SE SCRIVI IN UNA LINGUA CHE NON È LA TUA Brano tratto dal saggio didattico Viviscrivi - verso il tuo racconto Christiana de Caldas Brito
Se scrivi in una lingua non tua, una lingua imparata da grande, all’inizio esisterà un conflitto tra parole della tua lingua di origine (depositarie di antiche emozioni e ricordi) e quelle della nuova lingua (parole sprovviste di un coinvolgimento personale). A poco a poco, queste dissonanze finiscono per essere armonizzate.
In Parole di sabbia, ho scritto un breve racconto (“Linea B”) che si svolge dentro a un vagone della metropolitana di Roma. In realtà, il titolo potrebbe essere Lingua B perché per il mio personaggio, l’italiano è ancora una lingua di serie B. Il racconto parla esattamente del modo di entrare in contatto con la lingua madre, le cui parole hanno odori e musica, e del modo tutto diverso del contatto con le parole della nuova lingua, ancora non legate ai vissuti personali: Le parole non nascono in fretta come i paesaggi sfrecciati dai finestrini della metro. Per penetrare nel tessuto dell’anima esigono molto tempo. Per lasciare un’impronta, la nuova lingua richiede l’immersione nella vita del nuovo paese. Per imparare l’italiano (ma in realtà s’impara l’Italia…) vale di più l’affetto dato e ricambiato, che lezioni ed esercizi grammaticali. Solo quando senti di appartenere al gruppo in cui vivi, la tua scrittura potrà diventare comunicazione reale.
Ti ricordi di quello che ha detto Tolstoj? “Se vuoi parlare dell’universale, parla del tuo villaggio” Prima di rendere “tuo” il nuovo paese, puoi parlare del tuo “villaggio” di origine, la realtà con cui hai più familiarità. Poi, con calma, ti famigliarizzi con l’Italia e la sua lingua, e i suoi testi si ambienteranno nelle città italiane e racconterai gli italiani.
La nuova lingua all’inizio è un ostacolo alla creatività ma, come ogni ostacolo, può trasformarsi in un’opportunità. Le difficoltà linguistiche finiscono per offrirti delle occasioni di creatività. Vediamo come.
Che cosa sono le parole italiane per una persona straniera appena arrivata in Italia? Sono suoni, senza significato. Ma se tu, dopo aver acquistato la padronanza della nuova lingua, esplori questi suoni, se tu approfondisci le sensazioni che i suoni ti avevano prima svegliato, se tu unisci suoni diversi e inventi delle parole per il tuo racconto, tu stai già trasformando l’ostacolo in un’opportunità.
Ti invito a conoscere due racconti miei che illustrano quanto sto dicendo. Il primo ha per titolo Chi, in Amanda Olinda Azzurra e le altre, e narra di una donna immigrata a tal punto indefinita e relativa che viene chiamata Chi. Tutto il racconto è costruito con il suono gutturale CH, per me il suono della lite, della discordia. Avevo osservato, appena arrivata in Italia, che gli italiani, quando sono arrabbiati, usano soprattutto questo suono: “Ma che c – – !”, “Guarda che c – – !”, “Vaffancu – – !”
Il secondo racconto ha per titolo Maroggia; si trova nel libro Qui e là. Per narrare la storia di Maroggia (che ha in sé il mare e la pioggia) ho inventato delle parole. Così, quando Maroggia si confonde con il mare, le sue unghie diventano “unghiglie” e i suoi occhi si sciolgono in “verdacqua”.
Ho provato anche a creare una lingua ibrida, che caratterizza il modo di parlare di due personaggi femminili: Ana de Jesus e Olinda nel libro Amanda Olinda Azzurra e le altre.) Tratto dal libro Viviscrivi, Eks&Tra edizioni, Bologna, 2008. (Per gentile concessione dell'editore. Per acquisti e info sul libro www.eksetra.net) Christiana de Caldas Brito, scrittrice carioca nata nel 1939, esordisce nel 1995 con il doloroso ed espressivo racconto Ana de Jesus, premiato a Rimini e successivamente spunto per l’omonimo monologo teatrale. Segue Amanda, Olinda, Azzurra e le altre, intessuto di storie che narrano di donne appese tra il radicamento al paese d’origine e la proiezione verso una nuova appartenenza.
|