasportando estati, il primo treno che tagliò il deserto, che si arrampicò sulle cime del mondo. O solo il primo treno che, solo, sotto le strade delle città sprofondò.
Perché è in lui che alcuni andarono; per altri fu mani, congedo, bagaglio. Ma in tutti il tempo sospeso, fino a dimenticare i fogli, la consuetudine, l’esistenza. E il bisogno improvviso d’essere passeggeri solo. Qualunque sguardo o nome, solo passeggeri.
(testo di Tomaso Pieragnolo e Rosa Gallitelli) Da Poeta nero di Antonin Artaud, 2000, Edizioni Via del Vento.
(traduzione di Pasquale Di Palmo)
...aspiro
tutto un carico di stelle in ritardo.
E quello di Gaspard,
Gaspard che si è installato sul fondo della conchiglia,
ha preso l’ultimo treno, dormito fino al mattino,
e tutto il porto è vagato tra le sue mani...
Da Poeti ispanoamericani del Novecento a cura di Francesco Tentori Montalto, 2004, Bompiani
(traduzione di Tomaso Pieragnolo e Rosa Gallitelli)
di Roberto Friol
Testamento di voci
Se questo è il congedo, il volto
che accresce l’invisibile, il corpo
che ritrae il sospiro, i molti
eventi e tempi, colmi
e stracci, se non ci sono
più nodi nella corda né internodi,
se non ci sono tregue né fiamme qualsiasi
a chi può accorrere, se tutto è andarsene,
tacersi e scordarsi,
precipitarsi senza sgomento,
se tutto è sotterrarsi oscuramente,
resti nell’aria
il testamento delle voci.
Da Mario Luzi, Tutte le poesie, 1998 Garzanti
È, lui, o era?
(In itinere)
È, lui,
o era?
S’arrampica
e si cala
su e giù
pei tempi del verbo
stremato dall’immobilità
del moto
uniforme del convoglio,
mummificato dal viaggio,
se
non
che gli ritorna
di quando in quando, eccolo,
l’antico salmodiare
tra i sobbalzi rugginosi
poi il silenzio improvviso delle tradotte.
Ma no, stolto,
che pensa? Penetra, lo sente
ora, con tutto il suo passato,
epoca su epoca
in un tempo nuovo,
più tardo
che già forse lo attende
e lo assume in sé con tutto il suo bagaglio.
Il futuro è là,
è pronto a incamerarlo
nei suoi celesti hangars –
Ma è vergine quell’incontaminato spazio
o già occupato dalla reminiscenza?
Chi sa – ignoriamo il senso del viaggio,
non conosciamo il tempo
se non per divisione
del tempo – decide
in quel vacuo infrapensiero
essendo e non essendo
ivi presente,
ma ecco si afferra ai suoi compagni,
gli arriva la pietà dei corpi
vivi, imminenti. O gratias.
Separazione. Separazione da chi?
Separazione. Separazione da chi?
Quel primo muovere del treno,
quel suo cauto disfilarsi
nel sole obliquo della sua corsia.
Tesi, più tesi i filamenti dell’addio.
Infine lo strappo.
Ricorda il pomeriggio,
ricorda l’inverno.
Separazione da chi?
Non ravvisa la persona
né tra i morti
né tra i viventi.
O è una parte di sé che le si cela
dietro quella partenza
o altro ancora
che le manca,
le manca indicibilmente...
per sempre? oh no.
Da Fuego de pobres, 1961, di Rubén Bonifaz Nuño
(traduzione di Tomaso Pieragnolo e Rosa Gallitelli)
Questa notte di treni
Questa notte di treni,
di popolazioni che migrano,
di sogni corporali, di violate
respirazioni nella rena
mobile del viaggio, lo ricordo.
(Fu, forse, necessario l’incipiente
amore; azzittire soli con estranei,
e le cose più tenere,
mentre la bocca si indurisce
e una barba cresciuta, di cadavere
recente, mi prolunga.)
E ciò nonostante, quante volte
ti avranno riconosciuta; dagli occhi,
o per l’assenza che lasciasti;
per i capelli sulle spalle, quando vai,
e l’andamento che rivela ciò che eri.
Allora so che ci posero,
alla nascita, un altro nome, e un cammino
da percorrere, e un treno per il cammino.
Un treno sonnambulo che fugge,
in direzione opposta, irreversibile,
di quelli che passano ormai persi;
per un saluto feriti ormai di morte,
marchiati per sempre, segnalati;
cercatori di un segno nella spiga
moltitudine di volti.
