SARò FELICE? Brano tratto dal romanzo di Roberto Piumini e Milva M. Cappellini Il dio delle donne Milva M. Cappellini
È una domanda che proprio non mi sogno di rivolgermi, dato che a nessun costo vorrei dovermi rispondere. E poi, perché diavolo dovrei domandare o rispondere? II mio compito è sottolineare gli errori di stampa, nient'altro, crocifiggere o impalare segni scorretti o caratteri ingiusti o spazi esagerati per eccesso o per difetto. Un lavoro ottuso, minuto e preciso, proprio quello che mi serve ora: il mantra della correttrice, il mandala scritto col lapis. Usque ad perfectionem suam. Errori emendati ma non puniti, e nessun rimprovero per nessuno, almeno fino al terzo giro di bozze. Giro di bozze, giro di parole, giro di valzer. Giro di vite. Presa in giro. Un brutto giro. A giro di posta. Ho un mese di tempo per correggere questo libro. Due capitoli al giorno, poche pagine alla volta, senza fretta, e anche agosto sarà passato.
Però, mi chiedo, cosa va scrivendo, questo scrittore, e con quali e quante voci? Non che saperlo cambi molto: per tutti quelli che scrivono, per quei rivenduglioli di discorsi vieti, da tempo non nutro che disprezzo. Li conosco, lavo i loro stracci tutti i giorni. La parola, il suono, il senso, dicono. Il significante e il significato. Le parole. Passate attraverso mille mani e mille bocche, esposte a tutti gli usi, insalivate piegate e sforzate in ogni modo. Disgustavo. E la poesia? Peggio ancora, un lavoro di imbalsamatori. Parole decrepite, le più abusate, al limite dello stupro. La poesia. La musica, dicono, i ritmi. La poesia mi dà brividi. Quando leggo versi, mi pare di sentire rumori di èlitre e di zoccoli, scatti duri di becchi e zanne, gorgoglii ventrali, pigolii di insetti, tonfi di animali sconci come minotauri. E che dire infine, mutevole scrittore, dei tuoi sortilegi, della poesia che si avvilisce in prosa, e della prosa che si smargiassa in poesia? E le ibridazioni, e le intersezioni, e le contaminazioni, e infine infine infine la fine delle grandi narrazioni? Sempre finzioni e trabocchetti, lacci al piede di chi legge. Le parole, invece di sciogliere, annodano; invece di dipanare, aggrovigliano; invece di schiarire, intorbidano, annebbiano. Scrittori, amanti: gentaglia della medesima risma, alla fin fine. Una risma di carta fine, una risma di amore falso.
Ci sono cose peggiori, non dico di no, cose più pericolose. Questa cava, per esempio. All'imbrunire, mentre leggevo e correggevo, si è spostata un'altra volta, come la baba-jaga sulle sue zampe rugose di gallina: ha ricominciato a girare impercettibilmente per togliermi l'ultima luce, ha ruotato su se stessa finché l'angolo del cornicione ha inghiottito anche l'estremo chiarore del tramonto. Comincio a preoccuparmi. Fino a poco tempo fa, si era limitata a gonfiarsi un po' e poi restringersi a intermittenza, più che altro di sera, porosa, spugnosa. Da ieri invece proprio si muove, e io posso fare poco o niente per impedirlo. Forse rimanere ferma e in silenzio, trattenendo il fiato, perché creda alla mia assenza o alla mia morte. Ma é docile ingannare le cose, così pazienti loro, esperte di immobilità. E sapienti, ciniche. Anche la notte, me ne accorgo, loro sanno che non posso dormire e vivono quella loro vita taciturna, respirando un respiro minerale o metallico o polimerico. Ogni molecola veglia e trama contro di me. E l'ostilità si estende allo spazio intorno alla casa: ho notato che le piante sul balcone mettono certe spine e foglie dure apposta per graffiarmi. Le ho sradicate, ho spezzato in due e in quattro gli steli, ho buttato fiori, foglie e radici nella spazzatura, poi ho impilato i vasi in un angolo per bilanciare la rotazione dell'edificio. Alla fine, avevo le unghie piene di terra nera: le ho tagliate molto corte, scoprendo una striscia sottile di carne viva, poi le ho spazzolate con furia, a lungo. Brano tratto dal romanzo di Roberto Piumini e Milva M. Cappellini Il dio delle donne, Edilazio editrice, Roma 2010. Milva Maria Cappellini collabora con riviste letterarie (“Stilus”, “Caffè Michelangeolo”, “L’immaginazione”, occupandosi soprattutto di letteratura otto-novecentesca e contemporanea. Tra le curatele, diverse opere teatrali di Gabriele d’Annunzio (Mondadori), l’antologia Letteratura popolare (UTET), il volume Geno Pampaloni Una valigia leggera (Aragno), tra i saggi la monografia Stefano Benni (Cadmo)
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