SAGOME Ascanio Celestini
Io ho una tecnica.
Quando partecipo a una riunione, mi siedo, tiro fuori la pistola e la poggio sul tavolo. È solo una tecnica,
la uso per vivere in pace coi miei simili. Ma devo darmi delle regole. La prima regola è estrarre subito la pistola.
Devo estrarla appena arrivo. Non vorrei che qualcuno pensasse che la tiro fuori per la piega che ha preso il discorso. La seconda regola è non guardare mai la pistola.
È una regola fondamentale. Altrimenti qualcuno potrebbe pensare che io cerchi di sostenere il mio discorso facendo ricorso a un’intimidazione. Ammiccando alla pistola con lo sguardo, come a dire «State attenti che sparo!» La pistola non dev’essere oggetto di discussione. Infatti la terza regola è non parlare mai della pistola,
altrimenti il discorso apparirebbe ridondante. Qualcuno penserebbe che se ho bisogno di ricordare agli altri che ho una pistola è perché senza la pistola il mio discorso non sarebbe altrettanto convincente. Ovviamente questo silenzio sulla pistola
non significa che io non stia pensando alla pistola perché la quarta regola è pensare costantemente alla pistola. Ma non è un pensiero generico,
un ricordo personale, un’immagine sfumata. Si tratta di un pensiero preciso. Sempre lo stesso. Io penso alle camere cilindriche che alloggiano le cartucce,
alla pressione sul grilletto che inarca il cane e contemporaneamente fa ruotare il tamburo, che bascula in senso orario. Io penso al cane che, giunto nel punto morto, ovvero alla sua massima estensione, si abbatte sull’innesco della cartuccia e fa partire il colpo. Io ho una tecnica.
Quando partecipo a una riunione, mi siedo, tiro fuori la pistola e la poggio sul tavolo. Ovviamente qualcuno potrebbe credere che,
nonostante queste mie regole, l’attenzione nei miei confronti derivi esclusivamente dalla pistola che metto in mostra, che i miei interlocutori siano influenzati dalla pistola. Allora per cancellare ogni dubbio
ho incominciato a tenerla in tasca. Alcuni sanno della pistola, ma col tempo incomincio a incontrare nuovi interlocutori che ignorano la presenza della pistola. La tecnica funziona lo stesso.
Ovviamente devo modificare la prima regola, cioè non posso più estrarre la pistola appena mi metto seduto. Ma la prima regola non è stata completamente abolita.
Semplicemente, mi limito a pensare alla pistola che ho nella tasca. Dunque potrei dire che
ho una nuova tecnica. Quando partecipo a una riunione, mi siedo e penso alla pistola. Il resto non cambia.
La possibilità di tenere la pistola in tasca
senza l’obbligo di estrarla, per me è stata una rivoluzione. Ora gli effetti benefici della pistola possono essere sfruttati ovunque e non soltanto durante una riunione. Senza mai guardare la pistola,
senza parlarne e senza mostrarla, posso pensarci costantemente. Anche quando incontro per le scale il mio vicino di casa,
il colonnello in pensione, o quando vado al bar a prendere un caffè, o quando parlo con mia moglie. Io mi confronto con l’umanità,
la guardo in faccia, penso alla pistola e accade una sorta di magia, un cambiamento nella mia percezione del mondo. Tutti gli esseri che mi circondano
si trasformano immediatamente in bersagli. Non che io li colpisca davvero, io non sono un violento. Ma la possibilità di farlo me li mostra come sagome. Sagome immobili o in movimento, sagome parlanti, ma comunque sagome. Ognuna col suo bersaglio disegnato sulla fronte o attorno al cuore. Incontro il colonnello in pensione
che esce dall’ascensore con le sporte della spesa «Al supermercato il mercoledì fino a mezzogiorno c’è lo sconto per i pensionati», dice mostrandomi le porcherie che si compra. Io lo aiuto a portare la spesa fino al portoncino blindato. Penso alla pistola nella tasca, guardo il bersaglio, sorrido e auguro buona giornata. Scendo a prendere un caffè,
il barista con le mani a mollo nell’acqua del lavandino e una macchia marrone sulla camicia bianca chiede «Cosa desidera?» Io penso alla pistola nella tasca, guardo il bersaglio, sorrido e dico «Un caffè ristretto, grazie». Mia moglie mi parla dell’estratto di corteccia di betulla
per combattere le smagliature sui glutei. Io penso alla pistola nella tasca, guardo il bersaglio, sorrido e le massaggio il culo. Se non estraggo la pistola e non colpisco il bersaglio
è solo per una mia scelta, ma la possibilità di farlo mi dà un grande sollievo. Avere l’alternativa!