E tutto questo senza dubbio, accadendo;
tutto che accade,
tutto che viene e raggiunge e se ne va.
Amica, non dimenticarmi; non dimenticarmi,
amico; non ti perdere, attendimi.
Come la maschera di una danza,
vengo da lontano ad occupare la mia faccia;
dietro e in silenzio, ai miei balconi
lacrimevoli, al sapore della mia bocca,
all’odore delle cose che attendevano.
Sono senza terra ferma; sto uscendo,
dove voglio, da queste ultime
lente ore di viaggio che termina;
ombra lunghissima, stagno
di sibili, di ruote che ripetono
la loro parola distinta ad ognuno;
stazioni mendiche, come date
illuminate appena, dove duole
ciò che si apprende addormentandosi.
Non dimenticarmi, attendimi.
Io, quello delle lettere senza destinazione,
quello delle parole non credute,
quello che semina nell’oscuro, te lo chiedo.
Da Montale, Tutte le poesie, a cura di Giorgio Zampa, 1984, I meridiani Mondadori
Verso Tellaro
... cupole di fogliame da cui sprizza
una polifonia di limoni e di arance
e il velo evanescente di una spuma,
di una cipria di mare che nessun piede
d’uomo ha toccato o sembra, ma purtroppo
il treno accelera...
Da El primer tren que pase di Carlos Villalobos, 2001, Editorial UCR
(Traduzione di Tomaso Pieragnolo e Rosa Gallitelli)
Che tornino i treni
Che i treni diventino pazzi
e ci portino agli angoli dove la sorpresa
di un volto è un’allegria che non era in agenda,
che i treni, pazzi da legare, navighino come gondole
sulla riva dei parchi
dove i baci diventano eroi
e scendono da un solo strapiombo le stelle.
Che i treni scardinati
fingano delirando appuntamenti al buio con gli uccelli
e se ne vadano laggiù mischiando storie
e nonni
e ancora una volta raccolgano la venditrice di mango
che una sera a Orotina
mi offrì un sorriso così imprevisto
che non potrò ripagare, perchè non so quanto affetto vale.
Che i treni che portarono mio nonno al porto
tornino qui
pensando d’essere i cani di casa,
non importa, che giungano muovendo la coda,
ma che giungano pazzi di gioia
e ancora ci portino alle pianure dove faceva
un sole del diavolo
e i ragazzi e le ragazze
escano correndo dalle case un’altra volta
e tornino a colmare di addii le finestre.
Che i treni tornino qui
non importa se giungono in un pacchetto
per posta,
se arrivano a cavallo
vantando una collezione di tatuaggi nei vagoni,
non è per caso, l’importante è che arrivino
e ci portino a scivolare tra i puledri,
a continuare il volto delle formiche. Tomaso Pieragnolo è nato a Padova nel 1965 e da vent’anni vive tra Italia e Costa Rica. La casa editrice Passigli di Firenze ha da poco pubblicato il suo ultimo libro, il poema “nuovomondo”, finalista al Premio Palmi e vincitore del “Saturo d’Argento – Città di Leporano”. Fra le sue precedenti pubblicazioni: “Il silenzio del cuore” (1985), “La lunga notte” (1987, Premio Giovani Città di Palermo), “Lettere lungo la strada” (2002, premiato al Città di Marineo e finalista al Guido Gozzano), “L’oceano e altri giorni” (2005, finalista ai Premi Libero de Libero, Guido Gozzano e Ultima Frontiera e vincitore del Premio Minturnae Giovani). Una sua selezione di poesie scelte è stata pubblicata in spagnolo dalla Editorial de la Universidad de Costa Rica e dalla Fundación Casa de Poesía (“Poesía escogida”, 2009). La sua attività di traduttore di poesia latinoamericana si svolge in collaborazione con la rivista Sagarana, nella quale dal 2007 propone principalmente autori del Costa Rica, mai tradotti in Italia; ha curato la pubblicazione di Eunice Odio “Questo è il bosco e altre poesie”, (2009, Menzione Speciale Camaiore per la traduzione) e di Laureano Albán“Gli infimi crepuscoli”, (2010). Rosa Gallitelli è nata a Pisticci (Matera) nel 1969 e da vent’anni vive tra Italia e Costa Rica. Moglie del poeta Tomaso Pieragnolo, studiosa di poesia ispanoamericana, dal 2002 collabora alla ricerca e alla scelta di autori per pubblicazioni e riviste.
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