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Sagarana BERTOLUCCI RACCONTA IL "SUO" '68


Conversazione con Bernardo Bertolucci su Pasolini, il ’68, Pierre Clementi, Elsa Morante, The Dreamers, Cocteau, Moravia e il Festival di Venezia


Daniele Basso e Emiliano Morreale


BERTOLUCCI RACCONTA IL



 

 
Lei ha passato il ‘68 tra l’Italia e Parigi. Che differenza c’era tra il movimento francese e quello italiano?

Il ‘68 parigino è iniziato a Roma. Mi trovavo per sbaglio a Valle Giulia, per sbaglio perché ero più vecchio. Vivevo in una specie di zona grigia tra due momenti storici molto importanti: ascoltavo gli ex partigiani ancora giovani che mi raccontavano quello che avevano vissuto e allo stesso tempo stavo con gli studenti. Ero a via del Babuino, sotto casa passava una manifestazione; sono sceso, studenti di Architettura e altri andavano alla facoltà a portare solidarietà agli occupanti. Guardandomi intorno mi sono sentito fuori posto perché avevo 27 anni e gli studenti 19 o 20. Mi sono unito a loro, abbiamo camminato fino a Valle Giulia e quando siamo arrivati davanti alla facoltà c’era la Celere che non permetteva di portare a quelli che erano dentro né cibo né coperte né acqua. Gli studenti hanno cercato di entrare e la Celere li ha caricati e così mi sono ritrovato in mezzo alla prima manifestazione violenta di quegli anni. Quando andavo a Parigi raccontavo cos’era accaduto a Valle Giulia. Durante il maggio dello stesso anno ho girato Partner: Pierre Clementi, il protagonista del film, il venerdì sera tornava a Parigi, la domenica sera rientrava in Italia e mi raccontava quello che aveva visto. Era quasi come avere il Maggio del ‘68 a Roma in presa diretta.
 
Per questo ha scelto di raccontare il ‘68 di Parigi?

Ho letto il romanzo di Gilbert Adair da cui è nato The Dreamers: parlava del come nessuno ne aveva ancora parlato né allora né negli anni successivi. L’autore è un inglese che a 20 anni è andato a vivere a Parigi trovandosi un po’ per caso e un po’ per scelta a vivere il ‘68 in una città non sua con delle problematiche e delle modalità che forse non lo riguardavano direttamente. Mi piaceva molto come era riuscito a innestare nel ‘68 una struttura non tanto diversa da quella di Les enfants terribles di Cocteau, mi affascinava la fusione tra Cocteau e il ‘68.
 
Quali sono state le reazioni all’uscita del film e quali sono secondo lei le reazioni che suscita parlare del ‘68?

Con The Dreamers ho visto che il ‘68 ancora infastidisce e irrita anche molti di quelli che vi hanno partecipato. C è una specie di revisionismo, il tentativo di archiviare quel periodo rivoluzionario come qualcosa di profondamente negativo come se il ‘68 ricordasse ai suoi protagonisti una sconfitta, quasi fosse un ricordo doloroso. Io penso che quello della rivoluzione sia stato un sogno, non ho mai creduto che si sarebbe realizzato. Quando sento dire che quel movimento è stato una sconfitta e che si è trascinato nel tempo, che il ‘68 ha portato alle Br mi sembra tutto molto confuso, inaccettabile, ingiusto. All’uscita di The Dreamers mi sono accorto che ci sono due parole che non si possono più usare in Italia una è “ideologia”, l’altra “nostalgia”. Il film è stato accusato di essere ideologicamente nostalgico del ‘68, cosa accaduta poi anche a Garrel. Il termine “nostalgia”  viene usato perciò in senso dispregiativo, dovremmo gettare e dimenticare libri come l’Odissea e la Recherche, costruiti sulla nostalgia...¯
 
Lei ha avuto modo di frequentare in quegli anni Elsa Morante e Pier Paolo Pasolini. Quali erano le loro posizioni rispetto al ‘68?

Mio padre si lamentava perché non facevo l’università ma la mia università è stata il tempo passato con Elsa e Pier Paolo. “Vado all’università quando ceno con loro” rispondevo a mio padre. C’era anche Moravia. La Morante e Pasolini discutevano spesso, essendo entrambi ammirati l’una dal lavoro dell’altro, c’era tra i due un continuo scambio. Pasolini era molto conflittuale, su Valle Giulia aveva scritto quella poesia Il Pci ai giovani in cui dice: vi odio, cari studenti, siete paurosi e disperati ma anche prepotenti e ricattatori. Questa poesia lo aveva reso inviso agli studenti. Si trattava di un discorso molto sentimentale: io sto con i giovani del Sud, figli di contadini, costretti a fare i poliziotti; non sto con voi, con i capelli lunghi. Odiava i capelli lunghi, odiava tutto quello che avrebbe chiamato nel suo testamento, che sono gli editoriali scritti nel 1975 per il Corriere della Sera e Il Mondo, poi confluiti in Lettere luterane, la falsa permissività del consumismo. In Abiura per la trilogia della vita descrive i ragazzi di allora, la loro presunzione di essere i padroni della propria libertà dicendo loro: “Non è vero, non siete liberi, ripetete dei cliché che vi vengono imposti”, dichiarazione del tutto attuale. Qualche mese dopo i fatti di Valle Giulia, durante il contestato Festival del cinema di Venezia, Pasolini andò all’università e gli studenti gli sputarono addosso. Pier Paolo era alla ricerca di punizione e di redenzione, prese gli sputi e disse “Discutiamo”. Si sedette e alla fine tutti lo seguivano con ammirazione. Era riuscito a far ascoltare anche le sue idee. In alcuni momenti Pasolini aveva un atteggiamento quasi mistico, non religioso ma sicuramente dentro una sua sacralità.
 
E qual era l’atteggiamento della Morante verso i ragazzi del ‘68?

La Morante e Pasolini si erano molto avvicinati in occasione dell’uscita di Il mondo salvato dai ragazzini, libro che fu pubblicato nel ‘68 e che Pier Paolo considerava un vero e proprio manifesto politico che indicava la capacità rivoluzionaria e l’innocenza dei giovani. Entrambi avevano una visione creaturale della realtà, credevano in una rivoluzione che sarebbe poi stata agita per Pasolini nel Terzo mondo e dal sottoproletariato. Quando girai con lui Accattone ero l’aiutoregista, Pasolini mi diceva che i volti dei papponi erano come i volti dei santi delle pale d’altare, per questo c’erano loro continui primi piani. Negli anni Settanta Pasolini disse che la Trilogia della vita, Il Decameron, Il fiore delle Mille e una notte e I racconti di Canterbury era una finzione, una menzogna perché basata sulla forza di un innocenza in cui non credeva più e che non esisteva più. La sua visione della realtà divenne poi pessimista, senza scampo, atroce. Difficile dargli torto oggi.






Tratto da Il cinema, il maggio e l’utopia, a cura di Daniela Basso, Einaudi, Torino, 2008.





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