L’alternativa di sparare sul colonnello in pensione facendolo esplodere tra le sue porcherie a metà prezzo, far saltare la testa al barista, colpire il culo flaccido di mia moglie, il culo unto di corteccia di betulla. Io ho una tecnica.
Tengo sempre la pistola in tasca. Non ne parlo, non la mostro, ma ci penso costantemente. Una volta ho fatto un esperimento.
Ho volutamente lasciato la pistola nel cassetto del comodino e sono uscito di casa. Sulle scale ho incontrato il colonnello in pensione.
Arrancava, con le sporte della spesa piene di porcherie. «Si è rotto l’ascensore», ha detto, «proprio oggi che è mercoledì e ho fatto la spesona». Sudava. Il sudore gli scendeva sulla faccia grassa, la camicia era macchiata di sudore. Due grosse macchie sotto le ascelle e una sulla pancia. «Si è rotto l’ascensore!» diceva, mentre io cercavo il bersaglio senza trovarlo. Senza pistola non hai alternative, devi fare conversazione. Sono corso al bar,
ho pensato «mi prendo un caffè e mi passa l’agitazione». Il barista stava con le mani a mollo nell’acqua sporca. Quando mi ha visto entrare si è asciugato sulla parannanza incrostata e mi ha chiesto «Cosa desidera?» «Un caffè?» ho risposto come se fosse una domanda, come se fossi stato io a chiederlo a lui. Ha spalancato la lavastoviglie e ha tirato fuori un mucchio di tazzine bollenti. Le ha accatastate sulla macchina del caffè, gli ha fatto fare uno sbuffo di vapore e con la mano ancora bagnata mi ha dato la tazzina. Senza una pistola non hai alternative, devi prendere un caffè. Sono corso a casa.
Mia moglie ha aperto la porta con i capelli bagnati, l’asciugamano sulle spalle e la tinta in mano. «Si vede la ricrescita?» ha chiesto mostrandomi i capelli grigi. E io cercavo il bersaglio in quella testa mezza colorata, ma c’erano solo i capelli ancora impastati di balsamo. Senza una pistola non hai alternative, devi guardare la ricrescita. Così sono corso in camera
ho preso la pistola dal cassetto l’ho stretta forte in mano considerando il freddo del ferro, la pesantezza del pezzo. Poi me la sono messa in tasca. Mia moglie mi ha raggiunto.
Con i capelli gocciolanti sapone sulle orecchie ha detto «Cos’hai?» Io l’ho guardata pensando
alle camere cilindriche che alloggiano le cartucce, alla pressione sul grilletto che inarca il cane e contemporaneamente fa ruotare il tamburo, che bascula in senso orario. Pensavo al cane che, giunto nel punto morto, ovvero alla sua massima estensione, si abbatte sull’innesco della cartuccia e fa partire il colpo. Ho risposto «Niente cara, ora sto meglio»,
e sulla sua fronte è ricomparso il bersaglio, il cerchietto colorato con un pallino nel centro. Io vi vedo in televisione,
vi leggo sui giornali, politici, banchieri, presidenti di consigli d’amministrazione. Io so perfettamente a cosa state pensando. Qualsiasi discorso facciate, dalla giustizia all’immigrazione,
dall’economia alla costituzione, voi pensate sempre alla stessa cosa: alla pistola che tenete in tasca. È per questo motivo che ci guardate come un mucchio di sagome. È per questo motivo che fate discorsi a mano armata. Racconto tratto dal nuovo libro di Celestini, Io cammino in fila indiana, Einaudi editrice, Torino 2011. Ascanio Celestini è nato a Roma nel 1972. In questi ultimi anni ha sperimentato i linguaggi del teatro, del cinema e della canzone. Parole sante , suo primo cd pubblicato nel 2007, segue il film documentario prodotto da Fandango, stesso anno e stesso titolo, incentrato sul mondo del lavoro e sullo sfruttamento dei precari dell'Atesia, il più grande call center italiano. Tra i suoi libri ricordiamo Scemo di guerra (Einaudi, 2005), La pecora nera (Eìnaudi, 2006), Cecafumo (Donzelli, 2002), Fabbrica , (Donzelli, 2003), Radio Clandestina (Donzelli, 2004) e il recente Io cammino in fila indiana (Einaudi, 2011)
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